vinci pennetta williams

VENI, VIDI, VINCI! - “GLI US OPEN? I MIRACOLI ESISTONO ED ESISTE ANCHE UNA ROBERTA VINCI CHE OSA E URLA AL PUBBLICO: E ORA APPLAUDITE ANCHE ME, CAZZO!” - ''LA WILLIAMS? QUANDO LA RIVEDRÒ SPERO NON MI TIRI UN PUGNO'' - L’ABBRACCIO CON LA PENNETTA? UNO TSUNAMI"

Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”

 

VINCI PENNETTA 1VINCI PENNETTA 1

Il destino è fatto a mano, Roberta. Nel suo caso, all’uncinetto. 

«Era scritto: io che batto la n.1, Serena Williams, e poi mi gioco l’Us Open con un’amica, Flavia Pennetta. Troppe coincidenze per essere un caso». 
 

Parliamone. 
«Per me Flavia è importante. Per anni abbiamo vissuto come sorelle. È stata un punto di riferimento, poi abbiamo preso strade diverse. Ritrovarci a New York in questo modo clamoroso — in un torneo importantissimo, quando nessuno ci avrebbe scommesso — è stata la chiusura di un cerchio». 
Il ricordo più antico di voi due insieme. 
«Flavia rotondetta, coi capelli corti e l’apparecchio per i denti. Una domenica a Bari, al raduno delle migliori pugliesi». 
 

VINCIVINCI

L’inizio. Poi? 
«A Roma, all’Aquacetosa. Dividevamo una celletta monacale: la tv non c’era, ci eravamo portate la radio da casa. Sul muro, i mitici poster: io Paolo Maldini, lei Leonardo Di Caprio. Innamorate cotte. A 14 anni, lontano dalla famiglia, senza amici, non vivevamo una vita da adolescenti normali. Ci compensavamo a vicenda». 
Un’esperienza che lega per sempre. 
«Da adulte la rivalità ci ha allontanate. Lei è partita per allenarsi in Spagna e non ci siamo più sentite». 
 

VINCI WILLIAMSVINCI WILLIAMS

Da ragazzine vinceva la Vinci, il destino nel nome. 
«In campo ero più calma e disciplinata. Anche come carattere: timida, parlavo poco, non rispondevo mai all’allenatore. Flavia invece era già esuberante, aperta, impulsiva. Quando vincevo lei s’incazzava e spaccava la racchetta. A New York, il 12 settembre, non eravamo più le bambine di Brindisi e Taranto». 
Chi eravate? 
«Due donne, due professioniste. Ma sempre amiche. Guardavo al di là della rete, in quello stadio con 23 mila persone, vedevo Flavia e mi dicevo: non è uno Slam, pensalo come una partita con la tua storica compagna. Quello che è successo dopo è stato tutto spontaneo». 
Perché quell’abbraccio a rete, pancia contro pancia, ha colpito tanto? 
«In un mondo abituato alla freddezza tra Williams e Sharapova che si stringono la manina senza guardarsi in faccia, un contatto fisico sincero tra amiche è uno tsunami. Tra donne la rivalità è massima, ci ammazzeremmo, ci rubiamo le palle anche in allenamento però siamo umane, vere, vive. Con Flavia ci siamo volute bene anche se io ho perso e lei ha vinto. O, forse, a maggior ragione». 
Se potesse rigiocare la finale dell’Open Usa cosa farebbe di diverso? 
«Ho accusato la stanchezza, mentale prima che fisica. Avrei voluto essere più dentro la partita ma ho avuto poco tempo per ricaricare le pile. Ero cotta, e Flavia ha giocato meglio». 
Prima della Pennetta, la Williams. 
«Francesco, il mio coach, è stato il primo a crederci. Mi ha detto: Robi, non ti accontentare, non essere al solito modo, pensa in grande. Si è fidato, mi ha indicato la strada». 
 

ERRANI E VINCI TRIONFANO A WIMBLEDON 2ERRANI E VINCI TRIONFANO A WIMBLEDON 2VINCI PENNETTAVINCI PENNETTA

Non poteva bastare: serviva una rivoluzione interiore. 
«Dice bene: rivoluzione interiore. Ho davanti in semifinale a New York la montagna Williams — mai battuta, in vita mia non le ho nemmeno mai strappato un set — a due match dalla storia: il Grande Slam. Perché non provarci? L’ho guardata e ho pensato: ragazza, non ci sei solo tu a un passo dalla leggenda, ci sono anch’io accidenti». 
Accidenti. 
«Sul 5-4 per me nel terzo, al cambio di campo, mi sono seppellita sotto l’asciugamano e fatta un discorso ad alta voce: ti stai pisciando sotto, perdi il game, andate 5-5, poi devi essere brava a non disunirti. E invece...». 
 

Invece ha vinto il game a zero. 
«Sul 15-0 avevo una paura del diavolo. Sul 30-0 tremavo. Sul 40-0 ho pensato: basta un 15. Sono andata a rete, ho chiuso con una demi volée che viene una volta su mille. Bello». 
Di più. Pazzesco. 
«Ho giocato, giocato per davvero. Non mi sono limitata al compitino. Ero in trance, in un’altra dimensione. Ho osato. E chi osa vince». 
 

renzi con pennetta e vinci dopo finale us open, dal suo profilo facebook 60renzi con pennetta e vinci dopo finale us open, dal suo profilo facebook 60

Dopo? 
«Non ci ho capito più niente. Lo stadio era una bolgia, ho risposto a vanvera nel mio inglese da schifo e gli Usa sono impazziti per me. Non sono più riuscita a camminare per strada: autografi, selfie, complimenti... Sono ancora nel frullatore. Dagli 8 ai 72 anni mi fermano per dirmi che li ho fatti piangere... Io?! Un affetto incredibile. Non ci sono abituata, ecco». 
 

La Williams se l’è legata al dito. 
«Ha mormorato qualcosa ed è uscita in un secondo. Mai più vista né sentita...». 
Ora in spogliatoio sarà Serena a salutare Roberta e non viceversa. 
«Ma no, io la saluterò come sempre. Speriamo che lei non mi tiri un cazzotto». 
La nuova vita da celebrity come va? 
«Dopo New York non mi sono più fermata. Non sono nemmeno stata a Taranto dai miei. Sono sfinita però mi piace: che si parli un po’ di me, di tennis, di emozioni. Non mi credevo capace di trasmetterne di così forti. E invece son venuta fuori io, la vera Roberta». 
 

pennetta trionfa agli us open, battuta vinci in due set 4pennetta trionfa agli us open, battuta vinci in due set 4

Flavia ha annunciato il ritiro. 
«L’ho vista molto decisa, forse troppo». 
 

Cosa le consiglierebbe: smettere o cambiare idea? 
«La prenderei per i fondelli: levati dalle scatole e non farti più vedere in una finale Slam dove ci sono anch’io! Ma che continui, secondo me, ci sta». 
L’ha invitata al matrimonio con Fognini? 
«E ci mancherebbe altro! A giugno, prima di Wimbledon. Ci sarò». 
 

vinci e pennetta 201vinci e pennetta 201

Cosa chiede al 2016 dopo quest’anno rutilante? 
«Un posto ai Giochi di Rio e le top-10». 
Margini per riformare il doppio con Sara Errani ce ne sono? 
«Non è un progetto. Ora come ora non c’è nemmeno la volontà di parlarne». 
 

Alla fine cosa le ha insegnato l’Open Usa, Roberta? 
«Che i sogni si possono realizzare. I miracoli esistono ed esiste anche una Roberta Vinci che si porta la mano all’orecchio e urla ai 23 mila di New York: e adesso applaudite anche me, ca..o!». 
Cosa vi direte con Flavia quando vi rivedrete? 
«Grande Penna. E lei: Ro, ti voglio bene». 

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