1. IERI AL QUIRINALE DELLA VALLE SI È RIVOLTO AI FIGLI INSULTANDO DI NUOVO ELKANN: “NON STATE A CASA A POLTRIRE, ALTRIMENTI C’È QUALCHE SCEMO CHE POI VI SGRIDA” 2. MA LO “SCEMO FIAT” GODE LEGGENDO CHE IN ITALIA, PER I MARCHI TOD’S E HOGAN DAL 2011 AL 2013, LE VENDITE SONO CALATE DEL 30 %, COMPENSATO DALLA CRESCITA IN CINA 3. A FINE APRILE, C'È L'ASSEMBLEA DEI SOCI RCS. E DELLA VALLE POTRÀ FINALMENTE METTERE IN TAVOLA LE SUE CARTE PER BUTTARE FUORI ELKANN DAL CORRIERE DELLA SERA 4. PESENTI SBATTE LA PORTA. MEDIOBANCA VENDE. E TRA GLI AZIONISTI CI SONO ALTRI CHE PRESTO POTREBBERO MOLLARE COME UNIPOL E PIRELLI, CIASCUNO CON UN 5% CIRCA, NON CONSIDERANO PIÙ STRATEGICA LA PARTECIPAZIONE NEL "CORRIERE" 5. QUESTA ALMENO È LA SPERANZA DI DELLA VALLE, CHE STRADA FACENDO POTREBBE TROVARE UN VALIDO ALLEATO ANCHE IN URBANO CAIRO. L'EDITORE, ANCHE TELEVISIVO CON LA7, CHE A SORPRESA L'ANNO SCORSO HA RASTRELLATO IL 2,8 PER CENTO DI RCS


1. DELLA VALLE: «NON STATE A CASA O QUALCHE SCEMO VI SGRIDA»
Dal "Corriere della Sera"

Nuova puntata nella polemica tra il numero uno di Tod's, Diego Della Valle, e il presidente di Fiat John Elkann. «Non state a casa a poltrire, altrimenti c'è qualche scemo che poi vi sgrida», ha detto ieri ai figli Della Valle a margine del Premio Leonardo al Quirinale.

Il riferimento è alle recenti parole di Elkann sui giovani («non sono così determinati a cercare lavoro», «stanno bene a casa loro» e «non colgono le moltissime occasioni» offerte dal mondo globalizzato), seguite da una precisazione dello stesso presidente Fiat che ha detto: «Sono rammaricato che un messaggio nato per essere di incoraggiamento alla fine sia stato interpretato come un segnale di mancanza di fiducia nei giovani». Ieri Della Valle ha aggiunto: «Ho portato i ragazzi a vedere Roma - ha detto - L'abbiamo girata in lungo e in largo. Così poi non vanno all'estero».

2. FOLLOW THE MONEY: LEZIONI DI CINESE PER MISTER TOD'S
Vittorio Malagutti per L'Espresso


Come si dice imbecille in cinese? Difficile che gli echi delle liti nostrane sul "Corriere della Sera" abbiano raggiunto l'Estremo Oriente. E forse è meglio così, perché Diego Della Valle insulta in italiano (chiedere a John Elkann per informazioni) ma i bilanci della sua azienda dipendono sempre di più dal ricco mercato che va da Pechino fino
a Hong Kong.

Il mondo è cambiato da quando, solo cinque anni fa, Italia ed Europa valevano i tre quarti dei ricavi di Tod's. Adesso comanda la Cina, dove il gruppo marchigiano ormai realizza il 25 per cento del suo giro d'affari globale. Nel nostro Paese, invece, i marchi di Della Valle perdono quota. Dal 2011 al 2013 le vendite sono calate del 30 per cento. Ecco spiegati, allora, i risultati dell'esercizio appena concluso. Fatturato stabile (più 0,5 per cento), con il rallentamento in Italia compensato dalla crescita in Cina e nel Nord America.

Su tutto pesa la forte rivalutazione dell'euro che ha penalizzato soprattutto l'attività in Giappone. Insomma, non c'è molto da festeggiare. E gli analisti, infatti, hanno accolto con delusione i dati sul fatturato diffusi il 29 gennaio e le vendite hanno ripreso ad accanirsi sul titolo Tod's.

Dai massimi dell'agosto scorso la quotazione ha perso il 30 per cento e per gli azionisti non è una gran consolazione sapere che neppure altri concorrenti come Prada e Ferragamo hanno fatto faville. Non per niente Elkann non ha mancato di rinfacciare al rivale la performance borsistica. E già che c'era il presidente di Fiat ha anche definito il gruppo Tod's un nano rispetto a multinazionali del lusso come le francesi Lvmh e Kering (ex Ppr).

Sul piano delle dimensioni, in effetti, Della Valle gioca in una categoria diversa rispetto ai due giganti transalpini. Kering punta verso i 10 miliardi di ricavi ed Lvmh sfiora i 30 miliardi. Il gruppo italiano, con marchi come Tod's, Hogan, Fay e Roger Vivier, non arriva a un miliardo (967 milioni). Ecco perché, di tanto in tanto, ripartono le voci su un possibile disimpegno di Della Valle, che già siede nel consiglio di Lvmh. Il diretto interessato respinge ogni ipotesi di cessione e i bilanci, almeno finora, dicono che può permettersi di fare da sé.

Nei primi nove mesi del 2013 (ultimi dati disponibili) la redditività ha tenuto rispetto al 2012, con un margine operativo stabile intorno a 170 milioni. In cassa c'è liquidità abbondante, oltre 180 milioni e la posizione finanziaria netta è positiva per 132 milioni. Quindi, anche se la redditività fosse destinata a diminuire, il gruppo dispone di carburante in quantità per continuare a correre. Ce ne sarà bisogno, perché in Italia, dove Tod's nei mesi scorsi ha riorganizzato la distribuzione, il mercato resta piatto.

E l'azienda di Della Valle, nonostante la rimonta di questi anni, è ancora costretta a inseguire concorrenti come Prada e Ferragamo sul mercato cinese. Cioè quello che al momento garantisce i margini di guadagno maggiori. Insomma, per Mr Tod's la rincorsa continua.

3. COSA NON SI FA PER IL CORRIERE
Vittorio Malagutti per L'Espresso


Grande è la confusione sotto il cielo dell'alta finanza. Diego Della Valle, terzo azionista del "Corriere della Sera", dà dell'«imbecille» al primo, John Elkann. Il quale, in risposta a un'altra provocazione, aveva appena liquidato il rivale come un «nano», nel senso aziendale del termine. Le Generali, che pure sembrano in rimonta in Borsa e nei bilanci, non sono ancora riuscite a scacciare i fantasmi delle passate gestioni, tra azioni legali e veti incrociati tra grandi soci.

Pure Mediobanca, adesso che ha rinunciato a fare da stanza di compensazione del capitalismo nazionale, è costretta a sperimentare nuovi assetti di comando. Il patto di sindacato che la governa pare sempre più instabile. C'è chi parte, come l'assicurazione francese Groupama con il suo pacchetto del 5 per cento, ma un sostituto ancora non si trova.

Del resto la stessa Mediobanca, insieme alle Generali, altro tradizionale snodo della finanza nostrana, non vedono l'ora di sfruttare la finestra contrattuale di giugno per sfilarsi dalla partita Telecom, ceduta per un piatto di lenticchie agli spagnoli di Telefonica.
Per spiegare tanta agitazione basta citare una regola elementare. Se molti vendono e nessuno compra, il mercato fatica a trovare un equilibrio.

E i cosiddetti poteri forti, alla disperata ricerca di un centro di gravità permanente (per dirla in musica con Franco Battiato), finiscono per tagliarsi la strada a vicenda. Non è che i contrasti siano mancati anche in passato, ma le divergenze venivano rapidamente ricomposte nel nome del superiore interesse della stabilità, con Mediobanca a fare da garante.

Adesso invece il gioco a incastro è diventato molto più difficile. La recessione esaspera i conflitti. I bilanci in perdita fanno da innesco alle liti. Proprio questo è lo scenario che fa da sfondo alla storia recente di Rcs Mediagroup, la società quotata in Borsa che controlla il "Corriere della Sera".

Messa alle strette dalla crisi globale dell'editoria e dagli oneri finanziari di un'acquisizione, quella del gruppo spagnolo Recoletos, rivelatasi disastrosa, Rcs ha evitato la bancarotta grazie all'aumento di capitale da 400 milioni varato l'estate scorsa. I conti però sono ancora in rosso (perdite per 175 milioni nei primi nove mesi del 2013), ma al momento non è questo il dato più preoccupante.

Il fatto è che i grandi soci ormai sembrano muoversi in ordine sparso. Il patto di sindacato che per decenni ha governato il gruppo si è sciolto nell'autunno scorso. E adesso si naviga a vista. La nuova governance è messa a dura prova da veti, ripicche e battibecchi. A parte lo scontro tra Della Valle ed Elkann almeno altri due fatti, fatti recenti, segnalano quello che in ambienti bancari milanesi viene descritto, con preoccupazione crescente, come lo sfarinamento degli assetti di controllo del più importante gruppo editoriale italiano.

A gennaio, ma la notizia è stata resa pubblica solo nei giorni scorsi, Mediobanca ha alleggerito la sua posizione su Rcs vendendo sul mercato il 2 per cento circa. L'istituto milanese resta il secondo azionista ma la sua quota è ora scesa sotto il 12 per cento. Una quota che potrebbe diminuire ancora nei prossimi mesi fino a ridursi a zero, così come prevede la nuova strategia della banca, quella della svolta annunciata l'anno scorso.

Carlo Pesenti, invece, per ora si tiene le azioni del "Corriere della Sera", ma le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione del giornale, rassegnate venerdì 14 febbraio, hanno comunque fatto molto rumore. In quasi mezzo secolo non si era mai visto un Pesenti voltare le spalle così platealmente a un'azienda governata dagli Agnelli.

Nelle scorse settimane l'erede della dinastia bergamasca del cemento aveva espresso, in via riservata, le sue perplessità su alcune scelte gestionali dell'amministratore delegato Pietro Scott Jovane, proprio come ha fatto, ma in modo ben più eclatante, anche Della Valle. A parte la differenza di stile, risulta però difficile accomunare Pesenti e Mr Tod's su un unico fronte schierato contro il manager fortemente voluto al comando dall'azionista Fiat.

Il consigliere dimissionario si era a suo tempo dichiarato favorevole ad alcune decisioni, come la vendita della sede storica del quotidiano, in via Solferino a Milano, che invece sono state aspramente criticate da Della Valle. Il quale, almeno a parole, sembra ben deciso a passare per le vie legali contro i vertici del gruppo di cui è grande azionista.

Il siluro è pronto a partire sotto forma di azione di responsabilità nei confronti di Scott Jovane per una serie di operazioni che, a detta di Della Valle, avrebbero procurato danni a Rcs per favorire Fiat e anche l'altro grande socio Banca Intesa, presieduta da Giovanni Bazoli.

Le decisioni contestate sono la vendita della sede, l'aumento di capitale dell'anno scorso e l'alleanza nella pubblicità tra Rcs e Publikompass, la concessionaria che, come il quotidiano "La Stampa", fa capo alla Fiat. Su quest'ultimo affare avrebbe espresso forti riserve anche Pesenti.

Per il patron della Tod's proprio quell'accordo sarebbe la prova lampante che la gestione del "Corriere" si sarebbe messa al servizio degli interessi di casa Agnelli. L'aumento di capitale invece - questa è l'accusa - avrebbe dovuto essere varato solo dopo aver raggiunto un accordo con i finanziatori bancari, in prima fila Intesa, per rinegoziare i debiti. Tanta fretta sarebbe servita solo a spremere i soci senza chiedere uguali sacrifici agli istituti di credito.

Va detto che nel maggio scorso, in assemblea, Della Valle si era espresso contro l'aumento di capitale, approvato però a netta maggioranza da tutti gli altri soci principali, salvo l'astensione dei Benetton e di Merloni che poi, infatti, non hanno sottoscritto le loro quote. Fiat invece ha raddoppiato il suo peso azionario, dal 10,2 al 20,1 per cento, proprio rilevando i diritti di chi si è chiamato fuori, in primo luogo il gruppo di Giuseppe Rotelli, deceduto a fine giugno 2012, che a partire dal 2008 era riuscito a mettere insieme un pacchetto del 16 per cento circa.

«Vogliamo garantire stabilità all'azienda», disse Elkann per spiegare le ragioni del blitz che aveva fatto di Fiat di gran lunga il primo azionista del gruppo. Purtroppo per lui, però, Della Valle si sta muovendo in senso esattamente opposto a quello dell'erede di Giovanni Agnelli. Non è detto che l'azione di responsabilità, se davvero verrà promossa, sia destinata ad approdare a risultati concreti. Intanto però, anche in vista dell'assemblea dei soci di fine aprile, l'imprenditore marchigiano spera di logorare il fronte dei soci che ancora appoggiano Elkann.

Di Pesenti e Mediobanca si è detto, ma tra gli azionisti di Rcs ci sono altri azionisti che presto potrebbero scegliere di destinare risorse e attenzioni a problemi per loro più urgenti. Unipol e Pirelli, ciascuno con un cinque per cento circa, del capitale, hanno fin qui confermato il loro impegno, ma entrambi non considerano più strategica la partecipazione nel "Corriere". Diverso il discorso per Intesa.

La quota intestata all'istituto di credito milanese si aggira intorno al 6,5 per cento ma, in questo caso, davvero, il peso politico della partecipazione va ben al di là di quanto può esprimere un numero.

Il legame di Bazoli con il "Corriere" va fatto risalire addirittura al 1985, quando il professore bresciano, allora al vertice di quel Nuovo Banco Ambrosiano che era il maggiore azionista del giornale, favorì l'intervento di Agnelli che insieme ad altri soci salvò il gruppo editoriale. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma l'attuale presidente di Intesa, pur non avendo incarichi formali, ha esercitato fino a poco tempo fa un ruolo decisivo negli equilibri di potere di Rcs.

L'anno scorso il banchiere ha cercato fino all'ultimo di tessere la tela di un nuovo patto di sindacato. Gli è andata male. L'accordo alla fine è saltato per mancanza di adesioni sufficienti. E Della Valle ha salutato la sconfitta come la «fine dell'era Bazoli», definito il principale responsabile dei guai del gruppo editoriale.

Mr Tod's forse ha esagerato. L'offensiva verbale, però, non è fine a se stessa. Anche Intesa ha aperto una fase nuova. Non è più tempo di salotti e operazioni di sistema, ha detto poche settimane fa, pur tra qualche distinguo, l'amministratore delegato della banca, Carlo Messina.

Il nuovo numero uno, in sella da pochi mesi, è di 30 anni più giovane rispetto a Bazoli, classe 1932, e quindi, se non altro per ragioni anagrafiche, dovrebbe essere portato ad affrontare le situazioni con spirito diverso rispetto all'ottuagenario presidente. Non è detto, quindi, che l'asse di comando tra Fiat e Intesa sia destinato a rimanere ben saldo come'è stato finora.

Questa almeno è la speranza di Della Valle, che strada facendo potrebbe trovare un valido alleato anche in Urbano Cairo, l'editore, anche televisivo con La7, che a sorpresa l'anno scorso ha rastrellato il 2,8 per cento di Rcs.

In teoria anche Cairo dovrebbe considerare con favore un ribaltone al vertice, magari per facilitare operazione straordinarie tipo la vendita della "Gazzetta dello Sport", a cui sarebbe molto interessato. Solo ipotesi, al momento, ma la pressione su Scott Jovane, chiamato a governare un'azienda di complessità ben maggiore rispetto alla Microsoft da cui proviene, continua ad aumentare.

Tra un paio di settimane, il 12 marzo, l'amministratore delegato è atteso all'appuntamento con gli analisti nell'Investors day di Rcs. Poi, a fine aprile, c'è l'assemblea dei soci. E Della Valle potrà finalmente mettere in tavola le sue carte. Giusto per capire se bluffa.

 

ELKANN DELLA VALLE PERRONE DELLA VALLE ELKANN DIEGO DELLA VALLE CON SCARPE TODSDELLA VALLE TODS VILLA NECCHI A MILANO Ferruccio de Bortoli Paolo Mieli Scott Jovane e Laura Donnini, amministratore delegato di RCS Libri.SEDE CORRIERE DELLA SERA corriere della seraurbano cairo ptr20 urbano cairo giuseppe ferrautoCARLO PESENTI carlo pesentiGIOVANNI BAZOLI E JOHN ELKANN

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