ROBERTO , SE NON SFONDO NON MI DIVERTO - CHI È ROBERTO MENEGUZZO, “L'ARIETE CHE PROVA A SFONDARE IL VECCHIO SALOTTO DI MEDIOBANCA” NELLA SCALATA A FONSAI? - L’AD DI PALLADIO HA IN BILANCIO ATTIVITÀ PER 494 MLN € MA I PRIMI SOLDI ARRIVANO PROPRIO DA MEDIOBANCA, CHE ALLA FINE DEGLI ANNI ‘80 ACQUISTÒ PER 20 MLD DI LIRE UNA PICCOLA ATTIVITÀ DI LEASING CHE LA PALLADIO NON RIUSCIVA A GESTIRE - LA VERA FORTUNA DEL VICENTINO MENEGUZZO È STATA ENTRARE IN AFFARI CON LA REGIONE VENETO…
Luca Piana per "l'Espresso"
Come avrà fatto i soldi? Da giorni in Borsa a Milano questa domanda è sulla bocca di tutti. L'uomo del mistero è Roberto Meneguzzo, colui che sta facendo tremare Mediobanca. Meneguzzo, 56 anni, è il commercialista-imprenditore originario della provincia di Vicenza che sta mettendo i bastoni fra le ruote all'operazione architettata da Alberto Nagel, il numero uno della più importante banca d'affari d'Italia, per unire due compagnie assicurative di prima grandezza come Fondiaria-Sai e Unipol.
Attraverso la sua Palladio Finanziaria, che a Vicenza è nota per una serie di spericolate operazioni di ingegneria fiscale e per i rapporti con alcuni importanti esponenti del Pdl veneto, Meneguzzo ha prima rastrellato il 5 per cento di Fondiaria. Poi ha stretto un'alleanza con l'ex banchiere Matteo Arpe, oggi a capo di un'altra holding finanziaria, la Sator, che a sua volta ha comprato un ulteriore 3 per cento della compagnia assicurativa finita nei guai dopo anni di cattiva gestione da parte di Salvatore Ligresti.
E ancora, insieme, hanno messo in piedi una serie di operazioni che, stando alle prime indiscrezioni, potrebbe portarli complessivamente al 20 per cento di Fondiaria. Una quota che permetterebbe a Meneguzzo e Arpe di bloccare la prevista fusione tra Fondiaria e Unipol, matrimonio che darebbe vita alla seconda compagnia italiana dopo il colosso Generali. E che è stato organizzato da Mediobanca con l'obiettivo, tra gli altri, di mettere in sicurezza gli ingenti prestiti che nel tempo la banca ha concesso a Fondiaria stessa.
Da giorni le autorità di mercato e gli analisti finanziari si interrogano sulle strategie dei contendenti che combattono per la Fondiaria. I critici del matrimonio con l'Unipol osservano che l'operazione mette al sicuro le banche creditrici dei Ligresti ma non spalma i benefici sui piccoli azionisti di Fondiaria, visto che si vuole evitare l'Offerta pubblica d'acquisto (Opa) sulle quote di minoranza, dovuta in teoria nei casi di cambiamento degli assetti di controllo.
Chi non vede di buon occhio l'incursione di Meneguzzo e Arpe sottolinea però che nessun altro, finora, ha proposto alcuna Opa sulla disastrata compagnia di Ligresti. E che forse nemmeno la coppia Meneguzzo-Arpe, se non farà intervenire un cavaliere bianco, può reperire i 2,5 miliardi di euro che si stimano necessari per lanciare l'Opa su Fondiaria e sulla controllata Milano Assicurazioni. E poi risanare il gruppo.
In attesa degli sviluppi, dunque, l'attenzione è tutta sulla coppia di scalatori a sorpresa. Mentre Arpe è un volto noto, grazie alla lunga carriera in Mediobanca prima e in Capitalia poi, il finanziere vicentino si è mosso finora su posizioni più defilate. Oggi che è sceso in campo per la conquista di Fondiaria, viene descritto come "l'ariete che prova a sfondare il vecchio salotto di Mediobanca". O, ancora, come la punta di diamante di quell'imprenditoria veneta in genere tagliata fuori dai giochini del capitalismo italiano.
Sull'origine delle sue fortune, tuttavia, si sa poco. Ricostruire i trent'anni di attività della Palladio, in effetti, non è impresa facile. In una girandola di operazioni che hanno coinvolto di volta in volta società italiane e lussemburghesi, la Palladio ha infatti cambiato forma e azionisti più volte, perdendo lungo la strada alcuni investitori che negli anni Novanta l'avevano sostenuta con convinzione, come fece ad esempio lo storico manager dell'Antonveneta di Padova, Silvano Pontello.
Altri supporter però non l'hanno mai mollato o sono subentrati. Uno di questi è Roberto Ruozi, l'ex rettore della Bocconi che fu vicinissimo a Gianpiero Fiorani e alla Popolare di Lodi. Spicca poi Vincenzo Consoli, numero uno di Veneto Banca, mentre altri ancora sono celati dietro le fiduciarie che compaiono a più livelli nel sistema di scatole cinesi che garantisce a Meneguzzo il ruolo di azionista di maggioranza.
La Palladio in bilancio scrive oggi di avere attività per 494 milioni di euro e di gestire risorse di terzi, attraverso una serie di veicoli d'investimento, per svariate centinaia di milioni. All'inizio i primi soldi veri gli arrivano però proprio da Mediobanca, che alla fine degli anni Ottanta acquista per una ventina di miliardi di lire una piccola attività di leasing che la Palladio ha creato ma che non ha più le forze di gestire.
All'epoca Meneguzzo è solo uno dei professionisti raccolti attorno al presidente Armando Cremonese, uno degli avvocati più noti di Vicenza. Molto abile nello stringere relazioni, il commercialista è però ritenuto l'artefice di due operazioni che a metà degli anni Novanta proiettano la società al centro di un sistema di rapporti eccellenti.
La prima riguarda una piccola attività di tele-assistenza per monitorare lo stato di salute degli anziani e dei malati cronici, che la Regione Veneto sceglie di fornire sul proprio territorio. Il servizio è realizzato dalla Tesan, dove la Palladio incrocia interessi vicini a quelli di Lia Sartori, un'esponente di primo piano della politica locale, prima con il Partito socialista poi con Forza Italia, che in Veneto la fa conoscere come "la dogessa" del governatore Giancarlo Galan.
La Regione è da sempre il più redditizio cliente della Tesan, posseduta dalla Palladio Partecipazioni, dove per alcuni anni figura come consigliere di amministrazione l'architetto Vittorio Altieri, socio di Meneguzzo ma anche, fino alla scomparsa avvenuta qualche anno fa, compagno di vita di Lia Sartori.
Dettaglio importante: all'inizio del 2000, subito dopo l'ennesimo rimescolamento azionario della Palladio, la quota di controllo della Tesan viene venduta con una ricca plusvalenza a nuovi soci privati, affiancati però dalla finanziaria regionale Veneto Sviluppo. Una mossa che proietta la Regione nell'insolito doppio ruolo di cliente e di azionista della fortunata ditta.
L'altro passaggio cruciale per il gruppo incrocia la nota finanziaria Gemina, da dove arriva Giorgio Drago, che oggi ricopre con Meneguzzo il ruolo di amministratore delegato di Palladio. Si tratta di un'operazione che, stando a quanto è possibile ricostruire dai bilanci, porta la Palladio ad acquistare e, nel giro di pochi mesi, a liquidare o rivendere una holding appartenuta al colosso elvetico Swiss Re, le attività nell'abbigliamento sportivo del Gft, nonché lo storico produttore di macchine da cucire Rimoldi Necchi. Una sequenza che, probabilmente, ha senso solo nel beneficiare fiscalmente delle perdite accumulate da alcune di queste società .
Tutto ruota attorno a una holding che si chiama Sicen, che la Palladio acquista da Swiss Re a metà del 1995. Dentro la Sicen non c'è nulla se non un bel mucchietto di quattrini, 80,7 miliardi di lire, una plusvalenza che la società ha incassato vendendo un pacchetto azionario del 10,3 per cento del Lloyd Adriatico. La Swiss Re non può distribuirsi quelle risorse se non pagando una marea di tasse, come sembra indicare un fondo imposte messo nel bilancio di quell'anno, pari alla bellezza di 41 miliardi.
Appena subentrato in Sicen, però, Meneguzzo utilizza il tesoretto per fare un prestito alla Palladio stessa, sposta la sede sociale da Roma a Firenze e ottiene la possibilità di posticipare la chiusura dell'esercizio di alcuni mesi.
Nel frattempo compra dalla Gemina la Gft Sports Wear, che si porta dietro un bel carico di perdite fiscalmente detraibili. Non è però finita. Perché la Palladio acquista un'altra società in perdita (la Iniziative Finanziarie) che custodisce la proprietà della Rimoldi Necchi, rivende la stessa Rimoldi ai vecchi proprietari e, secondo quanto si deduce dai bilanci, ne utilizza le perdite sempre a fini fiscali.
L'entità del beneficio di queste acrobazie è da calcolare, anche se probabilmente si tratta di decine di miliardi di lire. Quel che è certo è che Meneguzzo ne esce più forte di prima e che, da allora, gli affari decollano. Al punto che, dieci anni dopo, entra in affari direttamente con il colosso del Nord Est, le Generali, controllate per paradosso proprio da Mediobanca. Assieme ad altri soci ne compra il 2,2 per cento.
Si dice che su quei titoli, che in Borsa sono crollati, ci sia oggi una perdita di oltre 400 milioni. Non tutto il male vien per nuocere, però, perché le Generali sono diventate il principale finanziatore di un altro veicolo d'investimento creato da Palladio, chiamato Vei Capital. Doveva investire in infrastrutture ma alla fine s'è comprato il 33 per cento della Snai, leader italiano delle scommesse ippiche. Il vero azzardo, però, è la scalata in Borsa.





