CHE COSA SONO LE BR/3 - "SOFRI, PIPERNO, NEGRI, CAPANNA, IN QUEGLI ANNI, FURONO MOLTO, MA MOLTO PIÙ VIOLENTI DI NOI: MASSACRAVANO DEI RAGAZZI MISSINI A SPRANGATE, COSE CHE NOI BRIGATISTI NON ABBIAMO MAI FATTO."

Partenza a razzo per Che cosa sono le Br, la lunga intervista sulla storia delle Brigate rosse rilasciata da Alberto Franceschini a Giovanni Fasanella, di Panorama: uscito il 5 maggio dalla Bur Rizzoli, in meno di una settimana, è già al quinto posto dei libri più venduti fra i tascabili (La Repubblica di venerdì 14 maggio).
Ecco alcuni brani tratti dal capitolo intitolato Le Brigate rosse.

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Quale fu la vostra prima azione di un certo risalto?
L'incendio alla pista prove della Pirelli, a Lainate. Era un'azione un po' più complessa: bisognava penetrare all'interno cercando di evitare le guardie, quindi c'era anche il rischio di uno scontro a fuoco. Eravamo in quattro: io e tre operai della Pirelli. Uno era Mottironi, un compagno molto bravo che allora era ancora iscritto al Pci. Ricordo che aveva un figlio di sei-sette anni e la moglie operaia. Quella sera, prima di uscire di casa, baciò il figlio. Poi, in macchina, mi disse: "Sai, mi sono messo i mutandoni di lana... per il freddo in carcere, se ci arrestano".

La tessera del Pci era una copertura?
No, lui era proprio del Pci e della Cgil. Era un compagno del Pci che pensava fosse giusto fare la lotta armata. Molti dei nostri compagni, soprattutto operai, venivano da lì, dal Pci. La situazione di Reggio Emilia era alquanto diffusa: parte della base operaia del Pci allora era per la rivoluzione e considerava naturale lo sbocco della lotta armata.

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Dal punto di vista propagandistico, quale fu l'effetto dell'incendio di Lainate?
Ebbe una grandissima risonanza, tant'é che per anni tutti hanno scritto che le Br sono nate lì, a Lainate. In effetti, per chi la vedeva dall'esterno, l'azione era clamorosa, perché presupponeva l'esistenza di un commando che si era mosso militarmente e aveva inferto un danno consistente. Per cui, l'eco sui giornali milanesi fu grande. Poi quell'azione la rivendicammo con volantini firmati BR, che lasciammo nel centro sociale di Quarto Oggiaro, dove erano ospitate alcune famiglie senza casa (ne avevano occupate alcune ma la polizia le aveva cacciate). Con quel tipo di rivendicazione, volevamo legare la lotta per la salute che stavano conducendo gli operai della Pirelli a quella per la casa in un quartiere popolare. E così, partendo da Quarto Oggiaro, cominciammo a costruire anche le brigate di quartiere.

Prima, parlando della scelta del nome e del simbolo, ha detto che fu una vera e propria operazione di marketing. C'era una strategia anche nel modo di "gestire" gli attentati dal punto di vista della comunicazione?
Certo, potremmo dire che forse questa é stata la nostra peculiarità. Nel nostro modo di concepire la lotta armata, era fondamentale l'aspetto della comunicazione. Le nostre azioni, infatti, le definivamo di "propaganda armata" perché puntavano a modificare il modo di pensare delle persone. Perciò, tutto si giocava sul piano della comunicazione e dei mass media. Una differenza tra noi e gli altri gruppi della sinistra extraparlamentare era proprio l'importanza che si attribuiva alla comunicazione. Lc, Potere operaio, Avanguardia operaia, il Movimento studentesco di Mario Capanna, in quegli anni, furono molto, ma molto più violenti di noi: massacravano dei ragazzi missini a sprangate, cose che noi non abbiamo mai fatto, ma non spiegavano il senso delle loro azioni. Usavano la violenza in modo spropositato, uccidevano a volte, ma non c'era mai nessuno che diffondesse un volantino per dire: siamo stati noi, era giusto farlo. Si limitavano a far girare la notizia tra i loro militanti. Oppure tentavano di far ricadere la responsabilità sugli stessi fascisti, dicendo che si erano massacrati fra di loro.



L'attentato di Lainate fece conoscere all'opinione pubblica il marchio delle Brigate rosse. Quale fu, invece, la ricaduta sul piano politico?
Gli altri gruppi della sinistra rivoluzionaria cominciarono a interessarsi a noi: in particolare, Lotta continua, Potere operaio, i Gap di Feltrinelli. Avevamo un punto di partenza comune: l'uso della violenza. Ed erano molto interessati ad aprire un discorso con noi. Come accadde qualche tempo prima a Reggio Emilia con il gruppo dell'"appartamento".

Vi accomunava l'uso della violenza. Lei ha appena detto che gli altri gruppi, qualche volta, tendevano addirittura ad esagerare. Oltre alla caccia al fascista, a voi che cosa risultava che facessero?
Operazioni di autofinanziamento, per esempio. Come noi.

Esisteva al loro interno un'organizzazione adatta allo scopo, una sorta di secondo livello non sempre noto agli altri militanti?
Esisteva e noi conoscevamo anche le persone che si muovevano a quel livello. I servizi d'ordine non avevano solo il compito di difendere i cortei, secondo l'innovazione introdotta per primo da Simioni al Cpm. I gruppi della sinistra rivoluzionaria erano strutture con leader carismatici: Adriano Sofri a Lotta continua, Franco Piperno e Toni Negri a Potere operaio. E ognuno di questi capi carismatici aveva un suo uomo per le "operazioni speciali". Valerio Morucci era l'uomo di Piperno, Carlo Fioroni di Negri, Pietrostefani di Sofri.

Che genere di personaggio era, quello che lei definisce "l'uomo per le operazioni speciali"?
In genere, piuttosto schivo, silenzioso. Non era un personaggio pubblico, non interveniva nelle assemblee. Però lo vedevi camminare sempre vicino al leader. Funzionava così: c'era la massa dei militanti; alcuni di loro formavano il servizio d'ordine; e all'interno del servizio d'ordine, c'era un nucleo ancora più ristretto di militanti che compivano le azioni. Guardi, io non voglio autoassolvermi, perché non ero uno stinco di santo. Ma tutto sommato, in quel giro, noi brigatisti rossi della prima generazione eravamo i meno violenti.
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Dagospia 20 Maggio 2004