PUTIN, ZITTO E MOSCA: LA RUSSIA È IN RECESSIONE - GAS E PETROLIO NON TIRANO COME PRIMA

Anna Zafesova per "La Stampa"

Lo spettro della recessione si aggira per la Russia. Il Paese che si proponeva come uno dei membri più aggressivi dei Brics con l'obiettivo di giocare un ruolo chiave nei consessi economici internazionali e di diventare «uno dei centri della finanza mondiale», come proponeva Vladimir Putin, appare di nuovo in difficoltà.

E lo dicono i numeri ufficiali: l'ultima stima della crescita del Pil fornita dal ministero per lo Sviluppo per il 2013 è del 2,4%, mentre quelle precedenti erano di 3,7%. Il primo trimestre dell'anno ha segnato una crescita di appena l'1,1% (dati del ministero, mentre il Rosstat, l'ufficio per la statistica, la valuta in un più ottimista 1,6%, tre volte meno dell'analogo periodo del 2012).

Comunque, molto meno del previsto e del voluto, e meno dell'inflazione, al 6,9%. Gli investimenti, i consumi e le esportazioni si stanno riducendo, e il ministro dello Sviluppo Andrey Belourov ha pronunciato la parola «recessione», rischiata già per l'autunno.

La Russia, che si sognava «superpotenza energetica» con un tasso di crescita del 7-8% annuo prima della crisi, deve ora tirare la cinghia. L'obiettivo del 5-6% ora appare irrealistico, e Belousov ha proposto al presidente un piano per tornare a crescere: fermare i capitali che fuggono all'estero, investire nell'infrastruttura e nei settori non petroliferi dell'economia, aumentare la produttività del lavoro di due volte in 10 anni, far uscire dal sommerso la piccola e media impresa aumentandone il peso nel Pil dall'attuale 19% al 40%.

Obiettivi strategici, mentre - secondo l'ex ministro delle Finanze Alexei Kudrin, diventato dopo un decennio al servizio di Putin uno dei critici più forti del Cremlino - il bilancio sta sprofondando sotto il peso delle promesse elettorali del presidente. Solo quest'anno ci vorrebbero 200 miliardi di rubli, circa 50 miliardi di euro, per aumentare gli stipendi ai dipendenti pubblici, principale elettorato di Putin insieme ai pensionati, ai militari e agli operai delle grandi industrie più o meno statali, e «tutte le regioni russe stanno tagliando gli investimenti per poter far fronte a questo impegno», dice Kudrin.

Il presidente della Camera dei conti Serghei Stepashin conferma la diagnosi e parla di quasi 200 miliardi di euro in più che servirebbero per realizzare le promesse fatte con i decreti del presidente. Non solo sociali e salariali, ma anche le spese militari, che richiedono l'1,15% del Pil in più, il welfare e la sanità (+1,7%), progetti di sviluppo di singole regioni e altro, per un totale del 7,5% di crescita necessario.

Numeri pesanti, ai quali il governo di Dmitry Medvedev propone di rimediare introducendo «metodi avanzati di gestione da parte dei manager statali» e «migliorando il clima per gli investimenti». Che nel frattempo scappano all'estero con ritmi e volumi inquietanti, una tendenza iniziata quando si è capito, due anni fa, che Putin sarebbe rientrato al Cremlino per la terza volta (lo stesso ministro si era lasciato scappare qualche tempo fa una frase sul «clima terribile per gli investitori).

Il problema è politico e perfino gli esponenti del governo ne parlano chiaramente. «Cambiare il clima» significa ridurre la corruzione e lo strapotere della burocrazia, i «metodi avanzati» stanno per demonopolizzazione, e la «ristrutturazione dell'economia» significa abbandonare la dipendenza da petrolio e gas, finora il principale motore di crescita dell'economia, e tagliare gli aumenti salariali (superiori alla produttività reale) e alla spesa pubblica derivata dai superprofitti energetici. Un sistema da semi-emirato, dove il petrolio venduto all'estero comprava il consenso politico interno.

Ma la Banca centrale ha avvertito che - complice la recessione in Europa e i nuovi metodi nella produzione dell'energia - le esportazioni di idrocarburi potrebbero scendere fino a portare la bilancia dei pagamenti in deficit già nel 2015. «Abbiamo un'economia strana», commenta l'esperto di opposizione Alexei Mikhailov, «che chiede non solo prezzi alti per il barile, ma prezzi in continuo aumento. Ma questo non si verifica da più di due anni. I nostri leader erano abituati a risolvere i problemi grazie a risorse finanziarie facili, ma non arrivano più».

Sulle ricette che servono ora sono concordi governo, opposizione e perfino i comunisti: diversificazione dell'economia con l'abbandono della «dipendenza petrolifera», investimenti infrastrutturali, modernizzazione, trasparenza, meno corruzione e più efficienza. Ma per applicarle - con un ritorno che non sarà immediato - bisognerà mettere in discussione il sistema degli ultimi 12 anni, e rompere il patto sociale stretto da Putin con i russi, e soprattutto con i suoi grandi elettori: le major petrolifere più o meno statali e la burocrazia.

 

PUTIN VA A CACCIA MEETING DI HANNOVER MERKEL E PUTIN VLADIMIR PUTIN CONSEGNA UNA MEDAGLIA AD ALEXANDER ZALDOSTANOV, LEADER DEL GRUPPO DI MOTOCICLISTI RUSSI DIMITRI MEDVEDEV E IL SUO IPHONE gasdottoROSNEFT

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - LA CAPITALE DEGLI AFFARI A MISURA DUOMO, A CUI IL GOVERNO MELONI HA LANCIATO L’ANATEMA “BASTA CON I BANCHIERI DEL PD”, È IN TREPIDA ATTESA DI COSA DELIBERERÀ UNICREDIT DOMENICA PROSSIMA, A MERCATI CHIUSI - SI RINCORRONO VOCI SULLA POSSIBILITÀ CHE ANDREA ORCEL ANNUNCI L’ADDIO NON SOLO ALL’OPS SU BPM MA ANCHE ALLA SCALATA DI COMMERZBANK, PER PUNTARE TUTTA LA POTENZA DI FUOCO DI UNICREDIT LANCIANDO UN’OPS SU GENERALI - DOPO LE GOLDEN MANGANELLATE PRESE SU BPM, ORCEL AVRÀ DI CERTO COMPRESO CHE SENZA IL SEMAFORO VERDE DI PALAZZO CHIGI UN’OPERAZIONE DI TALE PORTATA NON VA DA NESSUNA PARTE, E UN’ALLEANZA CON I FILO-GOVERNATIVI ALL’INTERNO DI GENERALI COME MILLERI (10%) E CALTAGIRONE (7%) È A DIR POCO FONDAMENTALE PER AVVOLGERLA DI “ITALIANITÀ” - CHISSÀ CHE COSA ARCHITETTERÀ IL CEO DI BANCA INTESA-SANPAOLO, CARLO MESSINA, QUANDO DOMENICA IL SUO COMPETITOR ORCEL ANNUNCERÀ IL SUO RISIKO DI RIVINCITA…

parolin prevost

PAROLIN È ENTRATO PAPA ED È USCITO CARDINALE - IN MOLTI SI SONO SBILANCIATI DANDO PER CERTO CHE IL SEGRETARIO DI STATO DI BERGOGLIO SAREBBE STATO ELETTO AL POSTO DI PAPA FRANCESCO – GLI “AUGURI DOPPI” DI GIOVANNI BATTISTA RE, IL TITOLO FLASH DEL “SOLE 24 ORE” (“PAROLIN IN ARRIVO”) E LE ANALISI PREDITTIVE DI ALCUNI SITI - PERCHÉ I CARDINALI HANNO IMPALLINATO PAROLIN? UN SUO EVENTUALE PAPATO NON SAREBBE STATO TROPPO IN CONTINUITÀ CON BERGOGLIO, VISTO IL PROFILO PIU' MODERATO - HA PESATO IL SUO “SBILANCIAMENTO” VERSO LA CINA? È STATO IL FAUTORE DELL’ACCORDO CON PECHINO SUI VESCOVI...

matteo renzi sergio mattarella elly schlein maurizio landini

DAGOREPORT – IL REFERENDUM ANTI JOBS-ACT PROMOSSO DALLA CGIL DI LANDINI, OLTRE A NON ENTUSIASMARE MATTARELLA, STA SPACCANDO IL PD DI ELLY SCHLEIN - NEL CASO CHE UNA DECINA DI MILIONI DI ITALIANI SI ESPRIMESSERO A FAVORE DELL’ABOLIZIONE DEL JOBS-ACT, PUR NON RIUSCENDO A RAGGIUNGERE IL QUORUM, LANDINI ASSUMEREBBE INEVITABILMENTE UN'INVESTITURA POLITICA DA LEADER DELL'OPPOSIZIONE ANTI-MELONI, EMARGINANDO SIA SCHLEIN CHE CONTE - E COME POTRANNO I RIFORMISTI DEM, I RENZIANI E AZIONE DI CALENDA VALUTARE ANCORA UN PATTO ELETTORALE CON UN PD "LANDINIZZATO", ALLEATO DEL POPULISMO 5STELLE DI CONTE E DE SINISTRISMO AVS DI BONELLI E FRATOIANNI? - A MILANO LA SCISSIONE DEL PD È GIÀ REALTÀ: I RIFORMISTI DEM HANNO APERTO UN CIRCOLO IN CITTÀ INSIEME A ITALIA VIVA E AZIONE. MA BONACCINI DIFENDE ELLY SCHLEIN

sergio mattarella giorgia meloni

DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN ASSENZA DI UN’OPPOSIZIONE - IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NON VUOLE SOSTITUIRSI A QUEGLI SCAPPATI DI CASA DI SCHLEIN E CONTE, NÉ INTENDE SCONTRARSI CON GIORGIA MELONI. ANZI, IL SUO OBIETTIVO È TENERE IL GOVERNO ITALIANO DALLA PARTE GIUSTA DELLA STORIA: SALDO IN EUROPA E CONTRO LE AUTOCRAZIE – IL PIANO DI SERGIONE PER SPINGERE LA PREMIER VERSO UNA DESTRA POPOLARE E LIBERALE, AGGANCIATA UN'EUROPA GUIDATA DA FRANCIA, GERMANIA E POLONIA E LONTANA DAL TRUMPISMO - LE APERTURE DI ''IO SONO GIORGIA" SUL 25 APRILE E AFD. MA IL SUO PERCORSO VERSO IL CENTRO E' TURBATO DALLL'ESTREMISMO DI SALVINI E DALLO ZOCCOLO DURO DI FDI GUIDATO DA FAZZOLARI...

francesco micheli

DAGOREPORT - IN UNA MILANO ASSEDIATA DAI BARBARI DI ROMA, SI CELEBRA LA FAVOLOSA CAPITALE DEGLI AFFARI CHE FU: IL CAPITALISMO CON IL CUORE A SINISTRA E IL PORTAFOGLIO GONFIO A DESTRA - A 87 ANNI, FRANCESCO MICHELI APRE, SIA PURE CON MANO VELLUTATA E SENZA LASCIARE IMPRONTE VISTOSE, IL CASSETTO DEI RICORDI: “IL CAPITALISTA RILUTTANTE” È IL DIARIO DI BORDO DELL’EX BUCANIERE DELLA FINANZA CHE, SALITO SULL’ALBERO PIÙ ALTO DEL VASCELLO, HA OSSERVATO I FONDALI OSCURI INCONTRATI NEL MARE MAGNUM INSIDIOSO DELL’ECONOMIA, SOMMERSA E SPESSO AFFONDATA - “IO E LEI APPARTENIAMO A ZOO DIVERSI”, FU IL VATICINIO DI CUCCIA – LUI, UNICO TESTIMOME A RACCOGLIERE LO SFOGO DI EUGENIO CEFIS SU QUEL “MATTO” DI CUCCIA CHE NEL GIORNO DELLE SUE CLAMOROSE DIMISSIONI DA MONTEDISON L’AVEVA ACCOLTO CON UN BEFFARDO: “DOTTORE, PENSAVO VOLESSE FARE UN COLPO DI STATO…”