STRAUSS KAHN CHE ABBAIA, RITORNA (SOTTO FORMA DI ROMANZO-REALITY) – TRAMA: LUI È UN PORCO, ASSATANATO, BUGIARDO, LEI UNA MARTIRE DELLA LIBIDO DEL POTERE - DSK DENUNCIA AUTORE ED EDITORE PER DIFFAMAZIONE!

Marina Valensise per ‘Il Foglio'

Che la Francia fosse un grande paese letterario era noto. Ma con tutti i personaggi di cui pullulano le cronache, degni a volte di un romanzo d'avventura alla Balzac, a volte di un romanzo psicologico, adesso persino di un romanzo rosa, nessuno può pensare che la politica per esempio sia così naturalmente tributaria del romanzesco, se la letteratura, per prima, non si nutre essa stessa di politica. Se il mondo del romanzo non affonda le sue grinfie rapaci in quella miniera di trame palpitanti, di emozioni insondabili, di misteri avvincenti e di ostacoli insormontabili di cui è intessuta la vita reale e soprattutto quella straordinaria variante della vita reale che è il potere.

E' questa la legge che l'ultimo libro, tremendo, del romanziere Régis Jauffret dimostra in modo inconfutabile, dando un'imbarazzantissima prova di stile. Lo scrittore iperrealista e apertamente sadico - occhi di ghiaccio, pronunciata immobilità dei muscoli facciali, un ghigno sardonico al posto del sorriso - da anni, infatti, si cimenta a trasformare in romanzesche macchine narrative i casi di cronaca più abietti. Ricorderete l'assassinio del banchiere Edouard Stern. Bello, ricco, alto, masochista e spietato, il plutocrate venne ritrovato cadavere dentro una tutina di lattice, nel suo appartamento ginevrino, riverso ai piedi del letto, con le mani legate dietro la schiena come un tacchino di Natale e due pallottole in fronte.

All'indomani della sentenza di condanna, per omicidio volontario, della sua ultima amante - una biondina slavata e ingobbita, dall'aria persa - Juaffret pubblicò un romanzo, "Sévère", dalle tinte fosche. Lì con l'aiuto dell'immaginazione e di molti ritagli di stampa e articoli da giornali di gossip ricostruiva per filo e per segno le molte vessazioni inflitte dal banchiere alla bionda avventuriera di cui si era invaghito. E insistendo su circostanze aggravanti - il safari in Africa, le umiliazioni davanti ai figli di lui, l'ultima provocazione, un milione di euro per lasciarti? tu non li vali proprio - finiva per rovesciare i ruoli dei due protagonisti, facendo risultare la vittima nei panni dell'unico autentico carnefice, e il suo assassinio come una giusta punizione comminata dall'amante. Quel libro fu oggetto di una causa per diffamazione, intentata dalla famiglia del banchiere. Autore e editori dovettero pagare i danni per violazione della vita privata.

Anni dopo, Jauffret si mise a scrivere un altro romanzo dell'orrore, "Claustria". Lo spunto stavolta era la vicenda di quel mostruoso padre austriaco che tenne per anni la figlia murata viva nello scantinato di casa, abusandone e mettendola persino incinta. Altro bestseller, era una storia sordida di sentimenti perversi, quel dramma psicotragico di una famiglia disfunzionale, e fu un punto di non ritorno per lo scrittore. Non pago della forza di immaginazione che appartiene alla vita reale e supera qualsiasi sforzo di emulazione, Jauffret adesso è recidivo.

Milita apertamente a favore della "non fiction narrative" come viene chiamato nel gergo editoriale il genere consacrato da Truman Capote, che fu il primo a inventarlo con "A sangue freddo", la famosa inchiesta di sei anni sui due balordi che avevano fatto a pezzi una famiglia di contadini. Il genere è stato riportato recentemente in auge in Francia da un romanziere di culto come Emmanuel Carrère, autore di un romanzo verità, "L'Adversaire", su uno psicopatico che per diciotto anni si finse medico, uscendo ogni giorno di casa con la sua valigetta e lo stetoscopio, ma il giorno in cui la famiglia scoprì la verità, passò all'atto e la sterminò. Forte di questa nuova moda, da lui stesso alimentata, Jauffret dunque ha deciso di abbandonarsi a corpo morto al genere non fiction, e ha avuto l'ardire di scegliere il più grande psicodramma nazionale degli ultimi tempi, che per mesi ha alimentato le cronache intercontinentali.

Il suo nuovo libro è una meticolosa ricostruzione della vicenda di quel famoso dirigente di un organismo finanziario internazionale, grande e libidinoso uomo di potere, brillantissimo economista e noto tombeur, destinato a ricoprire la più alta carica dello stato, se non fosse precipitato d'improvviso dalla sua folgorante ascesa, in seguito all'accusa di stupro da parte di una cameriera nera semianalfabeta, addetta al servizio di camera in un grande albergo newyorchese.

Spremendo la realtà, o meglio il reality, come un limone, spolpando quintali di articoli di giornali, di libri, documentari (dall'epoca dei fatti - maggio 2011 - si contano 78 opere dedicate alla vicenda, non ultimo il film di Abel Ferrara con Gérard Depardieu e Jacqueline Bisset che uscirà in maggio), Jauffret ha messo a punto un'inchiesta completa. In più, senza contentarsi delle fonti secondarie, ha verificato di persona tutti i dettagli dello scenario, le circostanze annesse, il background con sopralluoghi oculati. E' andato in Africa, in Guinea, sulle tracce della famiglia della cameriera nera, emigrata in America dopo essere rimasta vedova con una figlia a carico.

Ha incontrato, o racconta di aver incontrato il fratello, la madre, semicieca e completamente andata, in un tugurio di Tchiakoullé, a un giorno di strada da Conakry, è andato a trovare la zia in un'altra bidonville a Ziguinchor. Al suo viaggio nel terzo mondo postcoloniale e derelitto, in balìa della superstizione e dell'atavismo islamico, ha aggiunto poi un soggiorno a New York. Per mesi ha tentato invano di prenotare la famosa suite 2806 del Sofitel, ma si è dovuto accontentare di aggirarsi come un ladro fra i corridoi del grande albergo, rivivendo e mimando la scena del delitto in un'altra suite analoga per planimetria e disposizione degli spazi.

Ha interrogato senza pietà gli addetti, gli inservienti, il direttore dell'albergo, anche a costo di sfidare una denuncia. Temerario, accompagnato da una presunta fidanzata isterica e molto petulante, ha rintracciato il commissariato di Harlem, altro luogo deputato della vicenda. A suo rischio e pericolo si è avventurato persino nel Nyc Jail Complex di Rikers Island, carcere di massima sicurezza sull'isola in mezzo alle correnti dell'East River; e ha osato anche sfidare la legge federale che vieta di scattare fotografie. Instancabile, ha vagato per la spiaggia di Coney Island, sperando di incrociare l'ombra della cameriera analfabeta, con la sua grammatica inglese fra le mani. Ed è riuscito persino a intrufolarsi nel palazzo di Gerard Avenue, in cui la donna abitava.

Alla fine, tutto quello che non ha visto in carne e ossa, l'ha immaginato con la fantasia. E da quel caso scabroso è riuscito a tirare fuori il succo completo, distillando ogni dettaglio, ogni sensazione, ossessione, ricordo, rimorso, perversione, farneticazione dei singoli protagonisti. Il risultato è un libro tremendo, a volte insopportabile, tanto è forte il disgusto che il reality in presa diretta ispira al lettore, tanta è estrema la precisione con cui Jauffret descrive l'indescrivibile. Un libro irresistibile come una droga, che ti cattura tuo malgrado, che ti trascina per 430 pagine piene di paratassi, di verbi senza soggetto e senza complemento oggetto, di ellissi e salti di frase, tuffandoti in una sorta di stato ipnotico, grazie al ritmo incalzante del giallo, alla presa morbosa del dramma psicologico, al fascino pornografico di una seduta di psicanalisi impietosa, unita a un esercizio di sottile colpevolizzazione collettiva.

Il libro, pubblicato dalle Editions du Seuil, ha un titolo, "La Ballade de Rikers Island", degno di un gothic novel. E invece non fa che mimare quello scelto nel 1895 da Oscar Wilde, "La Ballata del carcere di Reading", per mettere in versi la sua esperienza di condannato al carcere, in epoca vittoriana, per l'accusa di sodomia. Non per niente, protagonista del libro di Jauffret è un altro eroe di uno scandalo a sfondo sessuale, un recluso eccellente, un potente del mondo, candidato in pectore alla presidenza, che a Rikers Island fu detenuto per quattro giorni dopo essere stato arrestato su un aereo al decollo, per via della denuncia per stupro di una cameriera nera.

Naturalmente tutti sanno di chi si tratta. La vicenda ebbe una tale risonanza planetaria, un tale clamore da non lasciare spazio all'ingenuità. Ma lo scrittore si nasconde dietro l'anonimato. Parla di chi sappiamo, evitando accuratamente i nomi propri, tranne quello di Nafissatou Diallo, la donna, la vittima, la cameriera nera e semianalfabeta del Sofitel che una tarda mattinata di un sabato di maggio si trovò alle prese con quel cliente nudo, che uscito dalla doccia, in preda a un'erezione incontenibile, le saltò addosso infilandole in bocca l'appendice bramosa. Jauffret fa di questa donna la vittima esemplare, il simbolo della sfruttamento, l'icona della desolazione femminile nell'epoca e nella patria dell'emancipazione.

Per il resto, però, si guarda bene dall'esplicitare i nomi propri, anche se i personaggi sono riconoscibilissimi, e corrispondono a persone in carne e ossa, che dopo il dramma continuano a vivere la loro vita, a leggere romanzi, a dire la loro, a viaggiare e persino a innamorarsi. Sfrontato ma al tempo stesso prudente, cercando di evitare grane, lo scrittore usa solo tre pronomi personali, lui, lei, loro. Non rivela mai l'identità del potente libidinoso e della moglie famosa, star del giornalismo, altra sua vittima, ma volontaria, anche se li descrive con un'accuratezza sconvolgente, dando conto di ogni loro gesto, riesumando i loro pensieri nelle pieghe più scabrose, ricamando sulle loro ansie, suoi loro sogni, sulle loro paure, sui loro desideri inconsapevoli, sulla loro voglia di vendetta e di rivalsa. E offrendo in questo modo al lettore il ruolo imbarazzante di voyeur.

Da emulo di Joyce e di Virginia Woolf, Jauffret, infatti, cavalca a briglia sciolta lo stream of consciousness. Galoppa sul non detto, sul rimosso, sul desiderio inconfessabile, sul pensiero indecente. Restituisce ogni personaggio di questo dramma shakespeariano del potere e della perdita rovinosa del potere, nelle pose più scabrose, nei moti intimi più vergognosi e imbarazzanti.

Ecco per esempio che lui, il protagonista, fa il suo ingresso in scena strizzando malizioso l'occhiolino alla vignettista seduta nell'aula del tribunale, "invito che forse sarebbe stato ben accetto prima del suo arresto, ma non adesso", chiosa Jauffret. Tutti ricordano la scena trasmessa e ritrasmessa dalle tv di mezzo mondo. La pagina dopo, lo troviamo chiuso in un locale angusto, "senza aria, senza le tavolette di cioccolata e le pasticche di menta, sta per scoppiare, ma l'odio diventa per lui quasi una droga, una presa di coca, e gli dà l'impressione di poter risalire il tempo, di ritrovare quel corridoio dove eiaculando nella bocca di una cameriera aveva posto fine alla sua carriera politica".

Anche lei, la moglie, che in fondo è la vittima numero uno di quest'uomo orrendo, volgare, pieno di sé e della sua libidine, non è da meno. Jauffret ferma l'obiettivo sull'indecenza dei suoi pensieri più intimi, sull'esasperazione di una star del giornalismo, la bella miliardaria, che per ambizione ha puntato tutto su quel cavallo pazzo, e quando scopre che era il cavallo sbagliato e vede svanire il suo sogno di gloria, è costretta suo malgrado a restare in gioco, perché non può abbandonare la corsa, senza apparire anche lei un mostro di opportunismo abietto, senza incarnare il destino di un tradimento imperdonabile. Dunque anche lei, la donna irresistibile, la gran dama dell'informazione, che coi suoi occhi turchini ammaliava capi di stato, direttori d'orchestra, grandi storici e premi Nobel, è una miserabile.

L'ultima degli ultimi. Jauffret scava senza pietà nel legame col mostro del marito, l'economista brillante, promosso da lei stessa, mecenate della sua carriera, a un glorioso futuro di uomo di stato. "La donna brillante, costretta a moderare gli ardori della sua intelligenza, per permettere di scintillare a quelli di lui". Lui certo l'amava quella mogliemadre irascibile, un po' gelosa, buona, indulgente, dispiaciuta di venire così spesso umiliata, anche se si ostinava a non dar credito ai pettegolezzi, a negare la realtà, a non voler credere all'evidenza.

Quando lei apprende la notizia dell'arresto del marito, per telefono dalla figlia di lui all'una di notte, vorrebbe solo non essere, scomparire, o divorziare all'istante, o non aver mai sposato quell'uomo brillante che l'ha riempita di corna, dopo averla costretta a cambiar vita, a lasciare il palcoscenico, a diventare una semplice moglie umiliata. Ma è troppo tardi per separarsi da quel guerriero del piacere sempre a caccia di prede, "che strappava l'enarca dal suo rapporto sulla politica monetaria dei paesi baltici, la giurista alla contemplazione del microonde dove si scaldava la baguette da cui traeva sostentamento davanti al suo computer, a mo' di colazione",ma anche la giovane aspirante scrittrice, la commessa del bar, la cassiera di un ristorante... La moglie ora sa, quello che ha sempre saputo. Non ha scampo. E' obbligata a scoprire se stessa, a guardare l'abisso in cui s'è cacciata. Ed ecco con quanta delicatezza Jauffret descrive quell'attimo di introspezione:

"Si guarda fissa in uno specchio. Un attimo di meditazione. Dissipare i dubbi. Spegnere in lei la visione della smorfia del marito nel momento supremo, quell'orgasmo che le sembrava di portare come uno sputo nascosto sotto il suo fard. Il dispiacere, la vergogna, tutte le scorie di cui doveva sbarazzarsi per ridurre l'intensità del dolore, che almeno non si veda la sofferenza. Uno si sente meno umiliato quando dà l'impressione di non aver sentito il colpo. Mantenere soltanto il ricordo dell'euforia dei primi mesi, ingoiare il rospo, facendo finta di essere ancora innamorata, ancora inebriata dall'alito del tribuno". Non c'è solo il presente, con la sua sete di riscatto, l'ansia di rivalsa per sopravvivere al futuro.

C'è anche il passato in cui scavare a fondo per riesumare i segni premonitori, i primi indizi della depravazione, l'origine della caduta. Jauffret cambia registro. Lascia Balzac per Proust. E attraverso la memoria involontaria apre le porte al regno dell'infanzia. Ecco Agadir, la spiaggia del Marocco sull'Oceano, che serve a spiegare la libido infantile, gioiosa, delirante del futuro mandrillo. Ecco la scena originaria, le tenerezze di Katharina, l'au pair tedesca, scelta dal padre alsaziano per mantenere viva la lingua di famiglia. Katharina che gli carezzava la guancia di bambino sotto le coperte, facendogli scivolare il dito inanellato nel collo e sussurrandogli all'orecchio "sporcaccioncello".

A farglierla tornare in mente è il profumo dell'infermiera di Rikers Island, che gli tiene la mano per evitare che si addormenti, perché il carcere ha le sue leggi e costringere un detenuto a passare la notte insonne, per spremerlo meglio l'indomani nell'interrogatorio, è una di queste. Oltre i sapori e i colori ci sono le cose, i simboli, gli animali. C'è il criceto, per esempio, che viene fuori dalla stessa voluttà infantile di spensierato sadismo. Il bambino di un tempo lo torturava con un bastoncino, per trasformarlo in gatto, in cane, in pescecane. Metamorfosi impossibile, chiaro indizio di un delirio da onnipotenza. E infine ci sono le case, quella grande sul mare, piena di luce, dove ogni sera i genitori coi loro ospiti facevano festa, e il villino di mattoni sull'avenue Mokhar Soussi, inghiottito dal terremoto del 1960, che segnò la rovina finanziaria della famiglia e la fuga a Montecarlo. Jauffret vede tutto, registra tutto, descrive tutto. Non gli interessa il perché, ma il come delle cose. Penetra lo spazio privato, spacca la testa dei suoi personaggi per entrarci dentro e abitarne i pensieri, i sentimenti, le paure, le frustrazioni, il rimosso.

Anche lui, come Marcela Iacub, l'amante ferita di "Belle et bête" (bestseller scandaloso annata 2013), come Marc Weitzmann, autore di "Une matière inflammable" è catturato da un dramma senza precedenti. Anche lui, come Emmanuel Carrère tenta la via dell'io narrante, presente come deuteragonista e filo conduttore, per segnare il distacco dalla materia incandescente che descrive. Non sempre ci riesce però. Il suo io non vive accanto ai personaggi. E' un io sovrano, l'io onnisciente del narratore ottocentesco, che trancia giudizi, assesta i colpi, ha le sue preferenze, il suo debole, e lo fa capire chiaro e tondo.

Lui è un porco, assatanato e bugiardo. Lei è una vittima, suo malgrado, martire involontaria della sua stessa ambizione. E Nafissatou Diallo, è la vittima numero uno, la donna sfruttata, la martire della libido del potere, vittima inconsapevole e impaurita come una capretta in preda a un lupo, che cede alla violenza del cliente di potere, per la paura di perdere il lavoro e veder svanire i 3.000 dollari al mese che guadagna in albergo. L'inchiesta di Jauffret, simile a un procedimento d'accusa, si chiude con un'unica domanda lancinante rivolta da Nafissatou al suo caposervizio: "I clienti con noi hanno il diritto di fare tutto quello che vogliono?".

Alla fine, perciò, a nulla è valsa la cautela narrativa di nascondere i personaggi nell'anonimato, di usare solo i pronomi personali, rinunciando ai nomi propri. Letto il libro, Dominique Strauss-Kahn ha denunciato l'autore e l'editore per diffamazione. In altri casi analoghi i giudici gli hanno già dato ragione. La vita privata in Francia è tutelata più della libertà di espressione. Jauffret s'indigna, protesta e tenta la difesa: "Siamo in presenza di avvenimenti trasmessi nel mondo intero, e l'unica persona che viene censurata è l'artista, l'unico che prende le distanze dal caso. Questa è la situazione. Gli scrittori francesi vengono rimproverati di nombrilisme, vengono accusati di occuparsi solo del proprio ombelico. Guardate gli americani, che si occupano della realtà, ci dicono i critici. Ma se poi siamo noi stessi a farlo, veniamo denunciati e portati in tribunale, e alla peggio ci accusano di essere a corto di immaginazione". Attenzione però, viene da dire, una cosa è la realtà, altra cosa il reality. E altra cosa ancora la contraffazione letteraria di uno scandalo nazionale.

 

STRAUSS KAHN GUARDA IL PACCO DI HOLLANDE COME A CHIEDERE QUAL E IL SUO SEGRETO strauss kahn guarda un manifesto di hollande DOMINIQUE STRAUSS KAHN EDOUARD STERNEDOUARD STERN - BANCHIERE UCCISONAFISSATOU DIALLO LA CAMERIERA CHE HA ACCUSATO DOMINIQUE STRAUSS KAHN DI STUPRO NAFISSATOU DIALLO strauss-kahnstrauss-kahn_barack-obamaDSK CON GLI AVVOCATI BRAFMAN E TAYLORSTRAUSS KAHN R gis Jauffret index Lagarde e Strauss Kahn Strauss Kahn Strauss-Kahn REGIS JAUFFRET

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