FINALMENTE SI MENANO A CERNOBBIO: CIPOLLETTA VS VAN ROMPUY E BINI SMAGHI VS ALMUNIA

Federico Fubini per "la Repubblica"

La tradizione dei convegni made in Italy, specie se ricchi di illustri ospiti stranieri, è di una certa reciproca cortesia. Quello di Ambrosetti a non fa eccezione, almeno fino a quando ieri mattina all'improvviso l'incanto si rompe. Succede quando Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, prende la parola per le repliche. Ed è meno diplomatico di quando aveva parlato prima, perché la sala si è appena riempita di applausi quando Vincenzo Cipolletta lo ha punto sul vivo.

Cipolletta, uno degli uomini più navigati all'intersezione fra università e grandi imprese, non ha fatto sconti. «La zona euro ha un attivo commerciale sul resto del mondo, esporta sempre di più», gli aveva detto. «Dunque la crisi che ci colpisce non è dell'economia, è della politica europea».

Applausi spontanei in sala, come se finalmente qualcuno le avesse cantate al capo degli euroburocrati per conto dei duecento imprenditori in sala. È lì che van Rompuy ha preso il microfono, e si capisce subito che più deciso del solito: «Mi spiace per chi ha applaudito. Ma è molto facile dire che è tutta colpa di Bruxelles. L'Italia da decenni ha una crescita strutturale più bassa di molti paesi europei», contrattacca van Rompuy. Il quale a questo punto, preso l'abbrivio, fatica a fermarsi.

«Qui in gioco c'è molto più della politica, perché la fine della bolla del credito ha fatto emergere problemi molto più vecchi ». Il presidente del Consiglio europeo, seduto accanto a Mario Monti, ricorda che «in certi paesi» (Germania) la disoccupazione giovanile è appena all'8% e che in Gran Bretagna, malgrado la crisi, mai tante persone hanno avuto un lavoro nel settore privato come oggi. Poi l'ultimo affondo, senza nomi ma trasparente: «Quando vedo che altrove la disoccupazione giovanile è cinque volte più alta che in Nord Europa, capisco che certi paesi devono fare molto di più per cambiare».

In sala non vola una mosca. Gli italiani in platea incassano il colpo. Non che gli imprenditori di Cernobbio non siano d'accordo, chiaro. In un sondaggio per televoto hanno appena detto (al 28%) che il primo problema da risolvere nel paese sono proprio le regole troppo rigide sui contratti di assunzione. Curiosamente per un paese che meno di due anni fa era a un soffio dal default, appena il 7% del popolo di Cernobbio indica fra il nodi principali il debito pubblico. Come se questo non fosse un paese nel quale ogni famiglia, ogni anno, versa in media 3.400 euro in tasse solo per finanziare gli interessi passivi del Tesoro.

Ma evidentemente sulla direttrice Cernobbio-Bruxelles questa non è giornata. Sono lontani gli anni in cui, sotto l'ala di Mario Monti, l'Europa era vista come un magnete per un'Italia che aspirava a farsi ammettere nella buona società dei paesi leader. Stavolta invece il rapporto è ambivalente e lo si capisce quando Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Snam e ex uomo di vertice della Bce, contesta con una certa durezza il commissario Joachin Almunia.

Questi, spagnolo, gestisce l'Antitrust europeo e difende l'idea (molto tedesca) di far perdere soldi a chi ha investito in una banca che viene salvata da aiuti di Stato. Non siamo agli estremi di Cipro, dove i conti di deposito sono stati sforbiciati. Ma l'idea di Almunia porterebbe a non rimborsare più certi obbligazionisti di Mps, per esempio. Bini Smaghi non è convinto: «Così si rischia di minare la fiducia degli investitori e ricreare instabilità. Ci stiamo infliggendo qualcosa che non esiste in nessun'altra parte del mondo», dice.

Se sanno che potrebbero non essere mai rimborsati, teme l'ex uomo Bce, gli investitori potrebbero stare alla larga dalle banche e così aggravare il credit crunch. Stessa contestazione dal banchiere Gianluca Garbi e da Giulio Tremonti, tagliente: «Fare l'unione bancaria in Europa a carico dei risparmiatori è una pazzia. C'è un rischio di esplosione», dice l'ex ministro.

Almunia ovviamente non si arrende, ma usa a sua difesa una tesi traumatica. «Se si salvano le banche solo con aiuti di Stato, senza colpire gli investitori, il debito pubblico sale a livelli non gestibili», taglia corto. «Dunque azionisti e creditori devono contribuire». E se la platea capisce che il sistema finanziario in certi paesi dell'euro è al limite dell'insolvenza, dunque si tratta di decidere come e su chi distribuire le perdite, forse, per una volta, può essere
scusata.

 

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