IL PRANZO DEGLI STRESS TEST È PRONTO: A CHI LA FONDUTA, A CHI LO SPEZZATINO - DEUTSCHE BANK IPOTIZZA LA FUSIONE TRA LE POPOLARI. MENTRE MPS FINIRÀ IN MANO STRANIERA O DIVISA IN TRE (CON BAD BANK)

1. MPS: È GIUNTA L’ORA DELLO “SPEZZATINO”?

Emanuele Isonio per www.valori.it

ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA

 

Per Monte dei Paschi di Siena il momento dello smembramento appare sempre più vicino. C’è chi preferisce parlare di “tripartizione”, chi di “spezzatino”, ma la sostanza non cambia: quello che per parecchi mesi si è cercato di evitare, sarebbe ormai inevitabile. Per far sopravvivere il gruppo senese, il top management di Rocca Salimbeni starebbe quindi pensando seriamente all’ipotesi di dividere il gruppo in più parti da vendere al miglior acquirente. Tra i possibili candidati si fanno sempre più insistenti le voci su BNP Paribas - almeno per le filiali del nord - e di un non meglio definito fondo americano.

 

Il piano – assicurano a Valori numerose fonti vicine all’istituto senese, dietro richiesta di anonimato – è già in fase avanzata e il dossier sarebbe al vaglio di consulenti legali per valutarne la fattibilità. Un percorso che l’eventuale esito negativo dello stress test rivelato tra meno di 48 ore potrebbe solo rendere più rapido.

 

FABRIZIO VIOLAFABRIZIO VIOLA

Dagli uffici di Monte dei Paschi non arrivano ovviamente conferme. Le uniche due parole che trapelano sono “no comment”. L’idea sarebbe però di mantenere sotto lo storico marchio "MPS 1472" le filiali dell’Italia centrale. MPS tornerebbe in pratica ad essere una banca regionale, più piccola ma più solida, compatta e legata a un territorio. La “banca delle regioni rosse”, alle quali affiancare eventualmente il Lazio. Una soluzione che – c’è da immaginare – difficilmente verrebbe vista con sfavore dai poteri locali da sempre preoccupati di trovare il modo per rimettere saldamente le mani sul Monte.

 

Per le parti restanti la partita è aperta e i rumors prendono strade (parzialmente) diverse. C’è chi parla di divisione in tre: le filiali del Nord Italia sarebbero vendute a un altro gruppo bancario interessato a consolidare la propria presenza sul territorio o a riorganizzare la propria rete.

montepaschi siena sedemontepaschi siena sede

 

Il Sud è ancora di più un rebus: la sua scarsa appetibilità (è il territorio con le maggiori sofferenze creditizie) lo rende terreno ideale per trasformarlo nel nucleo di una bad bank, nella quale far eventualmente confluire anche parte dei crediti incagliati di altri istituti. Se questa ipotesi fosse confermata bisognerebbe però capire in che modo lo Stato potrebbe intervenire. È difficile immaginare che il premier Renzi sarebbe felice di prestare il fianco a una operazione dai risvolti tutt’altro che popolari.

 

Le porzioni nelle quali dividere MPS potrebbero alla fine però essere ben più di tre. Un modo per dividere la torta tra vari acquirenti e distribuire il rischio dell’operazione.

 

 

2. DOPO GLI STRESS TEST, IL CONSOLIDAMENTO DELLE BANCHE

Luca Gualtieri per “Milano Finanza”

 

MARIO DRAGHIMARIO DRAGHI

Qualcuno ha suggerito il paragone tra la giornata di fuoco di domenica 26 ottobre, quando la Bce comunicherà i risultati di Aqr e stress test, e quel lontano 21 marzo del 1999, quando saltò la doppia opa dell'Unicredit sulla Comit e del Sanpaolo-Imi sulla Banca di Roma. Da quella domenica di 15 anni fa sarebbe infatti partita l'onda lunga che avrebbe portato al consolidamento del sistema bancario italiano con la nascita dei grandi poli nazionali.

 

Molti si attendono che una dinamica analoga si inneschi domenica 26. Non solo perché in molti casi un'aggregazione potrebbe essere la soluzione ideale per colmare i deficit di capitale calcolati da Bce ed Eba, ma soprattutto perché, con l'entrata in vigore della Vigilanza unica a livello europeo, la necessità di uniformare il sistema bancario continentale, riducendone l'indice di dispersione, potrebbe diventare cogente.

Mario Draghi Ignazio Visco a NapoliMario Draghi Ignazio Visco a Napoli

 

Se infatti da un lato gli investimenti in information technology e in regulation richiederanno economie di scala sempre maggiori, d'altra parte i bassi tassi di interesse e la crescita negativa del pil impongono oggi un drastico lavoro sui costi possibile con una politica di aggregazioni. «C'è poi un problema di evoluzione del business bancario, in cui la progressiva scomparsa del contante offuscherà a poco a poco valori come la territorialità e la prossimità», osserva Paolo Gualtieri, ordinario di Economia dei mercati e degli intermediari finanziari all'Università Cattolica.

 

banco popolarebanco popolare

«Sarebbe sbagliato ritenere le aggregazioni come la conseguenza diretta degli stress test. In realtà l'esame europeo ha soltanto congelato un processo industriale che nei prossimi mesi potrebbe rimettersi in moto», conclude Gualtieri che però avverte: «Il processo riguarderà soprattutto gli istituti di medie dimensioni e non sarà comunque dimensionalmente comparabile alle grandi fusioni che hanno preceduto la crisi».

 

Ne sono convinti anche gli analisti di Deutsche Bank, che in un report dedicato proprio alle banche italiane esordisce con un titolo intrigante: m&a, qualcosa è nell'aria. «Le banche italiane devono migliorare la propria efficienza per aumentare i rendimenti. La notizia positiva è che, a nostro parere, c'è spazio per tagliare i costi e che l'm&a potrebbe accelerare questo processo».

 

BPM BANCA POPOLARE DI MILANO BPM BANCA POPOLARE DI MILANO

L'analisi di Deutsche Bank parte proprio dalla constatazione che oggi le banche italiane presentano una redditività più bassa rispetto alla situazione europea (con un rote, return on tangible equity, del 35% più basso della media continentale) e limitati spazi per agire su ricavi e provvista. In aggiunta, il sistema creditizio tricolore presenta ancora un numero troppo elevato di istituti di credito (circa 700) e di sportelli rispetto agli altri Paesi europei.

 

BPM BPM

Per mettersi in linea e raggiungere un rote del 10% servirebbe quindi un drastico taglio dei costi del 43% nel 2014 e del 22% nel 2015, concretizzabile sia attraverso un uso più sistematico della tecnologia, sia attraverso un nuovo valzer di aggregazioni. L'M&A infatti consentirebbe di ottimizzare le strutture centrali, permettendo agli istituti di chiudere sportelli e accelerare la trasformazione. «Calcoliamo che un taglio delle filiali del 30%, pari a 9.400 unità a livello di sistema, potrebbe riportare l'Italia nella media europea in termini di densità di filiali per popolazione e geografia», spiega il report di Deutsche Bank.

 

Ma, tornando al risiko, quali potrebbero essere prede e predatori di questa nuova stagione di acquisizioni? Secondo Deutsche Bank, gli schemi fissi delle eventuali operazioni saranno sostanzialmente due: o una banca più forte ne comprerà una giudicata più debole in base ai criteri del comprehensive assessment; oppure una banca quotata di medie dimensioni e ben patrimonializzata ne acquisirà una molto piccola e non quotata. Entrambi gli scenari sarebbero ben visti dai regolatori, perché aiuterebbero a ridurre la frammentazione del settore.

UBI BANCA BRESCIAUBI BANCA BRESCIA

 

Più improbabile, secondo gli analisti del gruppo tedesco, sarebbe invece una fusione alla pari tra grandi banche popolari come Ubi Banca, Banco Popolare, Bpm o Bper. Le ragioni sono presto dette: in primo luogo questi gruppi dovrebbero uscire dall'aqr senza grossi problemi; secondariamente la governance delle popolari potrebbe rappresentare un ostacolo non indifferente in caso di fusione tra eguali, soprattutto quando le uniche sinergi e possibili arrivassero dal taglio dei costi. E infine la crescita dell'utile per azione sarebbe limitata.

 

Al contrario, le grandi cooperative potrebbero acquisire istituti più piccoli o non quotati come Carige, Credito Valtellinese, Veneto Banca o Popolare Vicenza.

 

E Mps? Per Deutsche Bank Siena dovrebbe superare il comprehensive assessment, ma con il common equity più basso del campione (5,5%) e quindi potrebbe diventare una preda. «Comunque, non riteniamo probabile un'acquisizione di Mps da parte di una banca italiana, perché gli istituti più grandi come Intesa Sanpaolo e Unicredit non ci sembrano interessati a un'espansione domestica», puntualizzano gli analisti.

 

Entrando ancor più nel dettaglio, Deutsche Bank ipotizza i seguenti matrimoni.

 

BANCA CARIGE BANCA CARIGE

Ubi-Carige. Si tratterebbe della classica situazione in cui una banca più forte ne aggrega una più debole, visto che il bilancio di Ubi è oggi uno dei più robusti nel settore. Il gruppo lombardo guidato da Victor Massiah sarebbe insomma in grado di assorbire una banca più piccola ma più debole, pur mantenendo solidi ratio patrimoniali e un livello di crediti deteriorati sotto controllo. In aggiunta, secondo Deutsche Bank, il deal presenterebbe un basso rischio di esecuzione e non dovrebbe scontarsi con ostacoli a livello di governance. La banca genovese infatti è una società per azioni senza un socio di maggioranza e dunque non potrebbe mettere in campo difese materiali contro un eventuale takeover.

 

Ubi potrebbe presentare un'offerta in contanti o in carta e l'unico problema potrebbe essere rappresentato dall'esercizio del recesso da parte di alcuni azionisti della Carige. In questo caso infatti il pagamento sarebbe contanti e potrebbe corrispondere alla media dei pre zzi di chiusura di Carige nel semestre precedente (circa 0,15 euro). Per questa ragione, secondo Deutsche Bank, Ubi troverebbe forse più conveniente aspettare ancora qualche mese prima di formalizzare l'operazione, specialmente nel caso in cui l'esito dell'Aqr fosse sfavorevole per Carige.

 

DEUTSCHE BANK DEUTSCHE BANK

Banco-Bpm. L'operazione è uno degli scenari favoriti nelle dealing room e l'amministratore delegato del Banco, Pier Francesco Saviotti, ne ha recentemente parlato come di un «sogno». Per gli analisti di Deutsche Bank però ci sarebbero due ostacoli da superare: la forza di Bpm in termini di capitale e di redditività, che potrebbe essere ulteriormente evidenziata dall'esito dell'Aqr, e la governance di Piazza Meda. «Perché i dipendenti di Bpm, che possono votare in assemblea, dovrebbe approvare una fusione con il Banco? Specialmente alla luce del fatto che le sinergie di un'operazione di questo genere arriverebbero principalmente dal taglio dei costi e dal licenziamento del personale», si chiedono gli analisti della banca tedesca.

 

josef ackermann deutsche bank josef ackermann deutsche bank

Infatti, anche se i dipendenti riuscissero a mantenere il proprio posto di lavoro, perderebbero comunque la presa sulla governance della banca. Certamente un'offerta in contanti da parte del Banco potrebbe risultare convincente, ma Verona quan to potrebbe permettersi di mettere sul piatto? Alla luce di queste incognite la popolare guidata da Saviotti potrebbe orientarsi verso altre prede, come la Popolare di Vicenza o Veneto Banca che, secondo gli analisti di Deutsche Bank, potrebbero essere target interessanti sia per il Banco, sia per altri istituti come Bper o Ubi. Per queste popolari non quotate però si porrebbe il problema del valore delle azioni, che oggi viaggiano su valori assai maggiori rispetto alle sorelle presenti in Piazza Affari.

 

Banco-Creval. Sarebbe un'altra opzione per Verona, visto che le sovrapposizioni in termini di sportelli sarebbero trascurabili e l'operazione permetterebbe al Banco di espandersi in una regione chiave come la Lombardia dove la sua quota di mercato non è ancora al top. Il deal consentirebbe una remunerazione del capitale investito del 9%, ipotizzando che il Banco paghi circa un miliardo per il Creval con 260 milioni di costi di integrazione.

 

LOGO BPERLOGO BPER

Bpm-Bper. Sarebbe una riedizione del deal clamorosamente sfumato nel 2007, anche se con un esito potenzialmente diverso. Oggi infatti, in caso di pressioni da parte dell'organismo di Vigilanza, gli azionisti di Bpm potrebbero preferire un matrimonio tra eguali come quello con Bper a una soluzione molto più diluitiva come le nozze con il Banco. Il nuovo gruppo avrebbe un common equity del 10,9%, mentre la remunerazione del capitale investito sarebbe dell'8% se Bpm pagasse tre miliardi per Bper con 400 milioni di costi di integrazione.

 

UBI BANCAUBI BANCA

Ubi-Bper. A favore di una soluzione di questo genere giocano soprattutto il modello federale comune ai due gruppi e problemi di governance più contenuti rispetto a un'eventuale integrazione Bpm-Bper. Anche le sovrapposizioni sarebbero limitate, con circa un centinaio di filiali da vendere (il 3,4% della rete commerciale complessiva delle due banche). A livello patrimoniale invece il nuovo gruppo avrebbe un common equity al 12%.

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