
I GRANDI MARCHI “RUSSANO” ANCORA – MOLTE MULTINAZIONALI, COMPRESE ALCUNE ITALIANE, CONTINUANO A OPERARE IN RUSSIA, NONOSTANTE LE SANZIONI DEI LORO PAESI DI ORIGINE - SOLO NEL 2022, LE AZIENDE OCCIDENTALI HANNO PAGATO 4 MILIARDI DI DOLLARI DI TASSE A MOSCA, CONTRIBUENDO ALL’ECONOMIA DI GUERRA DI PUTIN – L’ITALIA È TRA LE PRIME DIECI PER NUMERO DI PRESENZE, CON OLTRE CENTO AZIENDE (ANCHE SE ALCUNE OPERANO CON ATTIVITÀ LIMITATE E INVESTIMENTI SOSPESI) – ZELENSKY VUOLE ESCLUDERE QUESTE AZIENDE DALLA RICOSTRUZIONE DELL’UCRAINA E PROMETTE DI…
Estratto dell’articolo di Lucia Malatesta per “Domani”
VOLODYMYR ZELENSKY ALLA CONFERENZA PER LA RICOSTRUZIONE DELL UCRAINA A ROMA - FOTO LAPRESSE
Alla Ukraine Recovery Conference, organizzata a Roma la settimana scorsa per rimettere in piedi il suo paese dopo anni di guerra, Volodymyr Zelensky è stato chiaro: le aziende italiane che non hanno mai abbassato le saracinesche dei negozi in Russia dal 2022 non dovrebbero partecipare alla ricostruzione dell’Ucraina. Di molti colossi, italiani e internazionali, si conoscono i nomi.
Ma quelli delle aziende europee che continuano a spedire componenti necessari agli armamenti russi per levarsi in volo ancora no. A quanto pare, si sapranno presto: Zelensky ha promesso ai funzionari europei che la sua squadra sta procedendo ad identificarli. […]
Solo nel primo anno di guerra, il 2022, le aziende occidentali hanno versato imposte che hanno contribuito con 4 miliardi di dollari al bilancio russo che sostiene la Difesa. Nel 2024 il Financial Times ha calcolato che le banche occidentali rimaste in Russia hanno versato al Cremlino oltre 800 milioni di euro di tasse: «Le sette principali banche europee per asset in Russia – Raiffeisen Bank International, UniCredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, Intesa Sanpaolo e Otp – hanno registrato un utile combinato di oltre 3 miliardi di euro nel 2023».
SULLE STRADE DI MOSCA
Coca-Cola, Pepsi, Philip Morris, Metro, L’Oréal: tutte queste insegne svettano ancora per le strade da Mosca a Vladivostok. Un mastodontico lavoro per rintracciare tutte le aziende che non se ne sono andate lo fa da anni il Celi (Chief executive leadership Institute) dell’università statunitense Yale. «Oltre mille aziende hanno annunciato di voler ridurre volontariamente le proprie attività in Russia, ma alcune hanno continuato a operare in Russia imperterrite». […]
Nonostante la politica sanzionatoria dei loro Stati d’origine, molti colossi occidentali stanno facendo business-as-usual, «affari come se niente fosse». Tra slovene, greche, austriache e danesi, ci sono le aziende francesi Babolat, Sanofi, Auchan, Clarins, le tedesche Braun e Bpw. Tra le prime dieci per numero di presenze è l’Italia, con oltre cento aziende, ma alcune operano con attività limitate e investimenti sospesi. Tra queste: Luxottica, Ariston, Benetton, Boggi, Unicem, Calzedonia, Cremonini, Barilla, Boggi, Cremonini, De Cecco, Fenzi, Barilla, Campari, Saipem, Geox, Ferrero.
FATTURATI MILIARDARI
Uno degli ultimi report, datato 7 febbraio 2025, è firmato dalla Kse, Kyiv School of Economics, secondo cui solo 472 aziende sono davvero del tutto uscite dal mercato russo, oltre mille stanno riducendo invece investimenti e attività. «I risultati indicano che nel 2023,1.600 multinazionali hanno generato 196,9 miliardi di dollari di fatturato e 16,8 miliardi di dollari di utili in Russia. Si stima che nel 2023 le aziende straniere abbiano versato 21,6 miliardi di dollari di tasse al bilancio russo, portando il contributo fiscale totale per il 2022-2023 a 41,6 miliardi di dollari, equivalenti a un terzo del bilancio militare russo del 2025», scrivono gli economisti.
Che danno anche altri numeri: Mars, Nestlé e Procter & Gamble e altri operatori del settore dei beni di consumo sono stati tra i maggiori contribuenti dell’economia russa, con un fatturato totale complessivo di oltre 58 miliardi di dollari. Hanno pagato tasse per un miliardo e mezzo. […]