lucrezia reichlin

A FARI SPENTI NELLA TRUMPONOMICS/1 - REICHLIN: ''IL PRESIDENTE ELETTO HA PROMESSO DI SPENDERE UN TRILIONE (MILLE MILIARDI) IN INFRASTRUTTURE, E DI TAGLIARE 440 MILIARDI DI TASSE ALL'ANNO, IL DOPPIO DI REAGAN. È IMPROBABILE CHE IL CONGRESSO A MAGGIORANZA REPUBBLICANO GLI PERMETTERÀ UNA SIMILE SPESA. AL MASSIMO DARà L'OK AL TAGLIO DELLE TASSE, CHE ARRICCHIRÀ POCHI E CREERÀ UN DEFICIT DA 5,3 TRILIONI''

Lucrezia Reichlin per il ''Corriere della Sera''

 

La vittoria di Trump genera incognite su tutti i piani, da quello economico a quello geopolitico.

 

Su un aspetto del suo programma economico, quello delle politiche di bilancio, sembra però che ciò che Trump vuole fare sia più vicino ai programmi dell' ala progressista del partito democratico che alla tradizionale posizione conservatrice. Ma le cose non stanno così.

LUCREZIA REICHLINLUCREZIA REICHLIN

 

Trump ha dichiarato di volere spendere un trilione di dollari (mille miliardi) in infrastrutture per stimolare la crescita. Ed è vero che, con questa proposta, l' outsider, inviso alle élite politiche e intellettuali, sembra paradossalmente sposare una visione keynesiana della politica economica, vicina al "nuovo consenso" oggi creatosi tra accademici e esperti, incluso il Fondo Monetario Internazionale.

 

"Nuovo consenso" perché rivaluta lo strumento di spesa pubblica finanziata a debito ai fini della stabilizzazione dell' attività economica. Jason Furman, il capo del consiglio economico di Obama, per esempio, scrive recentemente che quest' ultima è uno strumento con il debito ed è uno strumento potente per far fronte alla bassa crescita associata a tassi di interesse e inflazione vicini allo zero che caratterizza le economie avanzate di oggi.

 

Una bella differenza di vedute rispetto al consenso precedente, nato tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, secondo cui la spesa pubblica finanziata a debito ha effetti incerti sull' attività economica o addirittura negativi poiché, causando un aumento dei tassi d' interesse, disincentiva la spesa privata.

 

REAGAN E TRUMP REAGAN E TRUMP

Keynes è di nuovo popolare. Ma ha conquistato anche Trump? Dopo otto anni di quantitative easing e con i tassi di interesse vicini allo zero c' è certamente meno fiducia sulla efficacia della politica monetaria e in molti ormai pensiamo che lo strumento fiscale debba essere usato in coordinamento con essa. Ma andiamo a vedere meglio il programma del presidente eletto. Corrisponde a questa visione?

 

Il Comitato per la responsabilità di bilancio calcola che nei prossimi dieci anni la Trump-economics implicherà un deficit di 5,3 trilioni di dollari spiegato da 5,8 trilioni di diminuzione delle tasse e da 1,20 di diminuzione della spesa primaria. Un deficit elevato quindi, ma generato da un piano molto più reaganiano che keynesiano.

 

john maynard keynesjohn maynard keynes

Infatti, da quello che si capisce dalla discordante informazione della campagna e dalle dichiarazioni recenti, il trilione di investimento in infrastrutture non sarà spesa pubblica ma in parte generato da partnership pubblico-privato e alimentato da crediti all' imposta.

 

Molti ritengono questo irrealistico, un messaggio elettorale con poca sostanza. Il credito d' imposta rende più profittevoli i progetti esistenti, ma non è sufficiente a stimolare investimenti nelle aree più povere dove la redditività è più bassa. Se ne deduce che per arrivare a spendere un trilione si dovrà mobilitare la spesa pubblica e in quel caso il deficit supererà i 6 trilioni. Difficile immaginare che un Congresso e un Senato a maggioranza repubblicana possano approvare una misura del genere.

 

È molto probabile, invece, che quello che resterà delle roboanti dichiarazioni elettorali sarà un massiccio taglio alle tasse il cui costo si stima essere di circa 440 miliardi annui, più del doppio dei tagli fiscali di Reagan del 1981, più del quadruplo di quello di George Bush del 2001. Ma questo non ha niente a che fare con il nuovo consenso sugli effetti keynesiani della politica fiscale.

keyneskeynes

 

I tagli di Reagan e Bush, come quelli di Trump, sono giustificati da fantasiose stime sui loro effetti di stimolo all' offerta (incentivi alle imprese), non dal loro potenziale effetto di sostegno alla domanda di consumo e investimento. Ricordiamo che quando, all' epoca di Reagan, quegli effetti di offerta si rivelarono essere molto minori delle aspettative e generarono deficit invece della attesa crescita, la politica economica cominciò ad enfatizzare sempre più la disciplina di bilancio fino a introdurre negli anni seguenti un tetto legale al debito pubblico.

 

Per questo non bisogna confondere il piano di Trump con un nuovo keynesismo. È il suo contrario. Ed è possibile che, come nel passato, il deficit che genererà porterà ad una maggiore enfasi sul consolidamento fiscale, una stretta sui conti pubblici a scapito della spesa che avrebbe dovuto agevolare la crescita.

 

Nonostante quindi il «nuovo consenso» tra economisti e esperti indichi la necessità di combinare politiche attive di stabilizzazione attraverso il bilancio pubblico con quelle monetarie effettuate dalle banche centrali, si va nel senso opposto: negli Usa per via della svolta conservatrice e in Europa, per i vincoli del patto di Stabilità. La conseguenza è che le banche centrali continueranno ad avere il monopolio delle politiche di stimolo all' economia. Questo avverrà nonostante sia ormai chiaro che la politica monetaria da sola non ce la può fare, specialmente quando i tassi d' interesse sono a zero, i bilanci delle banche centrali già gonfi e, quindi, di fronte a possibili avvenimenti avversi, gli strumenti d' intervento limitati.

 

george w bushgeorge w bush

In un dibattito politico che si è involuto in battaglie demagogiche, chi oggi chiede giustamente misure aggressive per la crescita e crede di essere stato ascoltat o, è destinato ad essere deluso .

Ultimi Dagoreport

giampaolo rossi rai report sigfrido ranucci giovanbattista fazzolari francesco lollobrigida filini

DAGOREPORT – RAI DELLE MIE BRAME: CHIAMATO A RAPPORTO L'AD GIAMPAOLO ROSSI ALLA CAMERA DEI DEPUTATI DOVE SI E' TROVATO DAVANTI, COL DITO ACCUSATORIO, I PLENIPOTENZIARI RAI DEI TRE PARTITI DI MAGGIORANZA: GASPARRI (FI), MORELLI (LEGA) E FILINI (FDI) CHE, IN CORO, GLI HANNO COMANDATO DI TELE-RAFFORZARE LA LINEA DEL GOVERNO - IL PIÙ DURO È STATO IL SOTTOPANZA DI FAZZOLARI. FILINI SPRIZZAVA FIELE PER L’INCHIESTA DI “REPORT” SUI FINANZIAMENTI DI LOLLOBRIGIDA ALLA SAGRA DEL FUNGO PORCINO - ROSSI, DELLE LORO LAMENTELE, SE NE FOTTE: QUANDO VUOLE, IL FILOSOFO CHE SPIEGAVA TOLKIEN A GIORGIA NELLE GROTTE DI COLLE OPPIO, PRENDE IL TELEFONINO E PARLA DIRETTAMENTE CON LA PREMIER MELONI... - VIDEO

giorgia meloni daria perrotta giancarlo giorgetti

FLASH – GIORGIA MELONI HA DETTO A BRUTTO MUSO AL RAGIONERE GENERALE DELLO STATO, DARIA PERROTTA: “QUESTO È UN ESECUTIVO POLITICO E NON TECNICO”. IL CENTRODESTRA HA GIÀ SILURATO IL DG DEL TESORO, ALESSANDRO RIVERA, HA LIQUIDATO L’EX RAGIONIERE BIAGIO MAZZOTTA E HA ACCOMPAGNATO ALL’USCITA IL DIRETTORE DELLE PARTECIPATE, MARCELLO SALA. ORA SE LA PRENDE ANCHE CON LA FEDELISSIMA DI GIANCARLO GIORGETTI, CHE NON È CERTO UNA PERICOLOSA COMUNISTA, NÉ UNA OSTILE “MANDARINA” IN QUOTA “DEEP STATE”. A DESTRA COSA PRETENDONO DA MEF E RAGIONERIA? CHE SIANO USI A OBBEDIR TACENDO? DAVANTI AI TRISTI NUMERI, NON CI SONO IDEOLOGIE O OPINIONI…

sangiuliano gasdia venezi giuli

SULLA SPOLITICA CULTURALE DELLA “DESTRA MALDESTRA” – ALBERTO MATTIOLI: “CI RENDEMMO SUBITO CONTO CHE DA SANGIULIANO C’ERA NULLA DA ASPETTARSI, A PARTE QUALCHE RISATA: E COSÌ È STATO. GIULI AVEVA COMINCIATO BENE, MOSTRANDO UNA CERTA APERTURA E RIVENDICANDO UN PO’ DI AUTONOMIA, MA MI SEMBRA SIA STATO RAPIDAMENTE RICHIAMATO ALL’ORDINE - CHE LA DESTRA ABBIA PIÙ POLTRONE DA DISTRIBUIRE CHE SEDERI PRESENTABILI DA METTERCI SOPRA, È PERÒ UN FATTO, E PER LA VERITÀ NON LIMITATO AL MONDO CULTURALE - IL PROBLEMA NON È TANTO DI DESTRA O SINISTRA, MA DI COMPETENZA. CHE BEATRICE VENEZI NON ABBIA IL CURRICULUM PER POTER FARE IL DIRETTORE MUSICALE DELLA FENICE È PALESE A CHIUNQUE SIA ENTRATO IN QUALSIASI TEATRO D’OPERA - (PERCHE' SULL’ARENA DI VERONA SOVRINTENDE - BENISSIMO - CECILIA GASDIA, DONNA E DI DESTRA, SENZA CHE NESSUNO FACCIA UN PLISSÉ?)’’

alessandro giuli pietrangelo buttafuoco arianna giorgia meloni beatrice venezi nicola colabianchi nazzareno carusi tiziana rocca giulio base

''L’ESSERE STATI A CASA MELONI O DI LA RUSSA NON PUÒ ESSERE L’UNICO O IL PRIMO REQUISITO RICHIESTO PER LE NOMINE CULTURALI’’ - LETTERA A DAGOSPIA DI PIERLUIGI PANZA: “SONO TRA LE ANIME BELLE CHE QUANDO GIORGIA MELONI HA VINTO LE ELEZIONI HA SPERATO CHE, AL POSTO DEL PLURIDECENNALE AMICHETTISMO ROMANO DI SINISTRA SI AVVIASSE UN METODO, DICIAMO SUPER-PARTES, APERTO (MAGARI ANCHE SOLO PER MANCANZA DI CANDIDATI) E TESO A DELINEARE UNA CULTURA LIBERALE LEGATA AL PRIVATO O ALLE CONFINDUSTRIE DEL NORD… POVERO ILLUSO. IL SISTEMA È RIMASTO LO STESSO, APPLICATO CON FEROCE VERIFICA DELL’APPARTENENZA DEL CANDIDATO ALLA DESTRA, MEGLIO SE ROMANA DI COLLE OPPIO, PER GENEALOGIA O PER ADESIONE, MEGLIO SE CON UNA PRESENZA AD ATREJU E CON UN LIBRO DI TOLKIEN SUL COMODINO - LE NOMINE DI GIULI, BUTTAFUOCO, CRESPI, VENEZI, COLABIANCHI, BASE & ROCCA, IL PIANISTA NAZARENO CARUSI E VIA UNA INFINITÀ DI NOMI NEI CDA, NELLE COMMISSIONI (IN QUELLA PER SCEGLIERE I 14 NUOVI DIRETTORI DEI MUSEI C’È SIMONETTA BARTOLINI, NOTA PER AVER SCRITTO "NEL BOSCO DI TOLKIEN, LA FIABA L’EPICA E LA LINGUA") 

salvini calenda meloni vannacci

DAGOREPORT – LA ''SUGGESTIONE'' DI GIORGIA MELONI SI CHIAMA “SALVIN-EXIT”, ORMAI DIVENTATO IL SUO NEMICO PIU' INTIMO A TEMPO PIENO - IN VISTA DELLE POLITICHE DEL 2027, SOGNA DI LIBERARSI DI CIO' CHE E' RIMASTO DI UNA LEGA ANTI-EU E VANNACCIZZATA PER IMBARCARE AL SUO POSTO AZIONE DI CARLO CALENDA, ORMAI STABILE E FEDELE “FIANCHEGGIATORE” DI PALAZZO CHIGI - IL CAMBIO DI PARTNER PERMETTEREBBE DI ''DEMOCRISTIANIZZARE" FINALMENTE IL GOVERNO MELONI A BRUXELLES, ENTRARE NEL PPE E NELLA STANZA DEI BOTTONI DEL POTERE EUROPEO (POSTI E FINANZIAMENTI) - PRIMA DI BUTTARE FUORI SALVINI, I VOTI DELLE REGIONALI IN VENETO SARANNO DIRIMENTI PER MISURARE IL REALE CONSENSO DELLA LEGA - SE SALVINI DIVENTASSE IRRILEVANTE, ENTRA CALENDA E VIA A ELEZIONI ANTICIPATE NEL 2026, PRENDENDO IN CONTROPIEDE, UN'OPPOSIZIONE CHE SARA' ANCORA A FARSI LA GUERRA SUL CAMPOLARGO - LA NUOVA COALIZIONE DI GOVERNO IN MODALITÀ DEMOCRISTIANA DI MELONI SI PORTEREBBE A CASA UN BOTTINO PIENO (NUOVO CAPO DELLO STATO COMPRESO)....