IL CRUCCO GRILLINO - L'EX PRESIDENTE DEGLI INDUSTRIALI TEDESCHI ATTERRA A ROMA PER CONVINCERE GLI ITALIANI A SBATTERE FUORI GERMANIA, OLANDA, AUSTRIA E FINLANDIA DALLA ZONA EURO: "O SI FANNO GLI STATI UNITI D'EUROPA O SI DEVE SEGMENTARE L'AREA DELLA MONETA UNICA”

Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"

«Per salvare l'euro abbiamo due alternative: o si fanno gli Stati Uniti d'Europa oppure si deve dividere l'area della moneta unica, consentendo ai quattro paesi più forti, cioè Austria, Finlandia, Germania e Olanda, di utilizzare un'altra valuta». Appena sbarcato dall'aereo in arrivo di Berlino, Hans Olaf Henkel mette subito in chiaro che l'Unione europea, così com'è, è vicina al «disastro».

A Roma, l'ex presidente della Confindustria tedesca (la Bdi) è venuto per dare sostegno al movimento italiano antieuro, guidato, tra gli altri, da Alberto Bagnai. Henkel, candidato alle prossime elezioni per il Parlamento europeo nelle file di Alternative für Deutschland (Afd), il partito tedesco che si batte contro la moneta unica, oggi parlerà al convegno «Un'Europa senza euro».

E in questa intervista a Libero anticipa i contenuti del suo intervento. Cioè la ricetta per tenere in piedi l'euro e quindi tutto il Vecchio continente. Ricetta che Henkel, tra altro ex numero uno della Ibm Europa, sta portando avanti da parecchi anni girando come una trottola da una città all'altra dopo aver firmato il Manifesto di solidarietà europeo.

Dottor Henkel, lei sostiene che l'area euro sia da segmentare altrimenti non si salva più nulla. Andare avanti così non è più possibile?
«No, serve discontinuità perché siamo vicini al disastro. Sul piano strettamente valutario esistono tre opzioni. E le dico subito che le prime due non sono le migliori».

Le illustri.
«La prima prevede di far uscire dalla zona euro i paesi che non sono capaci di restarci. Ma attenzione: in molti paesi, come la Grecia, scatterebbe una corsa agli sportelli delle banche nei paesi periferici. Con la nascita di un euro del Nord, vedremmo file di cittadini ad Atene, ma anche a Madrid, Lisbona. E poi magari anche a Roma e Parigi.

Poi c'è il secondo progetto e cioè riportare le lancette indietro nel tempo, tornando tutti alle nostre monete: i tedeschi col marco, gli italiani con la lira, i francesi col franco ... ma daremmo via a una sostanziale rinazionalizzazione con enormi danni per l'intero mercato unico europeo».

Bocciate queste due soluzioni, resta la terza, quella che lei sponsorizza con un gruppo che abbraccia varie nazionalità, compresi italiani e francesi.
«È quella che preferisco perché è anche la più semplice e senza controindicazioni: i Austria, Finlandia, Germania e Olanda dovrebbero dare vita a una seconda area valutaria adeguata alla caratteristiche dei paesi più forti. Del resto, siamo in una situazione paradossale: l'euro oggi è troppo debole per quei quattro paesi e troppo forte per tutti gli altri».

E questo che cosa significa in particolare per l'Italia?
«Significa che il vostro Paese sconta una bassissima crescita e una altissima disoccupazione. L'uscita dei quattro paesi più forti deprezzerebbe l'euro e la vostra industria ne trarrebbe enormi benefici perché tornerebbe a esportare di più. All'inizio la Germania soffrirebbe, ma lo farebbe in una logica di solidarietà che poi è il senso del nostro Manifesto. Il punto fondamentale è che abbiamo bisogno di adattare la valuta alle diverse culture del nord e del sud Europa».

Tutti e tre i progetti, però, non sembrano facili da condurre in porto sia per quanto riguarda gli aspetti tecnici sia per i tempi. Esiste un piano B?
«In realtà non è così difficile. Si tratta di volontà politica e sono convinto che qualcosa stia cambiando da questo punto di vista anche in Germania. Comunque, se non si riesce a realizzare il progetto monetario non resta che battere la soluzione politica con un rafforzamento incisivo degli organismi dell'Unione europea. La direzione da prendere, in questo senso, sarebbe la creazione degli Stati Uniti d'Europa: ma quanti paesi direbbero sì? Credo pochi».

In Italia ha preso piede, da un pezzo, l'idea del complotto di Berlino contro Roma. Dica la verità: proprio voi industriali tedeschi negli anni '90 avete imposto l'euro all'Italia e i benefici sono stati tutti vostri.
«Ma è una balla! Quella del complotto, della cospirazione, mi creda, è davvero un'idea ridicola. Certamente corrisponde alla realtà che negli anni '90 l'industria tedesca si sia trovata a fare i conti con seri problemi di crescita. Ed è anche vero che dal nostro osservatorio guardavamo con non poca preoccupazione la crescita della manifattura italiana, in quegli anni assai significativa. Le svalutazioni italiane ci resero la vita difficile. L'euro, sì, è stata una soluzione per la Germania che da quel momento ha cominciato a correre con l'export, in particolare nel settore automotive, ma non abbiamo mai voluto penalizzare gli altri. Non era un obiettivo».

Poi ci sono le banche. L'Unione bancaria e la vigilanza unica sono una risposta alle crisi degli istituti e alla stabilità dei mercati finanziari?
«L'Unione bancaria è un crimine, perché costringe i cittadini di un paese a tirare fuori i soldi per evitare il fallimento di una banca straniera. Ma si rende conto che questa previsione è antidemocratica?».

Più di qualcuno, però, sospetta che la Germania si sia messa a lungo di traverso solo per tutelare le proprie banche e magari per nascondere qualcosa.
«Può darsi, non si può accettare tutto. È un diritto dei i governi proteggere i propri interessi. Certe previsioni sono eccessive e probabilmente illegittime».

Guardiamo a quello che sta accadendo questi giorni. Il presidente della Bce Mario Draghi ha annunciato di voler stampare moneta per mille miliardi di euro. Una misura utile?
«Sì, certamente l'idea di stampare nuova moneta è importante, ma servono anche altri interventi in assenza dei quali con maggiore liquidità, che non basta per tenere in piedi l'euro, il risultato finale sarà anzitutto la crescita dei debiti pubblici a vette insostenibili».

Torniamo in Italia: conosce il premier Matteo Renzi? Come valuta l'operato?
«No, non conosco Renzi. D'altra parte cambiate governo con troppa frequenza. Quanti ne avete avuti dal secondo dopoguerra? Il vostro sistema istituzionale va rivisto profondamente. Poi ovviamente servono anche le riforme, a cominciare dal mercato del lavoro che deve diventare sensibilmente più flessibile. In ogni caso, l'Italia è ancora una bomba a orologeria».

 

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