SUV CON LA VITA! - MARPIONNE FA MARCIA INDIETRO: I BISONTI DELLA STRADA NON SARANNO PRODOTTI A MIRAFIORI PERCHÉ NESSUNO SE LI COMPRA, MEGLIO UNA CITYCAR (MA COME COPRIRE I COSTI?) - LICENZIATO IL CAPO DELLE VENDITE FORMICA. IL LINGOTTO NEI PRIMI SETTE MESI DELL’ANNO HA VENDUTO IL 12,6% IN MENO: È IL PEGGIOR RISULTATO TRA I PRINCIPALI COSTRUTTORI E ANCHE I SINDACATI CHE SI SONO FIDATI DELL’IMPULLOVERATO ORA SI PREOCCUPANO…

Vittorio Malagutti per "Il Fatto Quotidiano"

Si squaglia il suv targato Mirafiori. Resta sulla carta il progetto che doveva assicurare il rilancio dello stabilimento torinese della Fiat. La notizia rimbalza dall'America, lanciata dall'agenzia di stampa Bloomberg, che cita fonti (anonime) del gruppo del Lingotto. "Stiamo riconsiderando l'investimento", spiegavano solo qualche giorno fa i portavoce di Sergio Marchionne. Colpa della rivalutazione dell'euro sul dollaro, dicevano le fonti ufficiali, che rende meno conveniente assemblare i modelli in Italia per poi esportare negli Usa più della metà produzione. E invece no. Il problema è il mercato.

Marchionne raccontava che dalle linee di Mirafiori sarebbero usciti fino a 280mila suv con il marchio Alfa e Jeep. Il problema, però, è trovare i compratori. Gli analisti prevedono che nei prossimi mesi le vendite di auto non aumenteranno, almeno in Europa. E allora come piazzare la merce uscita dallo storico stabilimento torinese? Per questo adesso il Lingotto sta seriamente pensando di fare marcia indietro, spostando negli stabilimenti americani della Chrysler la produzione originariamente destinata a Mirafiori.

Oggi e domani si riunirà a Torino l'executive council del gruppo, ovvero la tavola rotonda dei 22 top manager guidati da Marchionne a cui sono affidate le scelte strategiche dell'azienda. È probabile che la sorte di Mirafiori sia uno degli argomenti in discussione. L'alternativa ai suv, raccontano fonti vicine al vertice del gruppo sarebbe una citycar. Una vettura super compatta, quindi, l'esatto contrario dei bisonti della strada previsti da principio. Ammesso che queste voci siano credibili, le incognite davvero non mancano.

Quante vetture piccole e piccolissime dovrebbero essere prodotte a Torino per assicurare la stessa mole di lavoro garantita (sulla carta) dai suv? Senza contare che con le citycar anche i margini di guadagno si ridurrebbero di molto. A dire il vero molti analisti fin da principio avevano espresso perplessità sui piani presentati l'anno scorso da Marchionne.

Praticamente, una piattaforma sviluppata negli Stati Uniti, come pure i motori, sarebbe stata portata a Mirafiori per poi esportare in America buona parte del prodotto finito. Difficile da gestire. Ancora più difficile guadagnarci qualcosa, azzardavano i pessimisti.

Anche al Lingotto adesso devono avere più di qualche dubbio, se è vero che stanno riesaminando i piani elaborati nel 2009 e presentati l'anno successivo. Marchionne aveva promesso di investire almeno un miliardo di euro e aveva condizionato il rilancio a una nuova e più flessibile organizzazione del lavoro. La proposta aveva spaccato i sindacati con la sola Fiom a opporsi ai piani del manager. Il referendum con la vittoria dei sì ai piani aziendali in teoria avrebbe dovuto spianare la strada agli investimenti.

In realtà non è successo nulla. Marchionne ha continuato a pretendere "maggiori certezze" prima di mantenere le promesse. E adesso gli stessi piani di partenza vengono messi in discussione. L'Italia decida se vuole ancora produrre auto, chiedeva polemicamente il presidente della Fiat, John Elkann, pochi giorni fa dal palco del meeting di Rimini.

Solo che adesso è il Lingotto a lasciare l'Italia nell'incertezza più totale. Il rilancio di Mirafiori era un tassello fondamentale nell'ormai fantomatico piano "Fabbrica Italia" con cui Marchionne voleva rimettere in piedi il gruppo automobilistico.

I sindacati, quelli che si erano fidati del capo del Lingotto adesso si preoccupano. Fim e Uilm, insieme a Fismic e Ugl, ieri hanno chiesto un incontro urgente ai vertici della Fiat sul futuro di Mirafiori. Sul fronte Cgil, il segretario generale Susanna Camusso va all'attacco e dice che "bisogna smettere di fidarsi delle telefonate, degli annunci, delle dichiarazioni".

Che poi sarebbe la strategia con cui Marchionne, buttandola in politica, ha fin qui evitato di venire al punto dei problemi più importanti del gruppo. Problemi commerciali, innanzitutto.

Le difficoltà di Torino, che in Europa nei primi sette mesi dell'anno ha venduto il 12,6 per cento in meno (peggior risultato tra i principali costruttori), stanno provocando tensioni anche ai vertici del gruppo. Si spiega anche così il siluramento di Andrea Formica, il manager ex Toyota a cui Marchionne solo un anno fa aveva affidato le strategie commerciali. Formica paga i deludenti risultati del gruppo.

Certo è che tenere il passo della concorrenza assomiglia molto a una mission impossible, quando nel portafoglio prodotti scarseggiano le novità. E infatti è andata finire nel peggiore dei modi. Adesso il manager ha fatto le valigie, ma mancano ancora i nuovi modelli. Con chi se la prenderà Marchionne la prossima volta?

 

Marchionne in 500Alfa Romeo prototipo SUVAndrea Formica

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