IL BLUFF DEI 40 MILIARDI SCATENA LA RIVOLUZIONE DELLE TASSE

Gloria Riva per L'Espresso

Quando, all'inizio di aprile, il presidente Mario Monti aveva annunciato il pagamento di 40 miliardi di euro in tempi rapidi alle imprese che da mesi aspettano i pagamenti della pubblica amministrazione gli imprenditori non avevano creduto alle loro orecchie. Quando poi hanno scoperto la complessità del decreto legge e intuito che i tempi dei pagamenti sarebbero stati tutt'altro che veloci sono stati colpiti dallo sconforto, ma non si sono arresi.

Hanno invece deciso di lasciare la sala d'attesa, in cui sono abbandonati da mesi, per andarsi a prendere da soli i soldi che gli spettano: li tratterranno dalle tasse. Non è ancora una protesta, ma una controproposta che artigiani e commercianti hanno fatto al governo. Se lo Stato rifiuterà, procederanno da soli, tagliandosi le imposte.

«Così non si può più andare avanti», dice Armando Risaliti, artigiano di Prato «sto aspettando 400 mila euro dalla Asl e nel frattempo mi sono fatto anticipare i soldi dalla banca, che si tiene 37.500 euro di interessi l'anno». Risaliti è a capo del Consorzio Odontotecnici delle Province Toscane, che lavora per le Asl del Centro Italia. Il ritardo medio dei pagamenti è di 180 giorni, ma oggi nella sanità si è arrivati a sfiorare i due anni. Il settore che sta peggio è però quello delle costruzioni, come spiega Vilmo Canghiari, imprenditore edile marchigiano: «La Provincia di Pesaro mi deve 800 mila euro. Più lavoro, più il debito cresce, più lievita il prestito con le banche, che a fine anno si trattengono il 7 per cento di quanto mi spetta dallo Stato».

In base alle stime della Banca d'Italia, lo Stato ha debiti per 91 miliardi di euro; secondo Confindustria sono 110; per l'associazione degli artigiani di Mestre 130. Ignoto è anche il numero delle aziende coinvolte.

Da Confindustria il presidente Giorgio Squinzi ha già bocciato il decreto: «Contiene procedure molto complesse, che rischiano di allungare i tempi e per noi questo sarebbe un serio problema». A spiegare perché il decreto fa acqua da tutte le parti è Cesare Fumagalli, direttore generale della Confartigianato: «Un sistema analogo era stato usato nel 2007 per consentire alle Regioni di pagare i debiti della sanità. Ci hanno messo dai tre ai cinque anni per mettere in moto la macchina».

Inoltre la procedura si svolgerà per via telematica, sfruttando la stessa piattaforma creata dieci mesi fa per il pagamento dei crediti in titoli di Stato. In quell'occasione, come ha evidenziato la Banca d'Italia, sono stati emessi 15 milioni su uno stanziamento di 2 miliardi, perché solo il 5 per cento delle amministrazioni interessate (1.700 su 20 mila) si è registrato sul sito. Le altre non l'hanno fatto perché le procedure operative erano troppo complesse e per la mancanza di sanzioni per le Regioni inadempienti.

Poi c'è la questione dell'elenco cronologico delle imprese creditrici, che le amministrazioni locali devono realizzare entro venti giorni, ma che Rete Imprese Italia (l'associazione dei negozianti e dei piccoli imprenditori) stima realizzabile in non meno di un anno. Tempi inaccettabili per imprese che in alcuni casi non possono nemmeno più contare sugli anticipi delle banche. È quanto sta accadendo in Sicilia, dove la Regione non è più considerata ente affidabile da parte degli istituti di credito: «È un anno che aspetto 5 mila euro dalla Regione», racconta Domenico Daleo, impiantista a Palermo, «e le banche non mi fanno credito perché pensano che l'amministrazione non sarà mai in grado di pagare».

Qualche tempo fa Daleo aveva avviato un contenzioso con la Regione Sicilia per un altro arretrato da 4.200 euro. Dopo quattro anni e mezzo il conto è stato saldato, ma all'imprenditore sono stati accollati 400 euro per l'imposta di registro del decreto ingiuntivo: «Doveva pagare la Regione, ma visto che le casse sono a secco, l'Erario ha pensato di metterli sul mio conto. Dovrei pagarli entro fine aprile, ma non sborserò un centesimo. Lo Stato ha già i miei soldi due volte: pretende la massima puntualità per le tasse e poi non mi paga i lavori effettuati. E se iniziassimo a pagare solo il dovuto?», ipotesi che Rete Imprese Italia sta valutando.

Per il momento le associazioni imprenditoriali hanno chiesto alla Commissione speciale di stracciare gran parte del decreto legge di Grilli e procedere con la compensazione del credito. Sostanzialmente la proposta dei piccoli è che sia il creditore a dire quanto gli spetta. Una volta ottenuto l'assenso dall'ente pubblico, l'imprenditore dovrebbe potersi scontare la somma dal primo versamento di imposte, di contributi Inps o di premi Inail. Se ciò accadesse, i tre enti si troverebbero con un buco da colmare e andrebbero a loro volta a batter cassa allo Stato. «Sarebbe una rivoluzione», commenta Enzo Ponzio, imprenditore edile di Bologna, «ma dubito che la proposta venga accettata dal Parlamento e perciò siamo tentati di andare avanti comunque».

Per evitare che si arrivi a una guerra senza regole, la Confartigianato ha pensato a un piano di riserva. Se le commissioni rigetteranno la proposta della compensazione diretta, allora l'associazione accetterà il decreto del governo così com'è, ma con una clausola di salvaguardia: se alla fine di giugno sarà evidente che gli enti locali non riescono a seguire la tabella di marcia per onorare i debiti, allora si passerà al sistema delle compensazioni e le imprese si dedurranno da sole i crediti dalle tasse.

Non solo, nei piani delle associazioni imprenditoriali l'autoliquidazione dei debiti dovrà diventare il sistema standard, così da rispondere alla nuova normativa europea, introdotta il primo gennaio, che impone il pagamento dei debiti entro 30 giorni, nel settore pubblico come in quello privato. Una legge che al momento sta solo sulla carta, come racconta Giuliano Secco, titolare di un laboratorio di maglieria di Treviso: «Lavoro per le case di moda che pagano quando vogliono. Per lavorare siamo costretti a firmare accordi di pagamento a 60 o 120 giorni. E protestare vorrebbe dire far scappare il cliente».

 

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