1- L’ISOLAMENTO DEL SUPERBONE MARCHIGIANO: FUORI DAL PATTO RCS-CORRIERE, EMARGINATO IN MEDIOBANCA, IL PROSSIMO ANNO FUORI ANCHE DA GENERALI ASSICURAZIONI 2- LA BATTAGLIA DI VIA SOLFERINO È DIVENTATA UNO SCONTRO DI POTERI CHE VA DI PARI PASSO CON LA CRISI DI LEADERSHIP CHE SBIELLA LA POLITICA, L’ECONOMIA E LA FINANZA 3- OGGI NON C’È UN “GOVERNO TECNICO DEI POTERI FORTI” E MANCANO PERSONAGGI COME CUCCIA, ROMITI, AGNELLI, IN GRADO DI METTERE UN PO’ DI ORDINE E DI EVITARE LO SCATENAMENTO DELLE AMBIZIONI PERSONALI. FORSE È QUESTA LA RAGIONE CHE HA INDOTTO DELLA VALLE A SQUARCIARE CON PAROLE VIOLENTE IL VELO DELL’IPOCRISIA DIETRO IL QUALE SI NASCONDONO I PROBLEMI E LE CRITICITÀ DEL GRUPPO EDITORIALE. E LO HA FATTO ALLA MANIERA SUA, CIOÈ CON QUELLO STILE ARROGANTE E MALEDUCATO DA NOVELLO MARCHESE DEL GRILLO, “IO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO”

È triste vedere come le sorti di Rcs, il primo gruppo editoriale italiano, siano diventate il terreno di una battaglia che si gioca sul versante della finanza e delle poltrone.

Ed è ancora più avvilente constatare che dietro le polemiche degli ultimi giorni non si intravede uno straccio di disegno industriale in grado di risolvere i problemi di un impero che negli ultimi anni si è sgretolato e sul quale si scatenano gli appetiti per impossessarsi del "Corriere della Sera", il gioiello più prezioso di una realtà complessa che era riuscita a costruire i suoi avamposti anche in altri paesi dell'Europa come la Spagna e la Francia.

Purtroppo questo è lo spettacolo che si è manifestato ieri in maniera flagrante e speculare rispetto alle crisi di altri centri di potere dove si paga il prezzo di una managerialità incapace e di una governance pasticciata.

Per quanto riguarda Rcs le cause hanno origini lontane e risalgono agli inizi degli anni '90 quando si aprirono le porte a un azionariato plurimo che trasformò la casa editrice in un salotto dove i soci rappresentavano interessi diversi. Ma quegli anni (in particolare il 1993) erano anche anni in cui gli azionisti, uniti da rivalità e da una buona dose di reciproca antipatia, venivano messi in riga dall'asse Mediobanca-Fiat. Oggi invece non c'è un "governo tecnico dei poteri forti" e mancano personaggi come Cuccia, Romiti, Agnelli, in grado di mettere un po' di ordine e di evitare lo scatenamento delle ambizioni personali.

Così la crisi dell'azienda, che è cominciata a declinare con l'arrivo di Colao Meravigliao (un manager del tutto estraneo al mondo dell'editoria), si è fatta più acuta e la battaglia è diventata uno scontro di poteri del tutto speculare alla crisi di leadership che attraversa i gangli vitali della politica, dell'economia e della finanza.

Forse è questa la ragione che ha indotto lo scarparo marchigiano Dieguito Della Valle a squarciare con parole violente e con un gesto eclatante il velo dell'ipocrisia dietro il quale si nascondono i problemi e le criticità del Gruppo editoriale. E lo ha fatto alla maniera sua, cioè con quello stile poco moresco che usa da circa 20 anni quando batte le scarpe a pallini sui tavoli dei salotti con la stessa foga che usò Kruscev nel 1960 durante una famosa seduta alle Nazioni Unite.

Era il 1994 quando Dieguito cominciò a strillare contro Mediobanca che con un colpo di mano aveva cacciato dal vertice della Comit il mitico presidente Sergio Siglienti. Per amore della cronaca bisogna ricordare che il 1994 è stato anche l'anno in cui Gianni Agnelli accettò di farsi fotografare con le scarpe a pallini di Mister Tod's che dopo quel gratuito spot pubblicitario cominciò a diventare famoso anche per le cronache finanziarie.

La vicenda della liquidazione di Siglienti dalla Comit creò molto imbarazzo negli ambienti milanesi perché l'arringa di Dieguito (tenuta fuori dal consiglio di amministrazione di cui faceva parte) arrivò ad attaccare direttamente Mediobanca e Enrico Cuccia, gli architetti dell'operazione anti-Siglienti.

Dopo quella vicenda il piccolo gladiatore di Casette d'Ete ha collezionato una serie di "strappi" clamorosi che gli hanno messo sulle spalle l'etichetta di "mina vagante". L'unico che è riuscito a fargli uno sgambetto è stato il Cavaliere di Arcore quando nel 2006, dopo il famoso scazzo al convegno della Confindustria di Vicenza, lo costrinse a sbattere la porta dell'Associazione degli imprenditori. Poi si arriva a tempi più recenti, all'aprile di due anni fa quando Dieguito prese di petto Cesarone Geronzi con l'intento di rivoluzionare gli assetti di potere gerontocratici e di rimettere in discussione il governo tecnico-politico dei salotti buoni di Mediobanca, Generali, Rcs.

In quell'occasione riuscì a fare scopa sull'asse che partiva da Piazzetta Cuccia e arrivava a Trieste passando attraverso il ministro del Tesoro di Giulietto Tremonti e la complicità più o meno manifesta dei vari De Agostini, Caltagirone e Bollorè.

A distanza di due anni esatti lo scontro avvenuto ieri con Mediobanca e la Fiat (rappresentata dal giovane Elkann) dimostra che sulle spalle dello scarparo marchigiano è calata l'armatura di un cavaliere solitario. Un cavaliere che si sente tradito dai "cappotti vuoti" degli antichi alleati (Mediobanca, Fiat) e sbatte la porta per affrontare con le mani libere l'armata Brancaleone degli azionisti di Rcs.

Che questa sia per lui la madre di tutte le battaglie è chiaro da molto tempo, almeno dal 2003 quando cominciò a rastrellare più del 2% delle azioni della casa editrice definendo strategico l'acquisto del pacchetto. Nel tempo la sua quota azionaria è aumentata fino ad arrivare al 5,4 di oggi, e anche se è impossibile trovare nei bilanci lussemburghesi della sua Dorint la quantità esatta dei quattrini investiti e delle minusvalenze, Dieguito non ha mai smesso di manifestare il suo innamoramento per la carta stampata.

Basta vedere le dichiarazioni degli ultimi tempi quando diceva: "Il Corriere non è una signora che aspetta alla fermata del tram. È una bellissima azienda che ha 18 azionisti perbene". E nel settembre 2011 dentro il salotto televisivo di Lilli Gruber ribadiva l'intenzione di aumentare la sua quota nel patto anche a costo di dover impiegare molto tempo per colpa "di qualche gran ciambellano o vecchio sacerdote del tempio".

Adesso ai suoi occhi gli "azionisti perbene" sono archiviati e per alcuni di questi il giudizio dello scarparo è feroce e come al solito grossolano. Non solo: la bella signora del "Corriere" che aspetta alla fermata del tram, la bellissima azienda da conquistare contro i vecchi sacerdoti del tempio, gli sembra una realtà ‘'affondata nel pettegolezzo'' e sulla quale ritiene di aver perso molto tempo.

Da qui la decisione clamorosa di rompere il sodalizio con i 18-19 personaggi che per anni gli sono apparsi nobili compagni di strada, e di abbandonare i metodi da vecchia scuola con i quali è riuscito a mettere i piedi dentro le roccaforti dove i comportamenti gli sembrano oggi "maldestri e pretestuosi".

L'uomo è fatto così. Un concentrato di quattrini ed arroganza che poggia la sua forza su una ricchezza costruita con l'ingegno, capace di fugare le contraddizioni del suo comportamento e delle sue connivenze. Non c'è un governo tecnico-politico della finanza e questo è il suo punto di forza. Il vecchio asse che legava Cesarone Geronzi e Abramo-Bazoli è saltato e Dieguito ha buon gioco a dire "oggi mancano i piloti di una volta. A Bazoli la situazione è sfuggita di mano".

In tutto questo clamore l'editoria, l'informazione, il futuro industriale di Rcs c'entrano ben poco. Se andate a cercare negli archivi una dichiarazione di Dieguito su questi argomenti tornerete con le mani vuote perché a lui e ai suoi compagni di merenda e di strategie politiche Luchino di Montezemolo e Paolino Mieli interessa soprattutto "avere le mani libere sul capitale".

Ed è ciò che farà (o forse ha già cominciato a fare da oggi con il titolo Rcs che in Borsa ha strappato all'insù in misura eccezionale) perché è l'unico rispetto ai cavalieri della tavola rotonda del nuovo patto di sindacato Rcs che insieme all'ospedaliero Rotelli dispone di un pingue salvadanaio.

Non lo farà però come quell'odontotecnico di Zagarolo di nome Ricucci che nell'aprile 2005 annunciò di avere acquistato il 5% di Rcs, poi tra giugno e luglio dello stesso anno disse che il suo obiettivo era arrivare al 29,9%. La corsa del furbetto del quartierino per conquistare la magnifica preda del "Corriere" si fermò davanti alla magistratura e forse quelle azioni che diceva di avere non le ha mai possedute.

La cavalcata del 59enne marchigiano del lusso avrà un'impronta diversa e più trasparente. Sarà comunque una cavalcata meno appassionante perché, al di là dell'euforia della Borsa che gode quando sente il profumo di una scalata, resta l'amarezza di chi capisce che si tratta di una battaglia di potere dove le giustificazioni sentimentali non bastano a scacciare le nubi da quello che nonostante tutto resta un pilastro dell'editoria italiana.

 

 

RENATO PAGLIARO John Elkann MUSSARI BAZOLI resize Cesare Geronzi SEDE CORRIERE DELLA SERA PAOLO CUCCIA - copyright pizziROMITIAndrea Agnelli n cc07 vittorio colao

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