BENIGNI INFOGLIATO - L'ELEFANTINO TORNA ALLA CARICA: DUE ORE DI GAG RICICLATE, REGIA INCERTA, BAGHDAD DI CARTAPESTA, L'INTERO REPERTORIO DEL POETA DILETTANTE, UN INVITO IRRESISTIBILE A MISURARE L'ABISSO TRA L'EX CIONI MARIO E ALMODÓVAR.

Da "Il Foglio"


Istruzioni per l'uso dei posti di blocco. Quando sei lì, con le mani alzate dietro la testa, la prima cosa da dire è "sono italiano". Se non funziona, e i soldati continuano a tenerti nel mirino, bisogna dire "sono un poeta". Come per incanto la guerra sparisce, la vita torna bella, ai militari scende la lacrima sulla barba non fatta, appena sentono nominare il sommo Dante e Walt "O capitano! Mio capitano!" Whitman.

In precedenza, la Poesia è servita a scacciare i pipistrelli, a far sdraiare il Roberto nazionale sul pavimento dell'aula, onde rimirare il cielo stellato sopra di noi, a tenere una lezioncina sul fatto che "il mestiere del poeta è trovare le parole giuste". Se gli sceneggiatori Benigni e Cerami, poeti per autoacclamazione, avessero fatto un po' della fatica necessaria a trovare le parole giuste, "La tigre e la neve" risulterebbe meno stantio e stucchevole del film che ci è toccato vedere.

Due ore di gag riciclate, di corteggiatori in mutande e canottiera, di "piove su le tamerici salmastre ed arse" (appena scoppia il temporale), di Nicoletta Braschi in coma, che è come tirarsi la zappa sui piedi: un invito irresistibile a misurare l'abisso tra l'ex Cioni Mario e Pedro Almodóvar. E a proposito di parole: perché in una stessa scena un personaggio dice Bàghdad e l'altro Baghdàd? E a proposito di sospensione dell'incredulità: come mai in Iraq i telefonini continuano ostinatamente a funzionare? E a proposito di cinema: come mai un regista premiato con l'Oscar è ancora incerto sui fondamentali, per esempio le giunte di montaggio corrette, e i pasticci che procurano il mal di testa allo spettatore?



La moschea e il canguro
Hitchcock, in "Io ti salverò", fece disegnare la scena del sogno a Salvador Dalí. Benigni affida il delicato incarico a Nicoletta Braschi (anche produttrice, e consorte), che tira fuori tutto il kitsch umanamente sopportabile. Lei arriva in abito nuziale, e annuncia: "Quando ti bacio dalla tua bocca escono i cavalli dell'apocalisse" (o forse erano i cavalieri?). Lui guarda gli astanti, e ci trova Borges, Montale, Ungaretti, Marguerite Yourcenar - per gentile concessione degli eredi e degli aventi diritto - seduti tra i banchi della chiesa riservati ai parenti dello sposo. La scena si ripete con un canguro al posto della sposina, velo bianco e tutto, perché un sogno non è un sogno (spiega Giuseppe Battiston, che poi sparisce senza lasciar traccia) se la donna amata non somiglia a un animale. Alle nozze, Tom Waits canta e suona il pianoforte, perché Benigni non si ferma davanti a nulla, da quando si è convinto di essere un Venerato Maestro (ma un agente, un agente che evitasse lo scempio, proprio non si trovava nei paraggi?).

Il povero Jean Reno, nella parte del poeta arabo Fuad, recita versi e battute con visibile imbarazzo. Anche il poveretto viene brutalmente tolto di mezzo quando non serve più (previa tappa alla moschea, che sicuramente vuol significare qualcosa ma non abbiamo capito cosa). La Baghdad ricostruita in Tunisia odora di cartapesta lontano un chilometro, e quando i razzi si confondono con le vaghe stelle dell'Orsa solo l'urlo di Fantozzi può fare giustizia, neanche troppo sommaria.

Ai cuori teneri sembreranno licenze poetiche. A chi ama il cinema sembrano tremende sciatterie. Ma siccome in Italia i rimatori a tempo perso sono un esercito (si annidano anche tra i critici) tutto verrà perdonato. Anzi, celebrato. Anzi, liricamente commentato. Tirando in ballo la pace, la forza dell'amore, il giullare che dice ai potenti della terra "mettete dei versi nei vostri cannoni". L'intero repertorio del poeta dilettante.


Dagospia 05 Ottobre 2005