1- LA GRUBER CHIAMA EU-GENIO SCALFARI A BENEDIRE I SUOI “BUDDENBROOK DEL SUDTIROLO” 2- DIETLINDE DETTA LILLI RACCONTA IN UN LIBRO IL ‘900 E LA SUA FAMIGLIA, PARTENDO DALLA BISNONNA, NATA AUSTRIACA, VISSUTA SOTTO L’ITALIA, MORTA ALL’OMBRA DI HITLER 3- SCALFARI SI PERDE TRA IL VECCHIO PATRIARCATO (SUO NONNO MASSONE, LAICO, SOCIALISTA, ANTICLERICALE) E QUELLO NUOVO (MARCHIONNE) PRIMA DI BASTONARE I GIOVANI DANDO RAGIONE ALLA FORNERO SUI “CHOOSY”: “IL MINISTRO NON HA TUTTI I TORTI” 4- MICHELE PLACIDO: “LA POLITICA SI È ROTTAMATA DA SOLA. IL CUORE MI DICE DI VOTARE BERSANI, IL CERVELLO RENZI. SPERO SOLO CHE NON SIA GIÀ VIZIATO PURE LUI”

Foto Dagospia

Francesco Persili per Dagospia

«Cosa dici, Maestro?». Busto a tre quarti, come quando conduceva il Tg1, Lilli Gruber in total black si rivolge con sguardo devoto ad Eugenio Scalfari e aspetta di ricevere la benedizione dal Fondatore di Repubblica sulla sua ultima fatica letteraria (Eredità), un affresco familiare tra la finis Austriae e il fascismo.

A fianco dell'ex parlamentare europea dei Ds e del patriarca di largo Fochetti, nella pancia del Tempio di Adriano, ci sono Michele Placido con baffo argento anni '70 e Paolo Pagliaro che fa il punto, stavolta, sulla «tenacia di Lilli nello scavare alla cerca delle proprie radici». La mamma, la sorella, la nipote della giornalista sono sedute in prima fila, Serena Dandini è appoggiata ad una colonna mentre in mezzo al pubblico vengono avvistati anche Stefano Rodotà, Livia Azzariti, l'editorialista del Sole 24 Ore Stefano Folli, e Fabiano Fabiani.

Sono tutti in trepidante attesa dell'imprimatur scalfariano. Lungo sospiro, il Maestro non delude l'allieva: «E' scritto con uno stile fatto di parole tenute sotto la canfora, non spese, non usurate, come fosse tedesco antico». Ma è Lilli Gruber o Thomas Mann? Più che una saga in stile Buddenbrook del Sudtirolo, è «il racconto - nato dalle pagine di un diario ritrovato - della mia terra e della mia famiglia», spiega la conduttrice di Otto e mezzo tra i candidati alla direzione del Tg1 («Ma io sto benissimo dove sono», assicura Lilli la Rossa a Dagospia).

Sofferenze e passioni vanno a comporre un ritrattone di un Novecento in bianco e nero che mescola piccole patrie e diversità, vicende personali e tragedie collettive, storie d'amore e lacerazioni di una terra di confine con i tormenti della bisnonna Rosa, nata austriaca, vissuta sotto l'Italia, morta all'ombra del Reich. «Una storia che mi piacerebbe vedere sullo schermo», Michele Placido torna con la memoria alle sue vacanze in Alto-Adige e alle manifestazioni di piazza della destra (che lui avversava) nei Settanta contro le autonomie alto-atesine prima di leggere pagine del libro che parlano di sobrietà e laboriosità, valori solidi («onore e fermezza affinché niente possa distogliervi dalle vostre scelte») e donne e ragazze d'altri tempi.

Affiorano tracce di un piccolo mondo antico, tutto amore-preghiera-obbedienza, nostalgia del bel Tirolo e dei vecchi tempi («quanto siete distanti, quanto siete lontani»). Manca solo il rosolio anche se il retrogusto amarcord permane nell'invocazione della «pace domestica» e nella «primavera» del mandorlo.

«Quando ci si confronta con le proprie radici è più difficile di quanto si creda», Lilli la tedesca - come era chiamata al tempo della scuola, quando era vista dai suoi compagni come una specie di Heidi - racconta di Hella, la figlia minore di Rosa, insegnante di tedesco in una scuola clandestina, spedita al confino in un piccolissimo paese della Basilicata. Una donna antifascista che, poi, per conservare la propria lingua, la propria identità, finirà addirittura per avvicinarsi all'ideologia nazista.

«Questo è un racconto storico su una terra la cui patria è se stessa», scolpisce Scalfari che squaderna ricordi di famiglia e brani di civiltà contadina (i funerali in Calabria con le donne che si battevano il petto, si graffiavano le guance e cantavano le lodi del morto) distingue forme di patriarcato vecchie (il nonno massone, laico, socialista, anticlericale) e nuove (Marchionne) prima di gettare uno sguardo sulle nuove generazioni, non proprio da figlio della rivoluzione francese: «Forse, il ministro Fornero non ha tutti i torti quando invita i giovani a non essere troppo choosy. Schizzinoso ed esigente non è infatti chi non trova lavoro ma quello che, dopo averlo trovato, non lo accetta perché non gli piace».

Ogni Paese ha la classe dirigente, e i giovani, che si merita? Oppure aveva ragione Sandro Pertini quando diceva che i giovani non hanno bisogno di sermoni ma di esempi di onestà, altruismo e coerenza? In particolare, perché invitare i figli degli altri ad accontentarsi quando si sa che tutti sono uguali ma c'è sempre qualcuno più uguale degli altri tanto da ritrovarsi non con l'illusione ma con la certezza del posto fisso (magari nella stessa università in cui insegnano i genitori)?

Michele Placido rivela a Dagospia di aver discusso delle parole di Fornero a lungo con i propri figli e parla di «un terribile errore di comunicazione del ministro» prima di allargare il raggio della critica ad una «politica che ha smarrito umanità e ogni legame con la realtà». In Viva l'Italia, il film di Massimiliano Bruno, l'ex poliziotto interpreta il ruolo di un senatore corrotto.

«Oggi non si distingue più tra onesti e disonesti, prevale nei cittadini un sentimento di sfiducia nei confronti di una classe politica che si è rottamata da sola e si guarda con interesse a chi non ha una storia politica come Beppe Grillo o a chi vuole cambiare tutto come Matteo Renzi». Voterà alle primarie del Pd il sindaco di Firenze? «Sicuramente andrò, ma non ho ancora deciso. Il cuore mi dice Bersani, il cervello, Renzi». C'è spazio ancora per un grande sogno?

«Più che un nuovo '68, serve un nuovo modo di concepire la politica», aggiunge Placido che indossa, come a teatro, i panni di re Lear per ricordare che quando «uno si trova solo ed abbandonato da tutti, solo, allora, può capire l'essenza della natura umana». E i politici oggi, invece, «hanno perso il senso dell'esistenza, non sanno cosa voglia dire essere un operaio, un disoccupato, non comprendono il dolore di un precario o di una famiglia che vede il proprio figlio senza lavoro». Quanto sono distanti, quanto sono lontani dalla vita di tutti i giorni. «Spero solo che Renzi non sia già viziato...»

 

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