friedrich merz ursula von der leyen giorgia meloni

PEGGIO DI URSULA VON DER LEYEN, UNA PIPPA AL SUGO CHE SI È FATTA UMILIARE DA TRUMP, CI SONO I LEADER EUROPEI (MERZ E MELONI IN PARTICOLARE) E LE INDUSTRIE TEDESCHE: FINO A DOMENICA HANNO ROTTO IL DAZIO ALL’EX COCCA DELLA MERKEL, IMPLORANDOLA DI CHIUDERE UN ACCORDO PURCHÉSSIA CON IL BULLO COATTO DELLA CASA BIANCA. POI, UNA VOLTA SIGLATA L’INTESA, TUTTI A FRIGNARE E SCARICARE LA COLPA SULLA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE. CHE CI HA MESSO DEL SUO: ALLA PRIMA OCCASIONE DI DIMOSTRARE CAPACITÀ DI MANOVRA, HA FATTO CILECCA. E LA SUA LEADERSHIP NE ESCE DEVASTATA…

1 - MERZ E GLI ALTRI LE AVEVANO DETTO: «URSULA, DOBBIAMO CHIUDERE» MA ORA È UNA PIOGGIA DI CRITICHE

Estratto dell’articolo di G.Sar. per il “Corriere della Sera”

 

Ursula von der leyen e donald trump a Turnberry in Scozia - foto lapresse

Ursula von der Leyen aveva preparato con cura il paracadute. Ancora poche ore prima di incontrare Donald Trump nel Golf club di Turnberry, in Scozia, aveva fatto un giro di telefonate con i leader dei principali Paesi.

 

Naturalmente lunga chiamata con il connazionale tedesco Friedrich Merz. Il cancelliere l’ha rassicurata: vai tranquilla Ursula, dobbiamo chiudere con gli americani. Ultima verifica con gli ambasciatori dei 27 partner della Ue: critiche? Suggerimenti? Tutto a posto, avanti così.

 

Nessuno aveva sollevato neanche una delle obiezioni che da domenica sera in poi stanno sommergendo la presidente della Commissione europea. La lista degli scontenti continua ad allungarsi: Emmanuel Macron, lo spagnolo Pedro Sánchez, il polacco Donald Tusk. Ma soprattutto lui, il principale sponsor di questa rovinosa operazione: sì, il cancelliere Merz. Non basta.

 

friedrich merz giorgia meloni conferenza per la ricostruzione in ucraina foto lapresse

Nei mesi scorsi, von der Leyen aveva incaricato il suo capo di gabinetto, Bjoern Seibert, di tenersi in stretto contatto con le grandi aziende europee e con le organizzazioni di categoria: auto, farmaci, agricoltura e così via. Tutte le richieste di merito sono confluite nella cartellina con cui la numero uno di Bruxelles si è presentata al cospetto di Trump.

 

Ma, soprattutto, Ursula ha tenuto in mente l’appello corale che saliva dal mondo produttivo: basta, diamogli quello che vuole, non possiamo iniziare una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Ed è quindi davvero interessante leggere ora la lunga sequenza di stroncature provenienti dagli imprenditori di ogni settore.

 

VIGNETTA ELLEKAPPA - TRUMP E L'ACCORDO SUI DAZI CON URSULA VON DER LEYEN

Una su tutte: la presidente della Federazione auto tedesca, Hildegard Müller, ha dichiarato che «i dazi del 15% costeranno miliardi alle case automobilistiche». D’accordo, ma le medesime «case automobilistiche» sono state il tormento di Berlino e di Bruxelles: fate in fretta, troviamo un compromesso con Washington. Per altro il settore auto è il solo che abbia contenuto i danni: il dazio passerà dal 27,5% al 15%.

 

[…]

 

In ogni caso la figura politica di Ursula von der Leyen esce drasticamente ridimensionata. Con questa crisi ha avuto l’occasione per dimostrare autonomia e capacità di manovra, perché il commercio è una materia di esclusiva competenza della Commissione. Questo non significa tapparsi le orecchie, non rispondere al telefono e presentarsi in perfetta solitudine al tavolo del negoziato. Al contrario.

 

GOLF VOLKSWAGEN

La presidente può ascoltare tutti, ma poi presenta una sua proposta di metodo e di merito. In queste ore c’è chi anche nella Commissione riflette sul fatto che ad aprile si sarebbe potuto agire in maniera diversa, non necessariamente imponendo dei contro dazi. Ma, per esempio, penalizzando, non oscurando, le big del digitale americano, da Google a Meta.

 

Oppure la finanza Usa che miete profitti in Europa. Ma Ursula non ci ha neanche provato. Il piano si è inclinato sempre di più e a fine luglio si è ritrovata in una posizione negoziale difficilissima.

 

Hildegard Mueller

Raccontano che nel faccia a faccia scozzese con Trump si sia battuta bene. Ha respinto una clausola anti-Cina; ha difeso la sovranità legislativa della Ue nel settore agroalimentare; ha assunto impegni vaghi sugli acquisti di energia e sugli investimenti diretti negli Stati Uniti.

 

Soprattutto aveva immaginato che davanti alla possibile catastrofe di un dazio al 30%, molti, non tutti, l’avrebbero applaudita se avesse portato a casa il 15%, «tutto compreso». Questo era il suo paracadute, che però non si è aperto. Per il momento, comunque, resta al suo posto. Merz, Macron, Meloni e gli altri non vogliono aggiungere una crisi istituzionale al trauma causato forse dal peggiore accordo nella storia dell’Unione europea.

 

2 - IL PATTO SOTTO PROCESSO "VON DER LEYEN CERCHI DI LIMITARE I DANNI"

Estratto dell’articolo di C.T. per “la Repubblica”

 

Ursula von der leyen e donald trump a Turnberry in Scozia - foto lapresse

«Il Coreper prende atto dell'accordo politico». Il Coreper è il comitato che riunisce i rappresentanti dei 27 governi dell'Ue. È la voce dei capi di Stato e di governo. Che ieri non hanno fatto nulla per nascondere la loro insoddisfazione rispetto all'intesa chiusa domenica scorsa con Donald Trump.

 

Quel «prende atto» non è solo una formula distaccata per dire che le nuove tariffe, come ha spiegato un diplomatico presente alla riunione, «non piacciono a nessuno».

 

Ma un piccolo e sottilissimo schermo per non ammettere che è in corso un vero e proprio processo a Ursula von der Leyen e alla Commissione europea. Sono stati diversi, infatti, i Paesi che non solo hanno chiesto chiarimenti, ma hanno apertamente criticato l'intesa. In prima fila Francia e Spagna.

 

GIORGIA MELONI TRA DONALD TRUMP E URSULA VON DER LEYEN - VIGNETTA DI GIANNELLI

Ma perfino la Germania, che in un primo momento aveva accolto i dazi al 15% con un sospiro di sollievo, ha iniziato a prendere le distanze.

 

Il cancelliere Merz, del resto, ha dovuto riconoscere che il sistema industriale tedesco non era affatto contento del nuovo quadro tariffario. «Una umiliazione», è stato invece il termine usato da Parigi.

 

Nessuno si è però spinto a chiedere di bocciare la piattaforma. Riconoscendo che almeno si assegna «stabilità e prevedibilità» alle relazioni transatlantiche. Nello stesso tempo all'unanimità hanno chiesto di vigilare sull'impatto dell'accordo, di prevedere azioni mirate a limitare le inevitabili penalizzazioni delle aziende europee e di controllare che non ci siano "colpi di testa" da parte di Trump in grado di peggiorare la situazione.

 

Insomma, mai come questa volta, Palazzo Berlaymont è messo sotto attacco. Una «solitudine», è la parola di uno dei presenti alla riunione del Coreper, che non si è mai registrata in questi termini nei sei anni di mandato svolti da von der Leyen.

 

usa germania

«Abbiamo fatto quello che gli Stati ci hanno detto di fare», è la difesa d'ufficio messa in campo ieri mattina da uno dei portavoce dell'esecutivo europeo. La presidente della Commissione, infatti, non intende avallare l'idea che la stretta di mano con il presidente americano sia stata solo una sua iniziativa.

 

Anche durante il Coreper è stato ricordato che i governi erano stati informati di ogni passo compiuto nella trattativa. E ancora, tra gli argomenti utilizzati per difendere l'esito del negoziato, è stata ricordata la richiesta di parte americana: ossia dazi generalizzati al 30%.

 

URSULA VON DER LEYEN - FRIEDRICH MERZ

Un modo per dire che aver dimezzato la tariffa base dovrebbe essere considerato un successo. Ma l'aspetto su cui molti rappresentanti hanno insistito non riguarda solo il regime tariffario del tutto impari (15% contro 4,8) ma i cosiddetti "annessi" all'accordo.

 

Ossia l'impegno a comprare energia per 750 miliardi di dollari in tre anni e 600 miliardi di investimenti, soprattutto in armi. Esborsi che spettano ai singoli Paesi e non all'Unione. La risposta fornita dalla Commissione in maniera informale agli Stati membri è piuttosto semplice: è vero che queste due materie sono ancora di competenza nazionale, ma voi sapevate fin dall'inizio che Trump aveva messo sul tavolo queste condizioni.

 

friedrich merz ursula von der leyen

In larga parte già comprese nelle nuove direttive Nato e nella necessità di abbandonare completamente la dipendenza dal gas e dal petrolio russo. E in aggiunta una constatazione: potete anche non tenere conto dell'accordo politico, ma non potete tenere conto di come reagirebbe il presidente Usa.

 

[…] Molti esecutivi […] hanno osservato che il tycoon non ha fornito garanzie sulla possibilità di bloccare la discesa della valutazione del dollaro. Un requisito che - considerato quanto il calo del biglietto verde favorisca l'export americano e penalizzi quello europeo - avrebbe potuto essere inserito in maniera almeno ufficiosa nel quadro complessivo. Resta il fatto che l'accordo scontenta sostanzialmente tutti.

 

URSULA VON DER LEYEN E GIORGIA MELONI - VERTICE SUL PIANO MATTEI PER L AFRICA - FOTO LAPRESSE

La "solitudine"» di Ursula è stata considerata fino ad ora la sua arma migliore. A Bruxelles rappresentava l'unico e il "solo" centro decisionale. Adesso la "solitudine" si è trasformata in una debolezza. I prossimi passaggi sull'intesa finale relativi ai dazi e sulle istanze reclamate dai 27 per attutire il colpo, rappresenteranno il test finale per la presidente della Commissione. Non tanto per capire se il suo mandato proseguirà ma se i prossimi quattri anni saranno solo una transizione verso nuovi assetti. E verso una Unione diversa.

LETTERA DI DONALD TRUMP A URSULA VON DER LEYEN CHE ANNUNCIA DAZI AL 30% ALL UEgiorgia meloni ursula von der leyen Ursula von der leyen e donald trump a Turnberry in Scozia - foto lapresseFOTO DI GRUPPO AL G7 DI KAnanaskis IN CANADASTRETTA DI MANO TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP - FUNERALE DI PAPA FRANCESCOdonald trump e ursula von der leyen dopo il bilaterale al g7 in canada

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