IL RITORNO DI COPPOLA - VOLEVO ESSERE ANTONIONI, INVECE GIRAI "IL PADRINO"- HO FATTO I MIEI FILM "DA ADULTO" QUANDO ERO GIOVANE, E ORA CHE SONO VECCHIO VORREI FARLI CON SPIRITO GIOVANE. INDIPENDENTI, DISINIBITI, ORIGINALI.

Silvia Bizio per "la Repubblica"

Autentico "uomo rinascimentale", come si dice in America, Francis Ford Coppola è l´incarnazione di una molteplicità di talenti: cineasta visionario, premio Oscar (per "Il padrino"), impresario e produttore, talent-scout, viticoltore di grande successo. Oggi, a 68 anni, "don" Coppola si considera un uomo pienamente appagato. Seduto nel patio della sua elegante villa di Rutherford, nella campagna di Napa Valley a nord di San Francisco, Coppola ci indica le immense distese di vigneti (la "Rubicon Estate") da cui produce i suoi vini più pregiati. A destra è collocato il casale del centro di degustazione e vendita, con mescita e collezione di botti visitata ogni giorno da centinaia di turisti. La villa, dove vive con la moglie Eleanor, fu costruita nel 1880 dal capitano Gustav Niebaum. In questa villa sono cresciuti Giancarlo, il primo figlio di Francis morto in un incidente nautico vent´anni fa, Sofia, che oggi vive a Parigi con il cantante Thomas Mars e la loro bimba di sette mesi, e Roman, che si sta imponendo come regista e sceneggiatore.

«Amo questa casa, ero convinto che sarebbe stato qui che mia moglie ed io saremo invecchiati, ma da qualche tempo ci siamo trasferiti a vivere in una piccola casa in montagna, qui vicino, tra foreste e animali selvatici» dice sorridendo Coppola. Ci guida poi nella sua cantina privata, che farebbe invidia ai più grandi collezionisti di vini del mondo, dove sceglie una bottiglia di Cask del 1995, ovviamente di produzione Rubicon, la sua etichetta di prestigio, che stappa subito per gustarla insieme due ore dopo. Il regista oggi è il dodicesimo produttore di vini negli Stati Uniti. «I complimenti di chi visita la mia enoteca mi commuovono ancora di più di quelli della critica cinematografica» ci confida ridendo.

Dopo dieci anni di assenza, Coppola sta per tornare sugli schermi con "Youth without youth" (in Italia uscirà il 26 ottobre per la Bim con il titolo "Un´altra giovinezza"). Scritto da lui stesso, tratto da una novella di Mircea Eliade, il film è una storia d´amore e mistero ambientata nella seconda metà del '900 (protagonisti Tim Roth, Alexandra Maria Lara, Matt Damon e Bruno Ganz), che si vedrà in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma il 20 ottobre. «Non c´è stato festival al mondo che non mi abbia fatto la corte» dice Coppola «Ma invece di Berlino o Cannes, ho finito per scegliere Roma».

Perché?
«Sarò sincero: per far contenti i miei distributori, la Pathé e la Bim, e tutti coloro che hanno avuto fiducia in questo film. Fosse per me, non parteciperei mai a nessun festival, sono convinto che l´era dei festival è finita: ora hanno solo a che fare con il mercato e con una stampa in cerca di polemiche. Mi è sembrato che a Roma gli organizzatori siano interessati a mostrare in anteprima una produzione piuttosto che a gettarla in pasto ai cani per vedere l´effetto che fa, come succede di solito ai film che io definisco "all´antica"».

Che reazioni si aspetta?
«"Youth without youth" è il primo film che faccio dal 1997 e immagino che tutti muoiano dalla voglia di scoprire se vale o meno. Io spero solo che lo trovino interessante. Me ne sarei andato volentieri a Buenos Aires per iniziare subito le riprese del mio prossimo film, "Tetro". Ma l´uscita di "Youth" a Roma mi ha costretto a rimandare il ciak a gennaio o febbraio».

Così rimanderà ancora una volta il suo progetto "Megalopolis", di cui si parla da anni. Che problemi ha incontrato?
«La difficoltà principale di "Megalopolis" è la sua ambizione, un intreccio che si sviluppa su diversi livelli e ambientato a New York, una sinfonia cinematografica sul tema dell´utopia. C´è stato l´11 settembre proprio mentre stavo lavorando a New York sulla preproduzione di "Megalopolis". Per un po´ ho provato a vedere se era possibile innestare questo tragico evento nel tessuto del film, ma ho scoperto che è difficile parlare d´utopia mentre il mondo continua a ripetere i suoi stupidi sbagli. Ma un giorno farò "Megalopolis", ho in mente immagini fantastiche».



Invece "Youth withouth youth" come è nato?
«Il tema del principio e della natura della coscienza umana nel lavoro di Eliade era vicino a certi miei pensieri sviluppati per "Megalopolis". Il tempo dipende dalla coscienza, senza cui non esisterebbe. Ho chiesto lumi a una mia amica studiosa orientalista e di sanscrito e lei mi ha citato Mircea Eliade sui concetti di tempo e coscienza. Ho letto questo suo romanzo e, ormai convinto di non poter avere i mezzi per fare "Megalopolis", ho pensato che trarne un piccolo film finanziandolo da solo era la cosa giusta da fare. Ho imitato mia figlia Sofia, che gira in ammirevole economia. Con questo film potrei ricominciare una nuova carriera, come regista e autore».

Le mancava il cinema?
«Non avevo nessuna voglia di tornare a lavorare nel sistema cinematografico che vedo intorno a me. Ma con qualcosa di originale e personale potrei anche ripensarci. Ho la fortuna di avere avuto successo come businessman in altri campi e con un limite di 15 milioni di dollari posso finanziarmi un film per conto mio».

Un ritorno ai suoi esordi, dunque?
«Direi di sì. Iniziai come sceneggiatore, scrissi "Patton" nel 1970 e mi aprì le porte di Hollywood, poi ho scritto molti dei copioni dei film per cui sono famoso. Voglio continuare così. Quando ero giovane volevo fare film personali come i grandi registi europei che ammiravamo allora, negli anni '50, Antonioni, Fellini, Rossellini, la Nouvelle Vague francese, Kurosawa. E invece ho fatto "Il padrino", ero giovane e ho avuto subito molto successo. Ora vorrei vedere un rovesciamento nella mia carriera: ho fatto i miei film "da adulto" quando ero giovane, e ora che sono vecchio spero di fare film con spirito giovane. Ovvero indipendenti, disinibiti, originali».

Vede analogie tra "Youth..." e alcuni suoi film del passato?
«Sì, non tanto con quelli sperimentali come "Un sogno lungo un giorno", in cui volevo imitare le tecniche della televisione, ma con film come "Rain People", del 1966: era un film puro, una storia interessante per un giovane di soli 22 anni come ero quando l´ho scritto, aveva a che fare con la liberazione delle donne. A volte mi domando cosa sarebbe successo se avessi potuto continuare a fare film come "Rain People" o "La conversazione" invece di "Il padrino", che ha cambiato tutto. In un certo senso il mio nuovo film, "Tetro", è quello che avrei voluto fare dopo "La conversazione"».

Cosa racconta "Tetro"?
«E´ una storia ambientata in Argentina e ha a che fare con la famiglia, come tutto quello che faccio, in questo caso le rivalità che emergono in una famiglia di artisti, come la mia. Avrebbe potuto essere ambientata a New York, o in qualunque altra città dove ci sono immigrati italiani. E´ un mio copione originale, tipo Tennessee Williams o Eugene O´ Neill. Matt Dillon è uno dei protagonisti».

Le pesa invecchiare?
«Io ho avuto tante avventure interessanti nella mia vita: un lavoro affascinante nel cinema, la gioia della mia famiglia, un lungo matrimonio, i miei figli che ho visto diventare artisti. Ora alla mia età, libero dal bisogno di guadagnare soldi, ho la possibilità di tornare a quando avevo 16 o 17 anni e fare ciò che desideravo allora. Scherzando dico sempre che i 50 anni sono stati la mia età preferita. Così ora che ne ho 68 sono un diciottenne, almeno questo è il modo in cui mi sento»


Dagospia 03 Agosto 2007