LA LOTTA DI CLASSE? LA STANNO FACENDO (E VINCENDO) I RICCHI – JOBS & GATES HANNO SPAZZATO VIA MARX

Massimiliano Panarari per "la Stampa"

Che fine ha fatto la lotta di classe? si chiedeva, in un suo libro, il sociologo no global John Holloway. Gran bella domanda, in grado di dirci molto su quanto avviene oggi. Una risposta, fulminante, l'aveva data uno che la sa lunga in materia, il magnate (e filantropo) Warren Buffett, il quale se ne uscì, non molto tempo fa, affermando che «c'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo».

E segni di un suo potenziale ritorno ravvisa un ponderoso volume, uscito da poco, dello studioso marxista Domenico Losurdo, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica (Laterza). Ma, di fatto, nel mondo liquido e senza classi codificate della nostra tarda modernità, il conflitto sociale sembra essere diventato, al più, un tema da fiction fantapolitica: prova ne sono il romanzo di Susan George Come vincere la guerra di classe (in uscita da Feltrinelli) e La congiura , scritta nel 2009 da un fantomatico Agente americano (Aliberti).

Una consapevolezza molto rara, quindi, perché di lotta di classe - eccezion fatta per talune frazioni residuali (e sovente folcloristiche) della ormai desaparecida sinistra antagonista o, giustappunto, per qualche miliardario illuminato - non si parla più. Per niente.

Proprio la sua scomparsa dai radar della teoria politica nel corso degli ultimi decenni ci offre allora, verosimilmente, una chiave di lettura di fenomeni svariati (tra loro comunque molto differenti), dalla disperazione sociale che monta giorno dopo giorno sino alla follia criminale dei pacchi bomba e delle aggressioni di strada degli anarcoinsurrezionalisti.

A ben guardare, il posto del tramontato conflitto tra le classi sociali è stato rilevato dalla rabbia e dall'insofferenza (quest'ultima, certamente, spesso tutt'altro che immotivata). Sentimenti umani - perfino «troppo umani»... - che rimandano a una sfera pre-politica, alimentando, in versione contestataria, l'antipolitica, oppure, su un altro versante, la subpolitica (come l'ha chiamata Ulrich Beck), con l'invocazione di prassi più partecipative.

L'indignazione e la disintermediazione hanno così occupato, manu militari, lo spazio pubblico di questi nostri anni; d'altronde, in Rete, le classi non esistono, e siam tutti uguali (in linea teorica e via ipotetica...).

E, così, mentre le politiche di austerity diventavano per tanti implacabili, si gonfiavano irresistibilmente le vele del rancore contro tutto e tutti (indagato, con approcci diversi, da Aldo Bonomi, Ilvo Diamanti e Giuseppe De Rita). E il dilagare dell'esclusione sociale, non riguardante più soltanto le fasce marginali della società, ha aumentato il disagio e (come sempre accade) la guerra tra i poveri e il «mors tua, vita mea», senza che ne scaturissero anche, per converso, forme di solidarietà all'altezza della gravità della situazione.

A essersi smarrita, dunque, è precisamente la coscienza di sé come individui e come membri di un gruppo (un tempo si sarebbe detto di una «classe») senza cui non si riesce a organizzare una visione (e qui c'entra, ça va sans dire , la fine dei grandi discorsi ideologici), non si definiscono con chiarezza responsabilità e cause, e non si riesce a passare all'azione politica (e alla lotta, quella organizzata e pacifica, beninteso, e non quella scomposta e senza quartiere).

Verrebbe allora da dire che si è finito per fare ritorno a un lessico (e a un universo concettuale) premarxiano, quando la grande innovazione del padre del materialismo storico era consistita proprio nel suo indefesso e attento applicarsi allo studio delle dinamiche della società. Che, certo, della pretesa «scientificità» non possedeva nulla, per non parlare della prospettiva della dittatura di una classe (il proletariato), roba da far tremare la vene. Ma la fotografia e l'analisi avevano, indiscutibilmente, un che di magistrale e poderoso.

Esattamente ciò che manca adesso, per molti versi, a sinistra. Dove il conflitto sociale rappresenta un tabù, prima per il ruolo di stabilizzazione svolto, nei Trenta gloriosi, dal Welfare State (con l'obiettivo dell'allargamento progressivo di un felice e affluente ceto medio in tutto l'Occidente) e, successivamente, sull'onda della visione pacificatrice della Terza via (che puntava sulla diffusione universale delle «classi creative»).

Nel frattempo, però, la signora Thatcher aveva ruvidamente spiegato che, a suo giudizio, «la società non esiste» e ci si deve salvare da soli, «nella buona e nella cattiva sorte», mentre l'identità individuale era passata dal riconoscimento all'interno di un gruppo sociale (la classe, di nuovo) allo status derivante dal posizionamento in seno ai flussi consumistici.

Perché tutti vogliamo (o, meglio, vorremmo) le stesse cose - il postmoderno è il regno dell'indistinzione anche a livello di consumi - e così, dalla lotta di classe, siam passati a quella per lo smartphone ultimo modello. E il cerchio si chiude, con il conflitto, concepito politicamente, che cede definitivamente il passo all'isterismo dell'invidia sociale.

Per organizzare il conflitto sociale (espungendo da esso quella violenza che, invece, nella guerra tra le classi era contemplata) servono imprenditori politici con la testa sulle spalle. Ma le organizzazioni sindacali sono da tempo in crisi, e la forma partito (su cui si esercita la «memoria politica» del momento, quella di Fabrizio Barca), notoriamente, non se la passa granché bene.

Entrambe, peraltro, articolazioni organizzative di natura diversissima dai «movimenti» entrati nei cuori della sinistra radicale, insieme alle informi (e incomprensibili) moltitudini care ai teorici della biopolitica (e a qualche «cattivo maestro»).

L'Occidente ha compiuto il suo salto nella modernità (anche) quando le numerose e multiformi fiammate di ribellismo che avevano contrappuntato i secoli precedenti la rivoluzione industriale (dalle jacqueries medievali al luddismo) sono state «messe in forma», e rimpiazzate dalle rivoluzioni (borghesi e liberali) del Settecento, non a caso tanto ammirate da Marx.

Per scongiurare il rancore, quindi, alla fin fine, non esistono alternative (e, men che meno, scorciatoie): una democrazia liberale ha bisogno del conflitto regolamentato, e di legittimare la compresenza, al suo interno, di interessi contrapposti e discordanti. A meno di volerci rassegnare a vivere in questo, per niente rassicurante e sempre più insicuro, scenario postdemocratico, dove il rischio dell'esplosione della rabbia cieca (o disperata) si annida, oramai, dietro molti, troppi, angoli.

 

STEVE JOBS E BILL GATES JOBS VS GATES STEVE JOBS E BILL GATESSTEVE JOBS BILL GATESSteve Jobs e Bill Gates a anni IPHONE5SAMSUNG GALAXY S4GIUSEPPE DE RITAMARGARETH THATCHER

Ultimi Dagoreport

elly schlein pina picierno stefano bonaccini giorgio gori lorenzo guerini giuseppe conte pd

DAGOREPORT – OCCHIO ELLY: TIRA UNA BRUTTA CORRENTE! A MILANO, LA FRONDA RIFORMISTA AFFILA LE LAME: SCARICA QUEL BUONO A NIENTE DI BONACCINI, FINITO APPESO AL NASO AD APRISCATOLE DELLA DUCETTA DEL NAZARENO – LA NUOVA CORRENTE RISPETTA IL TAFAZZISMO ETERNO DEL PD: LA SCELTA DI LORENZO GUERINI A CAPO DEL NUOVO CONTENITORE NON È STATA UNANIME (TRA I CONTRARI, PINA PICIERNO). MENTRE SALE DI TONO GIORGIO GORI, SOSTENUTO ANCHE DA BEPPE SALA – LA RESA DEI CONTI CON LA SINISTRATA ELLY UN ARRIVERÀ DOPO IL VOTO DELLE ULTIME TRE REGIONI, CHE IN CAMPANIA SI ANNUNCIA CRUCIALE DOPO CHE LA SCHLEIN HA CEDUTO A CONTE LA CANDIDATURA DI QUEL SENZAVOTI DI ROBERTO FICO - AD ALLARMARE SCHLEIN SI AGGIUNGE ANCHE UN SONDAGGIO INTERNO SECONDO CUI, IN CASO DI PRIMARIE PER IL CANDIDATO PREMIER, CONTE AVREBBE LA MEGLIO…

affari tuoi la ruota della fortuna pier silvio berlusconi piersilvio gerry scotti stefano de martino giampaolo rossi bruno vespa

DAGOREPORT - ULLALLÀ, CHE CUCCAGNA! “CAROSELLO” HA STRAVINTO. IL POTERE DELLA PUBBLICITÀ, COL SUO RICCO BOTTINO DI SPOT, HA COSTRETTO PIERSILVIO A FAR FUORI DALLA FASCIA DELL’''ACCESS PRIME TIME” UN PROGRAMMA LEGGENDARIO COME “STRISCIA LA NOTIZIA”, SOSTITUENDOLO CON “LA RUOTA DELLA FORTUNA”, CHE OGNI SERA ASFALTA “AFFARI TUOI” – E ORA IL PROBLEMA DI QUELL’ORA DI GIOCHINI E DI RIFFE, DIVENTATA LA FASCIA PIÙ RICCA DELLA PROGRAMMAZIONE, È RIMBALZATO IN RAI - UNO SMACCO ECONOMICO CHE VIENE ADDEBITO NON SOLO AL FATTO CHE GERRY SCOTTI SI ALLUNGHI DI UNA MANCIATA DI MINUTI MA SOPRATTUTTO ALLA PRESENZA, TRA LA FINE DEL TG1 E L’INIZIO DI “AFFARI TUOI”, DEL CALANTE “CINQUE MINUTI” DI VESPA (CHE PER TENERLO SU SONO STATI ELIMINATI GLI SPOT CHE LO DIVIDEVANO DAL TG1: ALTRO DANNO ECONOMICO) - ORA IL COMPITO DI ROSSI PER RIPORRE NELLE TECHE O DA QUALCHE ALTRA PARTE DEL PALINSESTO IL PROGRAMMINO CONDOTTO DALL’OTTUAGENARIO VESPA SI PROSPETTA BEN PIÙ ARDUO, AL LIMITE DELL’IMPOSSIBILE, DI QUELLO DI PIERSILVIO CON IL TOSTO ANTONIO RICCI, ESSENDO COSA NOTA E ACCLARATA DEL RAPPORTO DIRETTO DI VESPA CON LE SORELLE MELONI…

antonio pelayo bombin juan carlos

DAGOREPORT: COME FAR FUORI IL SACERDOTE 81ENNE ANTONIO PELAYO BOMBÌN, CELEBERRIMO VATICANISTA CHE PER 30 ANNI È STATO CORRISPONDENTE DELLA TELEVISIONE SPAGNOLA "ANTENA 3", CUGINO DI PRIMO GRADO DELL’EX RE JUAN CARLOS? UN PRETE CHE A ROMA È BEN CONOSCIUTO ANCHE PERCHÉ È IL CONSIGLIERE ECCLESIASTICO DELL'AMBASCIATA SPAGNOLA IN ITALIA, VOCE MOLTO ASCOLTATA IN VATICANO, CAPACE DI PROMUOVERE O BLOCCARE LA CARRIERA DI OGNI ECCLESIASTICO E DI OGNI CORRISPONDENTE SPAGNOLO – PER INFANGARLO È BASTATA UNA DENUNCIA AI CARABINIERI DI ROMA DI UN FINORA NON IDENTIFICATO CRONISTA O PRODUCER DI REPORT VATICANENSI CHE LO ACCUSA DI VIOLENZA SESSUALE, IMPUTAZIONE DIVENTATA NELLA DISGRAZIATA ERA DEL METOO L’ARMA PIÙ EFFICACE PER FAR FUORI LA GENTE CHE CI STA SUL CAZZO O PER RICATTARLA – IL POVERO PELAYO È FINITO IN UN TRAPPOLONE CHE PUZZA DI FALSITÀ PIÙ DELLE BORSE CHE REGALA DANIELA SANTANCHÉ E DELLE TETTE DI ALBA PARIETTI – IL SOLITO E BIECO SCHERZO DA PRETE, PROBABILMENTE USCITO DALLE SACRE MURA DELLA CITTÀ DI DIO…

giorgia meloni gennaro sangiuliano

DAGOREPORT - LE RESURREZIONI DI “LAZZARO” SANGIULIANO NON SI CONTANO PIÙ: “BOCCIATO” DA MINISTRO, RIACCIUFFATO IN RAI E SPEDITO A PARIGI, ORA SBUCA COME CAPOLISTA ALLE REGIONALI CAMPANE - ESSÌ: DIVERSAMENTE DAGLI IRRICONOSCENTI SINISTRATI, A DESTRA LA FEDELTÀ NON HA SCADENZA E GLI AMICI NON SI DIMENTICANO MAI - DURANTE I TRE ANNI A PALAZZO CHIGI, IL “GOVERNO DEL MERITO COME ASCENSORE SOCIALE” (COPY MELONI) HA PIAZZATO UNA MAREA DI EX DEPUTATI, DIRIGENTI LOCALI, TROMBATI E RICICLATI NEI CDA DELLE AZIENDE CONTROLLATE DALLO STATO - COME POTEVA LA STATISTA DELLA GARBATELLA DIMENTICARE SANGIULIANO, IMMARCESCIBILE DIRETTORE DEL TG2 AL SERVIZIO DELLA FIAMMA? IL FUTURO “GENNY DELON” ‘’ERA SALITO TALMENTE TANTO NELLE GRAZIE DELLA FUTURA PREMIER DA ESSERE CHIAMATO A SCRIVERE PARTE DEL PROGRAMMA DEI MELONIANI, INVITATO A CONVENTION DI PARTITO E, ALLA FINE, RICOMPENSATO ADDIRITTURA CON UN POSTO DI GOVERNO’’ - E’ COSÌ A DESTRA: NESSUNA PIETÀ PER CHI TRADISCE, MASSIMO PRONTO SOCCORSO PER CHI FINISCE NEL CONO D’OMBRA DEL POTERE PERDUTO, DOVE I TELEFONINI TACCIONO E GLI INVITI SCOMPAIONO… - VIDEO

giorgia meloni sigfrido ranucci elly schlein bomba

DAGOREPORT – DOBBIAMO RICONOSCERLO: GIORGIA MELONI HA GESTITO IN MANIERA ABILISSIMA IL CASO DELL'ATTENTATO A RANUCCI, METTENDO ANCORA UNA VOLTA IN RISALTO L'INETTITUDINE POLITICA DI ELLY SCHLEIN - GETTARE INDIRETTAMENTE LA RESPONSABILITA' DELL'ATTO TERRORISTICO ALLA DESTRA DI GOVERNO, COME HA FATTO LA SEGRETARIA DEL PD, È STATA UNA CAZZATA DA KAMIKAZE, ESSENDO ORMAI LAMPANTE CHE LE BOMBE SONO RICONDUCIBILI AL SOTTOMONDO ROMANO DEL NARCOTRAFFICO ALBANESE, OGGETTO DI UN'INCHIESTA DI "REPORT" - E QUELLA VOLPONA DELLA PREMIER HA RIBALTATO AL VOLO LA FRITTATA A SUO VANTAGGIO: HA CHIAMATO RANUCCI PER MANIFESTARGLI SOLIDARIETÀ E, ANCORA PIÙ IMPORTANTE, HA INVIATO TRE AUTOREVOLI ESPONENTI DI FRATELLI D’ITALIA (TRA CUI BIGNAMI E DONZELLI) ALLA MANIFESTAZIONE INDETTA DAL M5S PER RANUCCI E LA LIBERTÀ DI STAMPA - DOPO L’ATTENTATO, NESSUNO PARLA PIÙ DI UN POSSIBILE PASSAGGIO DI "REPORT" A LA7: SIGFRIDO, ORA, È INTOCCABILE… - VIDEO