MEMORIE DI ADRIANO – 30 ANNI FA L’ULTIMA ‘VERONICA’ DI PANATTA: “VORREI SOLO INCONTRARE IL RAGAZZO A CUI REGALAI LE MIE RACCHETTE, PER RICORDARMI DI QUELL’ATTIMO IN CUI LASCIAI IL PASSATO”

Emanuela Audisio per "La Repubblica"

Se ne andò via di schiena, dando le spalle a tutto. Con la sua veronica, malinconica e definitiva. Un ragazzetto al cancello gli chiese: Adrià mi regali ‘a racchetta? Lui rispose: prenditele tutte, io ho finito. Trent'anni fa Adriano Panatta uscì dal campo per l'ultima volta. Il tennis era ancora un modo di vivere: includeva, non escludeva, ma lui lo sentiva come un padrone feroce. Staccò la catena. Quel giorno lì è dimenticato, anche l'anno, insieme a quella maglietta stretta. «Non mi ricordo niente. Non sapevo nemmeno di aver dato l'addio al tennis nel 1983 a 33 anni».

Memorie di Adriano. Poco monumentali, per nulla retoriche. «Ero stanco, non ne potevo più, facevo fatica a metterci la testa, avevo tre figli, stare sempre fuori era pesante, mi ero sposato con Rosaria a 25 anni, smettere era una liberazione. Avrei potuto tirare avanti ancora un paio di stagioni, ma non avevo più voglia». La sua indolenza, ma anche la sua lucidità nel capire che le cose prima finiscono dentro di noi e poi fuori.

«A Borg sconsigliai il rientro, mi voleva come suo allenatore, ci vedemmo a Milano, lo vedevo un po' depresso, anzi perso, insisteva per giocare con la racchetta di legno. Mi pregò di dargli una mano. Fui scettico anche con Loredana Bertè, allora al suo fianco. Dissi a Björn: ma dove vai, ti prendono a pallate, sarai ridicolo. E così andò».

Il mondo aveva Borg, l'Italia aveva Panatta. Non c'era storia: Borg ha vinto 6 volte a Parigi, l'unico che per due volte lo fece inciampare era Panatta che vinse nel '76. «Lo capivo, mi faceva ridere, trovavo buffe le sue nevrosi, lo chiamavo "il matto calmo". Stava ore nello spogliatoio con Bergelin a provare l'accordatura delle racchette, io me la sbrigavo in un minuto».

Da quel Roland Garros nessun italiano è più arrivato in una finale del Grande Slam. Fanno 37 anni. Panatta avrebbe potuto vincere e pretendere di più (da se stesso), ma aveva un suo modo di essere campione. Sereno, libero, molto romano. «Sono in pace, non ho mai ragionato per accumulo di gloria, per sedermi sui titoli. Non ho più nemmeno i trofei, persi in qualche trasloco, ho preferito provare, esistere, curiosare.

Non ho lottato contro il mio talento, gli ho concesso pause, ne ho rispettato
le pigrizie che erano fame di altro. L'attimo mi è sempre andato bene, sessanta secondi di felicità sono un lampo di eternità soddisfacente. La magia non può durare, io l'ho avuta, me la sono fatta bastare. Ricordo la tristezza che provai dopo aver vinto Parigi:
tutto qui? Ti senti vuoto, freddo, depresso. L'agonismo chiede molto al tuo corpo, ti fa oltrepassare il limite, esci fuori da te, poi rientrarci è un problema».

Adriano voleva stare nella sua pelle, non tradire i suoi sensi. «Il professionismo esasperato non è per me. Non parliamo del divismo. Trovo insopportabili i giocatori che girano con baby-sitter, guardie del corpo, preparatori atletici. Io ero gestito dal
gruppo di Mc Cormack e non sopportavo i lacci: dovevo dire dove andavo, chi vedevo, come e quando. Un'intrusione nella mia vita privata. Così per tornare libero m'inventai che ero ricco di famiglia e che mi sarei ritirato nel mio castello in Toscana. Stavo con Mita Medici, il cui vero nome è Patrizia, una donna dal carattere molto forte. Nel '72 andammo in vacanza a Stromboli, in una casa di pescatori. Lei a Milano recitava in Ciao Rudy
con la Bertè, io la tradii con Loredana, non ne vado fiero».

Adriano leggeva, s'informava, si mischiava. Più non c'entrava con lo sport, più gli piaceva.
Il Manifesto, i capelli lunghi, il ciuffo, ovunque fermentasse qualcosa. «Sono cresciuto in una famiglia socialista. Mio nonno lavorava il marmo, professione pagata con la cecità, è stato uno degli operai che hanno costruito il Colosseo quadrato a Roma. Ora faccio fatica a farmi rappresentare, al cambiamento non ci credo più, dagli anni Ottanta il disfacimento culturale è stato totale, anche in tv. Il nostro è un Paese che non si confronta più e la legge Bossi-Fini andrebbe abolita».

Lo chiamavano il Cristo dei Parioli (suo padre era il custode del circolo), per la sua aria sofferta e stremata in campo. Ma Adriano volava, ci arrivava, senza paura. Non era un tennis nevrotico, solo talento a lento rilascio. «Mi sono sempre conosciuto bene, ero lucido e rischiavo. Ho vinto più tie-break di quanti ne abbia persi, a Roma al primo turno nel '76 salvai 11 match-point contro Warwick.

Giocavo un tennis di colpi dritti, molto audace e dispendioso, dovevo essere al massimo della forma per riuscirci. Mi dispiace non aver vinto Wimbledon nel '79, avevo un tabellone favorevole, ma nei quarti contro Dupre mi impicciai. Già prima dell'inizio del torneo, non trovavo i colpi, così presi l'aereo, tornai in Italia, a Forte dei Marmi, per un tranquillo weekend al mare, e al lunedì rientrai a Londra. Mi criticarono, ma ero fatto così, avevo bisogno di stacco. Io ancora oggi quando rientro a casa mi metto sul letto e da lì leggo, organizzo, lavoro. Laver, Rosewall, Newcombe, i più grandi restano loro. Mi piace Federer perché quando lo vedi capisci che è un animale padrone del suo territorio, certe angolazioni riescono solo a lui».

Adriano ora è nonno, il nipote porta il suo stesso nome. «Ho iniziato e finito la mia carriera a Roma. Contro lo stesso avversario: l'argentino Vilas. Come se la mia vita fosse l'intreccio di uno stesso filo. Mi manca solo incontrare il ragazzo a cui regalai le mie racchette, così per curiosità. Lancio l'appello. Per ricordarmi di quell'attimo in cui lasciai
il passato».

 

Rosaria e Adriano Panatta FULVIO ABBATE ADRIANO PANATTA Enrico Gasbarra e Adriano Panattapietrangeli panatta pietrangeli con panatta panatta adrianoBorg Bjorn bjorn borg

Ultimi Dagoreport

spionaggio paragon spyware giorgia meloni fazzolari mantovano giorgetti orcel francesco gaetano caltagirone flavio cattaneo

DAGOREPORT - E TRE! DALLO SPIONAGGIO DI ATTIVISTI E DI GIORNALISTI, SIAMO PASSATI A TRE PROTAGONISTI DEL MONDO DEGLI AFFARI E DELLA FINANZA: CALTAGIRONE, ORCEL, CATTANEO - SE “STAMPA” E “REPUBBLICA” NON LI FANNO SMETTERE, VEDRETE CHE OGNI MATTINA SBUCHERÀ UN NUOVO E CLAMOROSO NOME AVVISATO DI AVERE UN BEL SPYWARE NEL TELEFONINO - COME NEL CASO DEGLI ACCESSI ABUSIVI ALLA PROCURA ANTIMAFIA (FINITI IN CHISSÀ QUALCHE SCANTINATO), I MANDANTI DELLO SPIONAGGIO NON POSSONO ESSERE TROPPO LONTANI DALL’AREA DEL SISTEMA DEL POTERE, IN QUANTO PARAGON FORNISCE I SUOI SERVIZI DI SPYWARE SOLO AD AUTORITÀ ISTITUZIONALI - A QUESTO PUNTO, IL CASO È CORNUTO: O SI SONO TUTTI SPIATI DA SOLI OPPURE IL GOVERNO MELONI DEVE CHIARIRE IN PARLAMENTO SE CI SONO APPARATI “FUORILEGGE”. PERCHÉ QUANDO IL POTERE ENTRA NEI CELLULARI DEI CITTADINI, NON C’È PIÙ DEMOCRAZIA…

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...

matteo salvini luca zaia giorgia meloni orazio schillaci

FLASH! – L’”HUFFPOST” RIPORTA CHE SALVINI VUOL CONVINCERE LUCA ZAIA A PORTARE IL SUO 40% DI VOTI IN VENETO MA SENZA CHE IL SUO NOME BRILLI SUL SIMBOLO – PER ACCETTARE IL CANDIDATO LEGHISTA STEFANI, LA MELONA INSAZIABILE, PAUROSA CHE L’EX GOVERNATORE VENETO PORTI VIA TROPPI VOTI A FDI, L’HA POSTO COME CONDIZIONE A SALVINI – PER FAR INGOIARE IL ROSPONE, OCCORRE PERÒ CHE ZAIA OTTENGA UN INCARICO DI PESO NEL GOVERNO. IL MAGGIORE INDIZIATO A LASCIARGLI LA POLTRONA SAREBBE ORAZIO SCHILLACI, MINISTRO TECNICO IN QUOTA FDI, ENTRATO IN COLLISIONE CON I TANTI NO-VAX DELLA FIAMMA - AVVISATE QUEI GENI DI PALAZZO CHIGI CHE ZAIA SUI VACCINI LA PENSA ESATTAMENTE COME SCHILLACI…

monique veaute

NO-CAFONAL! – ARCO DI TRIONFO PER MONIQUE VEAUTE, QUELLA VISPA RAGAZZA FRANCESE CHE NEL 1984 GIUNSE A ROMA PER LAVORARE ALL’ACCADEMIA DI FRANCIA DI VILLA MEDICI - DA ABILISSIMA CATALIZZATRICE DI GENIALI E VISIONARIE REALTÀ ARTISTICHE INTERNAZIONALI, DETTE VITA A UN FESTIVAL CHE SCOSSE LO STATO DI INERZIA E DI AFASIA CULTURALE IN CUI ERA PIOMBATA ROMA DOPO L’ERA DI RENATO NICOLINI – L'ONORIFICENZA DI ''COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES'' NON POTEVA NON ESSERE CONSEGNATA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE SE NON A VILLA MEDICI, DOVE 40 ANNI FA TUTTO È NATO….

de luca manfredi schlein tafazzi conte landini silvia salis

DAGOREPORT - LA MINORANZA DEL PD SCALDA I MOTORI PER LA RESA DEI CONTI FINALE CON ELLY SCHLEIN. L’ASSALTO ALLA GRUPPETTARA (“NON HA CARISMA, CON LEI SI PERDE DI SICURO”), CHE HA TRASFORMATO IL PD DA PARTITO RIFORMISTA IN UN INCROCIO TRA UN CENTRO SOCIALE E UN MEETUP GRILLINO – NONOSTANTE LA SONORA SCONFITTA SUBITA NELLE MARCHE E IL FLOP CLAMOROSO IN CALABRIA, LA SEGRETARIA CON TRE PASSAPORTI E UNA FIDANZATA RESISTE: TRINCERATA AL NAZARENO CON I SUOI FEDELISSIMI QUATTRO GATTI, NEL CASO CHE VADA IN PORTO LA RIFORMA ELETTORALE DELLA DUCETTA, AVREBBE SIGLATO UN ACCORDO CON LA CGIL DI “MASANIELLO” LANDINI, PER MOBILITARE I PENSIONATI DEL SINDACATO PER LE PRIMARIE – IL SILENZIO DEI ELLY ALLE SPARATE DI FRANCESCA ALBANESE - I NOMI DEL DOPO-SCHLEIN SONO SEMPRE I SOLITI, GAETANO MANFREDI E SILVIA SALIS. ENTRAMBI INADEGUATI A NEUTRALIZZARE L’ABILITÀ COMUNICATIVA DI GIORGIA MELONI – ALLARME ROSSO IN CAMPANIA: SE DE LUCA NON OTTIENE I NOMI DEI SUOI FEDELISSIMI IN LISTA, FICO RISCHIA DI ANDARE A SBATTERE…