CAFONALINO – ALL’EUROPA LEAGUE, A X-FACTOR E A SANTORO IERI SERA LA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA AL GRAN COMPLETO HA PREFERITO IL NUOVO LIBRO E INUTILE DI WALTER-EGO VELTRONI, PRESENTATO DA NICOLA ZINGARETTI – C’E’ UNA VOCE CHE CONTINUA A GIRARE TRA I PALAZZI ROMANI: SE CI FOSSE UN ALTRO GIRO DI WALTER IN CAMPIDOGLIO?...

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Francesco Persili per Dagospia

«Vi sarà capitato anche a voi di fermarvi a pagina 60 di un libro e di chiedervi: perché l'autore ha scritto questa storia?». E' successo a tutti, ai tempi della scuola, di arrivare il giorno di un'interrogazione poco preparati e doversi arrangiare in qualche modo. E' successo anche a Nicola Zingaretti, in versione ragazzo della terza C mentre si prepara nel Jewish Community Center di via Balbo a presentare il romanzo di Walter Veltroni, L'isola e le rose. Il presidente della Provincia inforca gli occhiali, compulsa freneticamente le pagine, prende qualche appunto e sembra Bruno Sacchi al banco del liceo prima dell'arrivo del professore.

Poi, ad un tratto, il buio. L'attore Roberto Attias inizia a leggere mentre la sala si riempie. Con il fedelissimo dell'ex sindaco di Roma, Walter Verini ci sono anche il rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma, rav Riccardo Di Segni e Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento per i Beni e le Attività Culturali della Comunità Ebraica (DiBac), e tanti altri che all'Europa League, a X-Factor e a Santoro hanno preferito l'isola di Veltroni.

Quando viene invitato a prendere la parola, il candidato per il centrosinistra alla Regione Lazio precipita nella sindrome da pagina bianca, cerca di guadagnare tempo, nemmeno fosse Renata Polverini con la data del voto: «è una storia bella e curiosa», la prende larga. «Può sembrare banale», in effetti, sembra mettere un po' le mani avanti: è un libro di narrativa «che fa luce su un pezzo di storia italiana». Illuminante, in senso letterale.

Il romanzo, in effetti, prende lo spunto da un episodio vero e racconta alla vigilia del '68 la nascita di «un'isola della bellezza» in mezzo al mare, una specie di repubblica indipendente dell'arte (Isola delle Rose o Insulo de la Rozoy, visto che la lingua ufficiale è l'esperanto) a 11 chilometri dalla costa di Rimini. «Ai tempi di oggi quella terra ideale può suscitare qualche nostalgia», specie se come il presidente della Provincia arrivi da un convegno sulle start-up, Zingaretti mette in moto la retorica sessantottina con tutto il suo carico di ottimismo e confessa di sentirsi «orfano di una certa idea dello stare insieme». Ma quale?

Quella del grande sogno o la vocazione (chiaramente maggioritaria) dei birri, i vitelloni da Riviera in preda a quel «maracanà ormonale» raccontato da Veltroni nel libro? Dopo aver parlato di una generazione che aveva come aspirazione «non l'accrescimento materiale ma la ricerca di un sogno» - al netto, naturalmente dei molti che sono scesi dalle barricate degli ideali della loro meglio gioventù per sedersi comodi in poltrona a gestire il potere senza immaginazione - l'ex europarlamentare Ds, alla fine, lo ammette: «Ho letto il romanzo negli ultimi giorni, è stata una bella parentesi che mi ha permesso di pensare a qualcosa di bello».

Anche Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, racconta di aver avuto «poco tempo a disposizione per leggere il libro» ma vuole rendere lo stesso omaggio alla capacità del primo segretario del Pd «di suscitare speranze» con un libro che comunica ai giovani «l'idea di non arrendersi». Tra cazzeggio no limits e l'ambizione di fare qualcosa di grande, si crea «quell'impasto complesso di aspirazioni e contraddizioni che è la forza dei personaggi del libro», come sottolinea rav Benedetto Carucci Viterbi, che parla di «romanzo storico contemporaneo», tanto per non farsi mancare nulla.

Se Dacia Maraini per "La Scoperta dell'Alba" aveva scomodato Pirandello e Conrad, il preside del Liceo Ebraico Renzo Levi esalta il lavoro veltroniano sulla storia di quegli anni e sull'analisi dei personaggi («è un po' quello che fa Manzoni») prima di lanciarsi in una stroncatura in punta di Talmud, della rottamazione, che non è sempre «superamento del vecchio ma è anche demolizione del nuovo» come dimostra il libro in cui alla fine anche una «novità innocua» come l'isola viene rottamata.

«Una delle persone più ricche intellettualmente che mi sia capitato di conoscere», Veltroni ricorda nelle sei pagine di ringraziamenti finali, anche la conversazione con Carucci fondamentale per la parte sull'esperanto - la lingua universale che un intellettuale ebreo, Ludwik Lejzer Zamenhof, iniziò ad immaginare alla fine dell'Ottocento - e dopo essersi lasciato trasportare dalla (eb)brezza delle recensioni positive al suo romanzo («Addirittura D'Alema, non me l'aspettavo...»), sceglie il low profile: «non sono uno scrittore ma uno che scrive».

Memoria e fantasia si trovano mescolate nella piattaforma letteraria veltroniana con le piramidi sognate da Tonino Guerra e nella Rimini felliniana si nutrono di «seni gagliardi di donne anche brutte». Tutto fa immaginario Sixties: il jukebox, i Beatles e i Rolling Stones, Marilù Tolo e Scilla Gabel, i bambini che fanno il giro d'Italia con le biglie e gli adolescenti che ballano lo shake davanti al bar in «un'alternanza di sentimenti da commedia all'italiana» in forma di prosa. Un romanzo che è la trasposizione letteraria di una pellicola che oscilla tra Il Sorpasso e Sapore di Mare in versione adriatica.

Veltroni si sofferma, ricordando Shlomo Venezia, lo scrittore ebreo sopravvissuto alla Shoah, scomparso di recente, sull'imprtanza del racconto, «la chiave essenziale della vita», parla di «propensione al bello e di utopie concrete» di un tempo, come è scritto nel libro, «carico di adrenalina e colorato come quella copertina dei Cuori Solitari del Sergente Pepper».

Superata la boa di pagina 60, con un personaggio che prende a modello l'Alberto Sordi di ‘Brevi amori a Palma di Majorca' e cerca di abbordare anche una milf di Conegliano, ci si può domandare legittimamente perché Veltroni abbia scritto questa storia? «Per accendere il desiderio del viaggio» ché «non sono i sogni non realizzati ma quelli non fatti a rendere stupida un'esistenza».

E a chi gli chiede se è realizzabile, dopo la rinuncia alla ricandidatura in Parlamento, il sogno di vederlo, di nuovo, impegnato in prima fila, Veltroni risponde: «Zingaretti si occuperà di ridare sicurezza e fiducia ai cittadini del Lazio, io continuerò il mio impegno politico dall'esterno, anche con i libri».

Certo, il vero viaggio non è lasciare Itaca ma tornarci, e dunque, è possibile un ritorno al Campidoglio? Veltroni conferma ogni due per tre di non avere intenzione di ricandidarsi a sindaco, lo ribadisce anche stavolta quando, alla domanda di Dagospia, sorride, e scappa via.

Ma la voce continua a girare tra i palazzi romani ed inizia a farsi largo anche nei corridoi del Nazareno. Di candidati, reali e possibili, ne sono spuntati molti (Sassoli, Adinolfi, Prestipino, Gasbarra, Bettini) ma nessuno sembra essere quello giusto. E se ci fosse un altro giro di Walter? Il viaggio è meraviglia, la meraviglia è il dubbio. E il dubbio, alla fine, rimane.

 

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