1. MI-JENA GABANELLI RICICCIA AL MAGO TREMONTINO IL SUO AMICO PARA-PONZO-PONZELLINO 2. GONG! TERZO ROUND DEL COMBATTIMENTO TRA LA CONDUTTRICE DI ‘’REPORT’’ E L’EX MINISTRO DELLE FINANZE DELLO STATISTA DI ARCORE. OGGI TOCCA A MI-JENA, CHE SPARA UN BEL CALCIO NEGLI ZEBEDEI AL FISCOLO DI SONDRIO: “I DERIVATI SONO ARRIVATI IN ITALIA DOPO LA DEREGULATION INTERNAZIONALE DEGLI ANNI '90; LA POLITICA ITALIANA NON C'ENTRA. IL PROVVEDIMENTO TREMONTI DEL 2003, CHE SECONDO IL MINISTRO LI HA DISCIPLINATI, IN REALTÀ LI HA CONSENTITI ED HA APERTO IL VASO DI PANDORA” 3. E VAI CON LA LEGA DI BOSSI: “LA RITROSIA DI TREMONTI È COMPRENSIBILE, DATO CHE IL CONVERTENDO EMESSO NEL 2009 DALLA BPM DEL SUO AMICO PONZELLINI, A SUPPORTO DELLA SOTTOSCRIZIONE DEI TREMONTI BOND, È STATO INFASTIDITO PROPRIO DAGLI ‘SCENARI’ CHE HANNO DICHIARATO CHE IN QUASI IL 70% DEI CASI GLI INVESTITORI AVREBBERO PERSO METÀ DEL CAPITALE; CIRCOSTANZA PUNTUALMENTE VERIFICATASI”

Milena Gabanelli per "Corriere della Sera"

Martedì ho osato, su questo giornale, dubitare della bontà della recente proposta di legge dell'on. Giulio Tremonti alla soluzione del dramma derivati: «Vietare di metterne a bilancio gli effetti (perdite o profitti) se non quando tali effetti si verificano, cioè alla scadenza». L'ex ministro ieri ha replicato in modo sferzante, ma non veritiero. Vediamo punto per punto.

Tremonti scrive che «i derivati sono apparsi in Italia e si sono diffusi su scala crescente ed in forma anarchica negli anni '90, tutti anni dominati dal centrosinistra».

I derivati sono arrivati in Italia dopo la deregulation internazionale degli anni '90; la politica italiana non c'entra. Confusione strumentale di Tremonti tra i derivati in genere e quelli degli enti locali che si sono potuti fare solo dopo la legge del 2001 divenuta operativa con il suo Decreto ministeriale del 2003.

«Si ricorderà ad esempio, a proposito di finanziamento via derivati, la magica stagione del "rinascimento napoletano"». Il riferimento al rinascimento napoletano (metà anni '90) è fuorviante in quanto i derivati non erano accessibili agli enti locali se non per coprirsi dal rischio di cambio. Il che era ragionevole in quanto fino al 1999 avevamo la lira, e quindi poteva convenire fare una emissione in sterline o dollari o marchi per puntare ad avere dei tassi di interesse più bassi. Bassolino invece, nel '96, fece una irragionevole emissione in dollari, ma derivati di altra natura non si potevano fare fino al decreto Tremonti e nessuno li ha fatti.

«All'opposto di quanto scritto da Gabanelli, sono stato io, come ministro, prima a disciplinare i derivati degli enti locali (Legge finanziaria n. 448/2001) e poi a vietarli (Legge finanziaria n. 203/2008)». Il provvedimento Tremonti del 2003, che secondo il ministro li ha disciplinati, in realtà li ha consentiti rispetto al contesto precedente, ed ha aperto il vaso di pandora.

Nella legge finanziaria di Tommaso Padoa-Schioppa si diceva che non se ne facevano più fino all'emanazione di un regolamento («I contratti devono recare le informazioni ed essere redatti secondo le indicazioni specificate con decreto del ministro dell'economia e delle finanze»). Tremonti con la legge 133 di agosto 2008 ratifica, e inserisce espressamente la parola «divieto», ma subordina il «divieto» all'emanazione del regolamento ministeriale.

«In specie questa norma introduceva un (prima inesistente) espresso divieto di sottoscrivere contratti in derivati. Si ipotizzava, in senso permissivo, in deroga rispetto al generale divieto, un Regolamento ministeriale che disciplinasse la materia. Regolamento permissivo che tuttavia non ho mai emanato».

Un regolamento «permissivo», si, ma nel senso che avrebbe permesso di illustrare i veri rischi ed i costi occulti in pancia agli enti locali mostrando quindi le responsabilità delle banche. E infatti ebbe l'opposizione di tutto il sistema bancario, e di noti studi legali internazionali che assistono le banche di investimento estere.

«Era infatti sempre più chiaro che vietare del tutto i derivati, come nel principio della legge, era molto più sicuro che permetterli, basandoli su incredibili "scenari probabilistici"».

Ma perché vietare tutto? Non è meglio regolamentare, e poi vigilare sull'applicazione delle regole? Non è meglio misurare, e distinguere la finanza buona (quella di cui ha bisogno una regione per coprirsi dai rischi di variazione dei tassi quando chiede un prestito a 30 anni) da quella cattiva (prodotto speculativo che ha un forte sbilanciamento a favore della banca)? Gli «scenari probabilistici» secondo Tremonti sono «incredibili», secondo la valutazione di un centinaio di accademici internazionali sono invece un valido presidio per la trasparenza e la difesa dei risparmiatori.

La ritrosia di Tremonti è tuttavia comprensibile, dato che il convertendo emesso nel 2009 dalla BPM del suo amico Ponzellini, a supporto della sottoscrizione dei Tremonti bond, è stato infastidito proprio dagli «scenari», che hanno dichiarato che in quasi il 70% dei casi gli investitori avrebbero perso metà del capitale; circostanza puntualmente verificatasi.

«In specie, l'obbligo di contabilizzare i risultati dei derivati solo alla scadenza blocca in radice la convenienza al loro uso distorto e/o tossico, così i derivati non potendo più essere usati come strumento per la fittizia ed anticipata creazione di "valore" (sic)! È così che si vanifica all'origine l'interesse a fare finanza derivata e/o deviata. A mio parere la norma funziona a 360 gradi: se non c'è la prospettiva di profitto da una parte, non c'è infatti neppure rischio di perdita dall'altra. Ferme in ogni caso e non derogate le generali regole di prudenza contabile».

Il nodo della questione non è tanto l'anticipazione dei profitti fittizi, quanto l'occultamento di perdite che vengono rinviate fino alla loro disastrosa materializzazione (vedi Mps). Togliere l'obbligo di contabilizzare i contratti alla stipula e di rivalutarli nel tempo, equivale ad omettere delle registrazioni, e oggi si chiamerebbe bancarotta documentale. Tremonti parla di prudenza contabile che resta ferma.

In che modo se i rischi di queste operazioni non vengono rilevati in bilancio? La contabilità per i derivati cattivi è come un termometro! Per essere più brutali è come dire ad una persona a rischio di non fare un check up annuale e aspettare la diagnosi delle metastasi diffuse incurabili. La proposta di Tremonti dimentica che enti e imprese che hanno sottoscritto derivati, a fronte di un po' di cassa iniziale ricevuta dalle banche, accettavano grandi perdite potenziali.

Che senso ha un bilancio dove contabilizzi quel «po' di cassa», ma tralasci la perdita? Se Gabanelli mi convince tecnicamente, posso comunque emendare la mia proposta, prevedendo che le perdite non solo si segnalano nella «Nota integrativa», ma anche si contabilizzano in bilancio. Ma solo le perdite, non i profitti, questi assolutamente no!

Il ragionamento di Tremonti, confesso, è troppo difficile da comprendere. Ogni derivato viene stipulato tra due controparti. Se una delle due è in perdita potenziale, l'altra sarà in profitto potenziale. La prima contabilizza e la seconda no? E' così che funziona la contabilità dei derivati cattivi per il prof Tremonti?

 

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