CON ALITALIA, LO STATO È SEMPRE “PATRIOTA” (MA CON I SOLDI NOSTRI) - LETTA E SACCOMANNI POCO DISPOSTI A DARE A MORETTI LA LIBERTÀ DI MANOVRA CHE HA CHIESTO E CHE HA AVUTO NELLA GESTIONE DELLE FS…

Luca Fornovo per "La Stampa"

Sembra un paradosso ma lo Stato italiano, dopo la vendita nel 2008 alla cordata degli imprenditori-patrioti, dovrà rimettere mano al portafoglio e - con buona pace del contribuente - tornare a essere azionista di Alitalia. Un'operazione che, secondo fonti finanziarie, potrebbe avvenire attraverso più soggetti pubblici, probabilmente il Tesoro e le Ferrovie dello Stato per sottoscrivere una parte dell'aumento di capitale da 100 milioni (più 55 milioni del bond convertibile), divenendo socio di minoranza.

Al momento questa appare l'unica soluzione per convincere i francesi di Air France a partecipare alla ricapitalizzazione e per evitare così che l'ex compagnia di bandiera eviti la bancarotta, visto che i soldi in cassa sono ormai agli sgoccioli. Il vertice di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi tra governo, Alitalia, banche e fornitori, non ha portato all'accordo per sbloccare le risorse necessarie a salvare la compagnia e quindi la trattativa proseguirà a oltranza.

Ieri sera c'è stato anche un incontro a porte chiuse tra il premier Enrico Letta e il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, probabilmente per individuare modalità e tecnicalità con cui lo Stato tornerà a essere azionista. Il Tesoro potrebbe partecipare direttamente o indirettamente attraverso un veicolo finanziario e poi un contributo potrebbe arrivare dalle Fs.

Lo schema su cui si sta lavorando potrebbe prevedere che i soci italiani, tra cui lo Stato e altri soggetti privati, come Intesa Sanpaolo (ora all'8,9% di Alitalia) e Atlantia (8,90%), arrivino ad avere poco più della maggioranza di Alitalia, lasciando ad Air France una quota di minoranza che permetterebbe così ai francesi di evitare di consolidare bilancio e perdite del vettore italiano.

Con le Ferrovie i colloqui vanno avanti anche se il piano presentato al governo dall'ad Mauro Moretti ha convinto a metà Letta e il suo entourage. Bene per le sinergie tra i due gruppi, a cominciare dal portare i treni ad alta velocità a Fiumicino perché darebbe qualche chance in più allo scalo romano per diventare un hub internazionale per i voli a lungo raggio.

E l'alta velocità potrebbe convincere i francesi a continuare a scommettere su Fiumicino. Ma d'altro canto l'esecutivo non sembra disposto a concedere a Moretti la libertà di manovra che ha chiesto e che ha avuto nella gestione delle Fs. Forse per non creare una poco gestibile diarchia col socio francese.

Di conseguenza l'investimento delle Fs potrebbe essere un po' meno cospicuo del previsto. Oggi sono comunque attesi nuovi incontri o colloqui telefonici tra il governo e l'azienda visto che non c'è stata nessuna intesa nell'incontro di ieri. Al vertice erano presenti, oltre Letta e Saccomanni, i ministri dello Sviluppo economico Flavio Zanonato e dei Trasporti Maurizio Lupi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi.

Per l'azienda c'era invece l'ad Gabriele Del Torchio e il presidente Roberto Colaninno, per le banche l'ad di Unicredit Federico Ghizzoni e il direttore generale di Intesa Sanpaolo Gaetano Micciché, oltre all'ad di Atlantia Giovanni Castellucci. Oggi si cercherà di trovare la quadra. Alitalia, che ha in programma un Cda per oggi pomeriggio, si dice «ottimista e vicina a una soluzione».

Ma l'accordo per consentire alla compagnia di avere 300 milioni per il piano industriale, non è scontato. A queste risorse ieri le banche non hanno dato il via libera e anche i fornitori si sono chiamati fuori. Dagli Usa l'ad dell'Eni, Paolo Scaroni ha tagliato la testa al toro: «Non possiamo - ha osservato - aumentare il fido a una società il cui futuro non ci dà sicurezza. Se non riscuote la fiducia degli azionisti non possiamo tenerla in vita noi con il carburante».

 

 

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