TESORETTO OFF SHORE (PROFUMO DI PASSERA) - CHIEDETE A CORRADINO SE LE PAROLE “GIACOMINI” E “LUSSEMBURGO” GLI DICONO QUALCOSA - NEL DICEMBRE 2008 BANCA INTESA HA CONCESSO UN PRESTITO DI 129 MLN € AI TRE FIGLI DI ALBERTO GIACOMINI - I VERTICI DELLA BANCA SAPEVANO ANCHE CHE IL PATRIMONIO DELL’AZIENDA DI RUBINETTI ERA PRESSO LA SEB, L’ISTITUTO DA LEI CONTROLLATO IN LUSSEMBURGO - E QUEI SOLDI NON SONO MAI RIENTRATI IN ITALIA…

Vittorio Malagutti per il "Fatto quotidiano"

Banca Intesa sapeva. I vertici del gruppo bancario milanese, fino a un anno fa guidato da Corrado Passera, erano a conoscenza del tesoretto accumulato all'estero dalla famiglia Giacomini. Su quel colossale patrimonio, oltre 200 milioni, depositato in Lussemburgo tra il 2002 e il 2010, stanno indagando da mesi almeno tre procure (Verbania, Milano e Novara) per reati che vanno dalla frode fiscale al riciclaggio.

Ebbene, come risulta dai documenti bancari consultati dal Fatto, nel dicembre 2008 il comitato crediti del gruppo Intesa ha dato parere favorevole alla concessione di un prestito di 129 milioni ad Andrea, Corrado ed Elena Giacomini, i tre figli di Alberto, il fondatore dell'azienda che è tra i leader mondiali nella produzione di rubinetti. Il via libera porta la firma di Eugenio Rossetti, uno dei manager più importanti dell'istituto milanese con i gradi di chief lending officer, cioè responsabile dei crediti.

Grazie ai soldi di Intesa, Alberto e i suoi tre eredi sono riusciti a liquidare gli altri due rami familiari proprietari ciascuno di un 27 per cento circa del gruppo con base sulle rive del lago d'Orta, in Piemonte. Dalle carte dell'istruttoria per la concessione del fido emerge che i vertici della banca sapevano che i Giacomini avevano trasferito il controllo dell'azienda a un trust costituito in Lussemburgo secondo il diritto dell'isola di Jersey, centro offshore nel canale della Manica. Di più: a Milano avevano ben presente che il tesoretto dei Giacomini era depositato sotto forma di liquidità, titoli e polizze presso la Société Europeenne de banque, in sigla Seb, l'istituto controllato da Intesa con base in Lussemburgo.

Ma se la famiglia piemontese disponeva di tutti quei soldi all'estero, perché mai per liquidare i parenti si è fatta prestare altro denaro da Intesa? Un comportamento a prima vista inspiegabile, visto, tra l'altro, che sul quel fido i Giacomini erano costretti a pagare fior di interessi. Proprio su questo tema, cioè lo smobilizzo delle attività all'estero, risulta dagli atti dell'indagine che ci furono aspre discussioni tra il patron Alberto Giacomini e alcuni dirigenti della banca. Alla fine i soldi, su cui Intesa lucrava interessi e commissioni, rimasero fermi in Lussemburgo.

Adesso che l'affare è finito al centro di un'inchiesta giudiziaria che conta una ventina di indagati, l'istituto ora guidato dall'amministratore delegato Enrico Cucchiani ha preso le distanze dalla Seb. "Stiamo facendo tutte le verifiche del caso presso la nostra controllata di Lussemburgo", ha fatto sapere un paio di mesi fa un portavoce dell'istituto.

Come dire: i problemi, se ci sono, nascono e sono circoscritti alla filiale nel Granducato. Nel frattempo si sono mossi anche i magistrati. Il numero della Seb, Marco Bus, è indagato a Milano per concorso in riciclaggio e la stessa banca lussemburghese è sotto inchiesta per il mancato rispetto della legge 231 che regola la responsabilità penale delle imprese.

Nuovi elementi utili all'indagine potrebbero arrivare nelle prossime settimane grazie a una rogatoria avviata in Lussemburgo dalla procura di Milano. E nonostante la presa di distanze dei giorni scorsi non è da escludere che i pm chiedano chiarimenti anche al quartier generale di Intesa. Di sicuro la banca aveva tutto da guadagnare dall'accordo tra i rami della famiglia Giacomini, giunto al termine di quella che nelle carte giudiziarie viene definita "una faida familiare senza esclusione di colpi".

L'operazione si è svolta estero su estero. Una volta ottenuto l'ok dal quartier generale di Milano, il prestito è stato materialmente erogato dalla Seb. A stretto giro di posta, il denaro è stato incassato dai due rami famigliari uscenti, quelli che facevano capo a Giovanni e Mario Giacomini, fratelli del patron Alberto, in cambio della cessione delle loro quote.

I soldi però non sono mai più rientrati in Italia. Già, perché quei 129 milioni, provenienti da Intesa, sono finiti sui conti di altri due trust di Jersey, l'Odd trust e l'Even trust, che secondo gli atti d'indagine facevano capo ai venditori. Un affarone, anche per Intesa. Mica per niente. Alla fine anche i soci uscenti erano pronti a dare in gestione alla Seb il denaro appena incassato.

E così il cerchio si chiude. Intesa presta, i Giacomini pagano il dovuto ai loro parenti i quali depositano alla Seb di Lussemburgo il loro tesoretto, che va a sommarsi a quello che già faceva capo al resto della famiglia. Difficile, allora, non essere d'accordo con i funzionari del gruppo Intesa che nelle carte interne dell'istituto commentano: "L'operazione rappresenta un'eccellente opportunità di aumentare i depositi in gestione". In Lussemburgo, ovviamente. E tutto estero su estero.

 

 

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