IL MERCOLEDÌ NERO DI PRODI - RUTELLI: L'INVESTITURA DEL LEADER FIN DALLE PRIMARIE - FASSINO VERSUS FRANCESCHINI - "E SE PRODI MINACCIA DI CANDIDARS SI PUÒ SCORDARE CHE STAVOLTA SARÀ L'UNICO CANDIDATO" - LETTA SPONSOR DI UN GOVERNO MARINI PER LE RIFORME.

Laura Cesarettui per Il Velino.it


Il mercoledì nero del governo Prodi si è aperto con un'intervista che ha segnato probabilmente il punto di massima lontananza tra il Professore e i suoi alleati e si è chiuso con un lungo vertice che ha messo di fronte al premier una gran parte di coloro che dalle pagine di Repubblica ha indicato come causa di tanti mali nell'azione del governo. Un vertice che si è concluso con un compromesso con contorni poco chiari (chi eleggerà il candidato premier? L'assemblea costituente, dice Prodi. Non si sa, dice Rutelli).

In mezzo una serie di incontri importanti, forse determinanti ai fini del buono o cattivo esito dell'azione governativa. Protagonista il segretario della Quercia Piero Fassino, che per tutto il giorno ha giocato il ruolo di mediatore infaticabile guidato dall'interesse a non far precipitare la situazione pur di guadagnarsi sul campo i galloni di coordinatore del Partito democratico, forte della propria debolezza quale migliore garanzia nei confronti di Romano Prodi che nulla avrebbe da temere.

Il segretario della Quercia ha prima incontrato il prodiano Santagata e poi l'uomo che più di tutti sembra intenzionato a tirare la corda, anche a costo di spezzarla. Il lungo Piero, dopo aver parlato e trovato l'intesa con il barbuto ministro di strettissima osservanza prodiana, sarebbe andato da Rutelli per proporgli di lasciare tutto come è ora, di accogliere l'aut aut prodiano sulla inaccettabilità della individuazione del leader del Pd già dalla prossima consultazione per la costituente, che per questo si dice pronto ad anticipare anche a giugno, e di accontentarsi della nomina di un coordinatore-speaker che conviva con Prodi presidente del Consiglio e presidente dello stesso Pd.

Un indentikit che per i popolari corrisponde a Dario Franceschini, e che invece per Fassino ha un vago sapore autobiografico. Netta sarebbe stata la risposta di Rutelli che, di fronte all'ennesimo aut aut del Professore a tutta la sua coalizione, vorrebbe una reazione altrettanto dura, imponendogli quello che proprio Franceschini, ma lo stesso leader in pectore Veltroni, hanno chiaramente chiesto: l'investitura del leader fin dalle primarie per la costituente.

"E se Prodi minaccia di candidarsi - dicevano oggi ambienti vicini al presidente del Senato - si può scordare che stavolta sarà l'unico candidato". Ed è proprio Marini in questo momento ad agitare i sonni dei prodiani. Perchè se è vero, come è vero, che Walter Veltroni scenderà in campo solo a cose fatte e con la benedizione di Romano Prodi, cosa che con l'intervista di ieri il Professore ha per ora reso impossibile, l'esito delle elezioni amministrative e l'asprezza delle cose dette a Repubblica dal premier hanno per tutto il giorno alimentato la tentazione di aprire la strada a un nuovo esecutivo guidato da Marini.

"Marini ci ha sempre detto di essere disponibile a fare il governo a patto che non sia elettorale - spiega un senatore di Forza Italia - ma istituzionale, che cioè duri almeno due anni e faccia le riforme. E il più assiduo sponsor di questa intesa presso Berlusconi è Gianni Letta. Marini è perfetto per quell'incarico, libererebbe per Pisanu il posto di presidente del Senato, farebbe le riforme che questo governo non ha la forza di fare, a partire da quella delle pensioni, e consentirebbe alle due coalizioni di strutturarsi in modo migliore di ora".



Proprio Letta ieri ha preso parte al pranzo che a Palazzo Grazioli ha visto uniti Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, oltre al coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi che ieri ha proposto le larghe intese per superare l'empasse attuale rappresentata dal gabinetto Prodi. Un'ipotesi che invece il leader di An non ama, ma che deve essersi sentito riproporre oggi, tanto più alla luce delle aperture su un governo Marini fatte dal segretario Udc, Lorenzo Cesa.

Berlusconi non può permettersi di farsi scavalcare senza essere l'interlocutore principale della Cdl. Alla fine si è convenuto di stilare un documento nel quale si chiedono le dimissioni del governo. Ma con un passaggio finale particolarmente sibillino: "Si impone una riflessione sulle sorti del paese affinché non si sprechi l'occasione della ripresa economica. Tocca alla sinistra dire con chiarezza cosa intende fare".

In sostanza un'apertura a un governo tecnico istituzionale guidato da Franco Marini, che faccia le riforme economiche di cui il Paese ha bisogno, prima che l'antipolitica, magari con i panni di un Montezemolo, torni a seminare il terrore nel sistema politico come avvenne nel 1992, evocato da Massimo D'Alema nell'ormai nota intervista al Corriere della Sera. Riforme che l'attuale governo non riesce a fare, perché bloccato dai veti di Rifondazione comunista. Forse per questo il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa si è recato oggi pomeriggio a far visita al presidente della Camera Fausto Bertinotti, vero leader della sinistra alternativa.

Proprio il Prc ha cominciato il tiro al piccione su TPS, arrivando al punto di indicarlo come principale ragione del flop alle amministrative. Ora che però la crisi è dietro l'angolo e la soluzione pronta prevede l'allontanamento proprio di Rifondazione il ministro dell'Economia avrà avuto gioco facile, si fa per dire, nel chiedere a Bertinotti garanzie di agibilità politica su un programma che giustifichi l sopravvivenza del governo Prodi.

Difficile però in questi giorni trovare in Bertinotti un interlocutore attento alle ragioni della governabilità. Il suo partito è andato male alle amministrative, pagando un prezzo molto alto al passaggio dalla lotta al governo. Chi lo conosce descrive Fausto come "molto irrequieto in queste ore". I prossimi giorni diranno se il Prc si appresta a terminare la sua prima esperienza di governo nazionale e se TPS avrà esperito l'ultimo ma inutile tentativo prima della fine.

I pensieri per il ministro dell'Economia non sembrano in ogni caso finiti con l'incontro di Montecitorio. È anzi a Palazzo Madama che si nascondono i pericoli maggiori per lui e soprattutto per il suo viceministro Vicenzo Visco. Ieri l'Italia dei valori ha formalizzato la presentazione di una mozione che chiede a Visco di lasciare le deleghe sulla Guardia di Finanza per via delle polemiche con il generale Speciale su Unipol. Una richiesta fatta propria anche da tre senatori ulivisti come Willer Bordon, Roberto Manzione e Natale D'Amico. Senza contare i forti malumori manifestati da Mastella.

Se, come sembra probabile, la Cdl dovesse ritirare la proprio mozione, volta a chiedere il ritiro di tutte le deleghe, per convergere su quella di Di Pietro per il viceministro sarebbe davvero arduo superare indenne il passaggio a Palazzo Madama, previsto per il prossimo 6 giugno. A meno di non mettere in gioco una questione di fiducia che potrebbe essere letale non solo per Visco.


Dagospia 31 Maggio 2007