MORTADELLA ACIDA - BOLOGNA? "UNA LASAGNA A OROLOGERIA" - STEFANO BENNI E IL CASO COFFERATI: «NON È UN SINDACO DI DESTRA, È UN SINDACO DI SINISTRA CON POCHE IDEE»...

Loris Campetti per "il manifesto"


Stefano Benni ha un rapporto intenso con la sua città. A volte d'amore, spesso d'odio. Ogni tanto lascia Bologna, ogni tanto si incazza con chi la denigra, come è capitato a proposito dell'affaire Cofferati - macchine da presa puntate come kalashnikhov sul municipio per mandare in onda un brutto film in cui si vuol far credere che tutto il marcio stia tra le due torri, che Bologna sia peggiore di qualsivoglia altra città italiana, e non uno dei tanti iceberg della crisi sociale e politica che spuntano fuori dal mare nostrum. Attraversiamola insieme al nostro Benni, questa città misteriosa.

Esiste un caso Cofferati?
Credo che ci sia un solo «caso», in Italia, e cioè l'anomalia gangsteristica di Berlusconi. Quello di Bologna è un casino, un brutto casino.

Dunque, vuoi dire che il «caso» è stato creato dalla stampa?
No, il clima di tensione c'è davvero, e potrebbe peggiorare, anche se a gran parte dei media non interessa capire, ma mettere in scena macchiette, o propaganda. Vengono volentieri a Bologna, mangiano bene, e se ne tornano indietro dopo qualche ora senza aver capito nulla. Bologna, come Napoli o Palermo, è un tiro a segno per gli stereotipi, o tutti buoni o tutti cattivi. Una lasagna a orologeria.

Bologna è una città sfuggente?
Come altre realtà italiane, è un città complessa, con molte anime. Una ricca e una povera, una nottambula e una dormigliona, una bigotta e una porcella, una conformista e una culturalmente viva, una nostalgica e una vagamente modernista. Non è facile da governare, anche se qualcuno si era illuso. Non è facile, perché è una città viziata. Molti bolognesi si sono abituati a consumare welfare e democrazia, non a impegnarsi o a sacrificarsi per averli. Delegano la soluzione dei problemi. Se Bologna è paralizzata su contrapposizioni vecchie di anni la colpa non è solo di Cofferati, ma di tutti.

Dove sbaglia Sergio Cofferati?
Non mi piace dire «dove sbaglia», sa troppo di giudizio finale. Posso dire, secondo me, dove è carente. Nelle idee. Non è un sindaco di destra, è un sindaco di sinistra con poche idee.

Che vuol dire «di sinistra con poche idee»?
Quando Cofferati fu eletto, promise che avrebbe affrontato i vecchi problemi in modo nuovo. Ma ha subito ricominciato con le vecchie semplificazioni. Non c'è molto di nuovo in queste sue idee, rispetto agli anni di Vitali, dopo l'occupazione di San Petronio, o a quelli di Guazzaloca, con la Tolleranza zero. Bologna è tornata a votare la sinistra per uscire, magari di un piccolo passo, da un film già visto. Ad esempio, dall'immagine che legalità e tolleranza siano divise da un filo spinato. Preferisco pensare che siano divise da confini frastagliati, con una storia social-geologica che cambia, stagioni diverse, linee da ridisegnare, aprire e chiudere. Il problema alloggi, ad esempio, non si risolve con un odg.

E il degrado non è solo sporcizia e bottiglie rotte, a Bologna la droga circola anche in locali elegantissimi, e lo smog non la producono i gommoni albanesi. La destra, di fronte a problemi come l'immigrazione o la povertà dà una sola risposta, che è quella della paura. Una militarizzazione dell'inventiva politica. Un buon proposito della sinistra era, fino a un po' di tempo fa, non avere paura della complessità. La legalità preventiva non è una posizione forte, è un segno di debolezza. E lascia spazio a tutto: provocazioni, manovre, e pacchi-dono. Bologna è ancora il bersaglio di ogni piccola o grande setta.



Cofferati dice: «La gente è con me».
E' una frase che lascerei a Silvio. Non puoi decidere che prima delle elezioni la «gente» è fatta in un modo e dopo in un altro. E' come per gli intellettuali. Prima del voto sono utilissimi e da consultare, subito dopo ridiventano dei rompicoglioni da schivare. Troppo comodo.

C'è spazio, e tempo, per sperare che cambi?
Assolutamente sì. Non è più il tempo di dire: sono deluso e basta. Il disastro italiano è troppo grave per spalmarlo solo di lacrime. Quindi credo che ci siano spazi per inventare un dialogo, anche ruvido, ma vero, Sui centri sociali, ad esempio. Non si può dimenticare che hanno svolto un ruolo importantissimo nella città, un ruolo culturale, di convivenza, di politica dei prezzi, anche se sono molto litigiosi , all'interno e tra loro . Mi fanno girare i coglioni quando se la cavano gridando «Cofferati fascista». Ma la loro storia non è fatta solo di slogan: i centri sociali sono stati, e sono una ricchezza per Bologna, guai a considerarli solo un problema.

Però te ne vai da Bologna, con il tuo lavoro e il tuo seminario.
Non c'entra Cofferati. C'entra che in altre città lavoro meglio, e mi offrono soluzioni migliori. Ho la fortuna di potere essere un po' nomade.

C'è un tessuto politico-sociale su cui contare, a Bologna?
C'è, come in tante altre città , la «gente»: lavoratori, intellettuali, studenti, volontariato. A Bologna gli emigrati gestiscono le loro associazioni in proprio, come Harambè o la cooperativa Universo. Non c'è il deserto. Nelle stesse ore in cui davanti al comune c'era la «disfida», io ero in università con più di mille studenti. Era una bella assemblea, erano gli stessi studenti che poi sono stati indagati per «adunata sediziosa». E puntualmente sono arrivate le lettere incendiarie. Così tutti hanno potuto cancellare la novità di queste occupazioni. A Bologna c'è abbastanza varietà per il dialogo. Se poi si vuole buttare via tutto, Silvio ringrazierà.

Hai visto? E' rispuntata la pista anarchica.
Sarò sospettoso, ma ho dei dubbi a riguardo. Tanto ormai siamo a una cinica playstation del terrore virtuale, con paura preventiva o retroattiva. Quello che «potrebbe» o «poteva» esplodere. Come il kamikaze-ultrà con la maglia dell'Inter contro Berlusconi. Oppure le esercitazioni nei supermercati. A quando un'esercitazione del governo in caso di sconfitta elettorale?

Dì la verità: Cofferati, ti è piuttosto simpatico...
Dal punto di vista personale mi è molto simpatico, anche se andiamo più d'accordo su Philip Dick che su Celentano. Ma la simpatia non risolve nulla. Bisogna vedere se si ricorda perché è stato eletto. Aveva detto: questa città è chiusa e sofferente, deve tornare accogliente e civile. La sua elezione non è stata rituale. Spero che non si accontenti di gestire un ordine qualsiasi. Ma ripeto, se Bologna va il malora, la colpa è di tutti, non di uno solo.

E se avessi una bacchetta magica, cosa faresti per Bologna?
Realisticamente, farei un «quartiere dei bambini» nell'area ex-Roncati. Sognando, monterei tutta la città su una piattaforma gigante e la porterei in riva al mare. Costerebbe, ma sempre meno del ponte di Messina.


Dagospia 10 Novembre 2005