LA SVIZZERA DICE ADDIO AL SEGRETO BANCARIO? NO PROBLEM: CI SONO I PORTI FRANCHI. NIENTE TASSE, NIENTE NOMI (TANTO LE BANCHE NON DANNO PIU’ INTERESSI)

Federico Fubini per ‘La Repubblica'

Non lo immagineresti, se non sapessi che è qui. Già attraversando il ponte sulla ferrovia per accedere, questo posto si presenta come eternamente svizzero: uno scialbo magazzino sovrastato da una torretta e un immobile dall'identità incerta fra il sanatorio e la caserma. C'è silenzio e odore di ruggine. Sul piazzale si aggirano operai alla guida dei muletti, nei depositi visibili da fuori restano giusto dei bussolotti di granaglie. I soli oggetti di pregio esposti sono una pompa da vino del 1925 e una bicicletta militare d'epoca che sotto la canna porta una fondina da pistola.

Di sicuro non è l'unica misura di sicurezza qui dentro. E l'aria démodé non deve indurre alla sottovalutazione, come sanno gli italiani che negli anni di terremoti finanziari sono venuti qua a tre chilometri oltre il confine. Ci sono probabilmente più beni di valore stipati in questi cento metri quadri che in tutto il resto del Ticino, perché questo è il porto franco di Chiasso. Del resto sta scritto grande sulla torretta in cortile: "Punto franco", terra di nessuno dal punto di vista fiscale.

Basta chiedere ai tassisti del posto per avere un'idea dell'afflusso proveniente dall'altra parte della frontiera. Chi arriva solo con una valigetta in mano e riparte senza, chi si è fatto venire a prendere a Firenze, chi semplicemente domanda di essere guidato con la sua grossa auto dal bagagliaio palesemente carico verso questo strana isola industriale fra i binari.

La Svizzera del resto è così: unisce tradizione e modernità. Qui tradizione è l'antica abitudine a gestire i porti franchi, temporaneamente esentasse, per materie prime in transito: carburante, derrate alimentari, mangime per il bestiame. La modernità in questo caso invece è usare sempre più spesso gli stessi privilegi dei porti franchi - la discrezione, l'anonimato, l'esenzione tributaria - per farne depositi a tempo indeterminato di merce un po' diversa: opere d'arte dal valore esponenziale, vini pregiati, gioielli e orologi, ma soprattutto oro, argento, platino o palladio. Niente Iva né prelievo sui redditi da rivalutazione del capitale, per tutto questo. Niente nomi per i loro proprietari.

Da quando i governi europei premono sulle banche svizzere perché rinuncino al segreto dei conti e da quando la credibilità del sistema finanziario globale è in dubbio, i porti franchi sono sempre più affollati. I ricchi d'Italia e d'Europa preferiscono diversificare il patrimonio comprando metalli o beni preziosi. E li depositano in posti come questo di Chiasso, ma ancora di più a Zurigo, Ginevra, ma anche a Lussemburgo o a Singapore, a Shanghai, a Pechino, a Bordeaux o nel Principato di Monaco.

È un'industria rodata, che funziona ormai grazie a una serie di automatismi. Gli italiani vi hanno fatto ricorso nella fase acuta della crisi dell'euro e continuano anche adesso, appoggiandosi su imprese come la Pro Aurum. Quest'ultima ha undici sedi in punti chiave
d'Europa fra cui Amburgo, Ostrava in Repubblica Ceca e, strategicamente, Lugano.

Pro Aurum svolge il servizio per la clientela italiana fino a missione compiuta: su ordinativo compra una certa quantità di metallo prezioso - lingotti veri, non i certificati di proprietà di un fondo - e immagazzina tutto nel porto franco di Zurigo.

La custodia lì dentro costa ogni anno lo 0,75% del valore dell'oro e l'1,75% dell'argento, del platino o del palladio depositato. Il prelievo sui metalli bianchi risulta più caro, perché a differenza dell'oro su quelli in Svizzera bisognerebbe pagare l'Iva ma grazie al porto franco lo si evita. Comprate, depositate, rivendete tutto dentro quel recinto e non saprete neppure cos'è un'aliquota. Un privilegio del genere ovviamente si paga, purché un punto resti chiaro: l'area protetta di Zurigo non accoglierà la vostra richiesta di asilo fiscale se vi presentate con meno di 80 mila euro in barre o lingotti, dunque non potrete mai spendere meno di 600 euro l'anno sull'oro e 1400 euro sull'argento.

Vero che, almeno in teoria, i porti franchi non sarebbero anonimi. Una recente legge svizzera li obbliga a mantenere un registro di ciò che ospitano e dei titolari dei beni, o almeno dei loro prestanome. Quando però avviate l'operazione, l'addetto vi spiegherà come funziona veramente: un porto franco rivela alle autorità i nomi e i relativi patrimoni solo se c'è la richiesta di un procuratore elvetico, nel caso in cui siate accusati di un reato penale. Altrimenti in quelle aree vige lo stesso segreto a cui la Svizzera sta rinunciando per le banche negli accordi con la Francia, l'Austria, la Gran Bretagna e presto anche con l'Italia.

C'è anche chi sceglie di depositare semplici biglietti di banca nei porti franchi, spesso situati all'interno di aeroporti internazionali in modo da tenerli fuori da ogni frontiera. In questo caso è la banca a noleggiare per il cliente una cassetta di sicurezza nel deposito. Per molti istituti elvetici sta diventando il modo di proteggere l'anonimato del cliente anche dopo aver annunciato solennemente la rinuncia a farlo. Un indizio è nella corsa alle banconote da mille franchi svizzeri: secondo le ultime stime, i biglietti di grande taglio rappresentano ormai il 60% del valore di tutta la moneta circolante nella Confederazione.

Sono solo sospetti, certo, perché chi gestisce un porto franco non spiega mai esattamente cosa fa. I proprietari di quello di Chiasso si limitano a ricordare che agiscono su concessione del governo di Berna, «sottostando alla legge sulle Dogane». Altri professionisti del settore raccontano a mezza bocca che luoghi del genere attirano persone ricche decise a difendersi dal «rischio politico» nei loro Paesi: sommosse di piazza nei Paesi arabi, il crollo del sistema in Grecia, colpi di Stato nell'Africa sub-sahariana. Distinguere tra un mafioso, un cleptocrate e un normale uomo d'affari del resto non è mai stato il mestiere del gestore di un magazzino doganale.

Non che sia un'esclusiva elvetica, a dire il vero. La Francia condanna, ma non si comporta diversamente. Lo scorso luglio per esempio Pierre Moscovici, ministro dell'Economia di Parigi, ha ammonito i francesi sul fatto che il segreto dei conti svizzeri è finito e per chi evade non ci sarà «né pazienza, né amnistia ».

Moscovici però non ha ricordato ciò che sta accadendo a Bordeaux. Lì il Bordeaux City Bond, un porto franco a tutti gli effetti, promette anonimato per chi deposita vini preziosi («i nomi dei clienti non compariranno né sulle casse, né sui bancali ») e esenzioni fiscali «per investitori e collezionisti». In altri termini, pur facilitare l'acquisto di vini da parte di ricchi in prevalenza russi e cinesi il governo di Parigi tollera a Bordeaux esattamente il tipo di paradiso fiscale che si batte per eliminare dal resto del mondo.

Impossibile sapere il valore di quel magazzino francese. Un'idea la fornisce però ciò che è appena avvenuto a Ginevra: nel porto franco della città si è fatta una transazione da 150 milioni di euro per un'unica partita di vini. Fanno il resto l'accumulazione di patrimoni sospinta dalla liquidità sprigionata delle banche centrali e la diffidenza di molti investitori verso azioni, bond o derivati. Nel mondo oggi vivono circa 200 mila persone con patrimoni da 30 milioni di dollari e oltre, un aumento del 6% su un anno fa.

E per loro le transazioni in opere d'arte diventano sempre di più una forma di investimento alternativo: valevano dieci miliardi l'anno nel ‘92, ma ormai superano i cinquanta. Quest'autunno Deloitte ha portato alcuni grandi clienti in Lussemburgo a vedere il luogo dove sorgerà uno edificio pensato per ospitare tante opere d'arte quante ne contiene un grande museo del mondo, il MoMa di New York o gli Uffizi.

Il gruppo ha finito per aggirarsi nell'aeroporto di Findel, che riserva ampio spazio a un porto franco pieno di sofisticate misure di sicurezza: dal riconoscimento biometrico agli ingressi, ai gas inerti per sedare eventuali incendi senza inondare d'acqua i quadri. Gli addetti ai lavori parlano di un "ecosistema per collezionisti" con tanto di "ottimizzazione fiscale". Ma in linea con lo spirito che aleggia sui nuovi forzieri della Terra, Deloitte ovviamente non commenta.

 

BANCHE SVIZZERE BANCHE SVIZZERE UBSBANCHE SVIZZERELUGANO-BANCHE SVIZZEREPierre Moscovici and Marie Charline Pacquot article A CAFA DC x MARIE CHARLINE PACQUOT FIDANZATA MINISTRO FINANZE FRANCESE PIERRE MOSCOVICI ZURIGO jpegBORSA DI ZURIGO

Ultimi Dagoreport

pam bondi

DAGOREPORT - COME MAI L’INFORMAZIONE ITALICA SI È TOTALMENTE DISINTERESSATA DELLO SBARCO A ROMA DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, LA FOSFORESCENTE SESSANTENNE PAM BONDI, ARRIVATA CON TANTO DI AEREO DI STATO IL 10 DICEMBRE? - EPPURE LA FEDELISSIMA DI TRUMP NON SI È TENUTA NASCOSTA: HA ALLOGGIATO ALL’HOTEL ST. REGIS, SI E’ ATTOVAGLIATA AL BOLOGNESE DI PIAZZA DEL POPOLO, HA INCONTRATO AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DI VIA ARENULA CARLETTO NORDIO, HA AVUTO L'INESPRIMIBILE GIOIA DI CONOSCERE IL VICEPREMIER MATTEO SALVINI A UN RICEVIMENTO DELL'AMBASCIATORE USA IN ITALIA, TILMAN J. FERTITTA. E, FORSE, LA BEN DOTATA DALLA NATURA PAMELONA HA PURE INCOCCIATO IL MINISTRO PIANTEDOSI - MA DELLA “VACANZA ROMANA” DELL'ITALOAMERICANA CARISSIMA A TRUMP, NON SI REGISTRA MANCO UNA RIGA SUI GIORNALONI DE' NOANTRI - VABBE', A NATALE BISOGNA ESSERE BUONI: MAGARI ERANO TUTTI TROPPO IMPEGNATI A SEGUIRE LA FESTILENZA DI ATREJU DEI FRATELLINI DI GIORGIA…

john elkann theodore kyriakou leonardo maria del vecchio

DAGOREPORT - L’OSTACOLO PIÙ TOSTO DELLA TRATTATIVA IN CORSO TRA IL MAGNATE GRECO KIRIAKOU E JOHN ELKANN NON E' L'ACQUISIZIONE DEL GRUPPO GEDI BENSÌ COME “RISTRUTTURARE” UN ORGANICO DI 1300 DIPENDENTI, TRA TAGLI ALLE REDAZIONI LOCALI, PREPENSIONAMENTI E “SCIVOLI”, DI CUI CIRCA 280 GIORNALISTI FANNO CAPO A “REPUBBLICA” E ALTRI 170 A “LA STAMPA” - LA PARTITA SUL FUTURO DEL QUOTIDIANO TORINESE, ASSET CHE NON RIENTRA NEL PROGETTO DI KYRIAKOU, NON ACCELERA CON LA CORDATA VENETA MESSA SU DA ENRICO MARCHI - NEL CASO LA TRANSIZIONE ELLENICA NAUFRAGASSE, LEONARDINO DEL VECCHIO HA CONFERMATO DI ESSERE PRONTO: “NOI CI SIAMO” - “NOI” CHI? ESSENDO “QUEL RAGAZZO'' (COPY ELKANN), DEL TUTTO A DIGIUNO DI EDITORIA, I SOSPETTI DILAGANO SU CHI SI NASCONDE DIETRO LA CONTRO-OFFERTA CON RILANCIO DELL’AZIONISTA DELL’IMPERO DEL VECCHIO, IL CUI CEO MILLERI È STATO ISCRITTO NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI CON CALTAGIRONE E LOVAGLIO, PER LA SCALATA DI MPS SU MEDIOBANCA-GENERALI - E DA TORINO, AVVISANO LE REDAZIONI IN RIVOLTA DI ROMA E TORINO DI STARE ATTENTI: DALLA PADELLA GRECA RISCHIANO DI FINIRE NELLA BRACE DI CHISSÀ CHI...

nietzsche e marx si danno la mano venditti meloni veneziani

VIDEO! “ATREJU E’ IL LUOGO IN CUI NIETZSCHE E MARX SI DAVANO LA MANO, COME DIREBBE ANTONELLO VENDITTI” – GIORGIA MELONI CITA “COMPAGNO DI SCUOLA”, IL BRANO DATATO 1975 DEL CANTAUTORE DI SINISTRA. OVVIAMENTE MARX E NIETZSCHE NON SI DIEDERO MAI LA MANO, NÉ AD ATREJU NÉ ALTROVE. CIÒ È STATO ANCHE IMMAGINATO NELL’ULTIMO LIBRO DI MARCELLO VENEZIANI “NIETZSCHE E MARX SI DAVANO LA MANO”. LO SCRITTORE IPOTIZZA COME MISE EN SCÈNE CHE LA SERA DEL 5 MAGGIO 1882 I DUE SI SIANO TROVATI IN UNA LOCANDA DI NIZZA (DOVE ENTRAMBI PASSARONO). NON SI CAPISCE BENE SE LA MELONI CI ABBIA CREDUTO DAVVERO – VIDEO

giorgia meloni balla ad atreju

GIORGIA, ER MEJO TACCO DI ATREJU! - ZOMPETTANDO COME UN MISIRIZZI, LA MELONI CAMALEONTE HA MESSO IN SCENA CIO' CHE SA FARE BENISSIMO: IL BAGAGLINO DI CORBELLERIE (''QUESTO È IL LUOGO IN CUI NIETZSCHE E MARX SI DANNO LA MANO'') E DI SFOTTO' SU ELLY SCHLEIN: "IL CAMPO LARGO L'ABBIAMO RIUNITO NOI... CON IL SUO NANNIMORETTIANO 'MI SI NOTA DI PIÙ SE VENGO O STO IN DISPARTE O SE NON VENGO PER NIENTE' HA FATTO PARLARE DI NOI" -UBRIACA DI SE' E DEI LECCAPIEDI OSPITI DI ATREJU, HA SCODELLATO DUE ORE DI PARACULISSIMA DEMAGOGIA: NULLA HA DETTO SU LAVORO, TASSE, SANITA', ECC - IDEM CON PATATE SULLA GUERRA RUSSIA-UCRAINA, SUL CONFLITTO STATI UNITI-EUROPA, SUL RUOLO DEL GOVERNO SU DIFESA E IL RIARMO EUROPEO - IN COMPENSO, HA STARNAZZATO DI VITTORIE DEL GOVERNO MA  GUARDANDOSI BENE DI CITARE MINISTRI O ALLEATI; SI E' INFERVORATA PER IL PARTITO MA NON RICORDA CHE L’HA FONDATO CON CROSETTO E LA RUSSA ('GNAZIO E' STATO DEL TUTTO OSCURATO AD ATREJU) - "GIORGIA! GIORGIA!", GRIDA LA FOLLA - OK, L'ABBIAMO CAPITO: C’È UNA PERSONA SOLA AL COMANDO. URGE UN BALCONE PER LA NUOVA MARCHESA DEL GRILLO - DAGOREPORT+VIDEO 

elly schlein pina picierno stefano bonaccini giorgio gori lorenzo guerini giuseppe conte pd

NAZARENO, ABBIAMO (PIU’ DI) UN PROBLEMA - L’ASSEMBLEA PD DI DOMANI RISCHIA DI TRASFORMARSI IN UN BOOMERANG PER SCHLEIN: I DELEGATI DISERTANO, A RIDOSSO DI NATALE, NESSUNO SPENDE SOLDI E TEMPO PER VENIRE NELLA CAPITALE AD ASCOLTARE UNA RELAZIONE SENZA DIBATTITO – LA MOSSA DEI PRETORIANI DI ELLY PER SCONGIURARE LA SALA VUOTA ED EVITARE IL CONFRONTO IMPIETOSO CON MELONI CHE CONTEMPORANEAMENTE FARA’ IL PIENO A ATREJU – SORGI: “BONACCINI ENTRERA’ IN MAGGIORANZA MA SE I RIFORMISTI NON DOVESSERO RICEVERE RASSICURAZIONI SULLE LISTE ELETTORALI, IL RISCHIO DI UNA EVENTUALE SCISSIONE, SI FAREBBE PIÙ CONCRETO…”

ignazio la russa theodore kyriakou pier silvio berlusconi giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT - LA TRATTATIVA DI ELKANN PER LA VENDITA DEL GRUPPO GEDI AL GRECO THEO KYRIAKOU STA SCOMBUSSOLANDO IL GOVERNO MELONI E DINTORNI - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” VEDE DI BUON OCCHIO LA TRANSIZIONE ELLENICA E SALVINI HA BEN GRADITO LA PROSPETTIVA CHE IL GRECO ANTENNATO SISTEMI PER LE FESTE I “COMUNISTI” DI ‘REPUBBLICA’ E ‘STAMPA’, PER FORZA ITALIA C’È STATO IL VEEMENTE INTERVENTO DEL ‘’PRESIDENTE IN PECTORE’’ DEL PARTITO, PIER SILVIO BERLUSCONI, CHE VEDE IN KYRIAKOU UN COMPETITOR PERICOLOSISSIMO, ALFIERE DI QUEL CAPITALISMO DI STAMPO LIBERISTA, PER NULLA “LIBERAL”, CHE PREDICA IL PRIMATO DELL’ECONOMIA SULLA POLITICA - COSI', DIMENTICANDO IL SUO ATTIVISMO IN GERMANIA PER CREARE UN GIGANTE EUROPEO DELLA TV COMMERCIALE, L’EREDE DEL BISCIONE NON HA TROVATO DI MEGLIO CHE RISPOLVERARE LA BANDIERINA DELL’ITALIANITÀ (“CHE UN PEZZO DI STORIA DELL'INFORMAZIONE DEL NOSTRO PAESE VADA IN MANI STRANIERE UN PO' DISPIACE’’) - MA IL COLPO DI SCENA ARRIVA DAL CO-FONDATORE DI FRATELLI D’ITALIA E SECONDA CARICA DELLO STATO, IGNAZIO LA RUSSA, QUANDO SI È DICHIARATO DISPOSTO A FARE DA INTERMEDIARIO TRA I GIORNALISTI “COMUNISTI” DI GEDI E IL GRECO USURPATORE (ULTIMA USCITA DELLA GUERRIGLIA DI ‘GNAZIO IN MODALITÀ ''LA RISSA'' CONTRO LA DITTATURA DELLE SORELLE MELONI...)