UN BAMBINO DI 9 ANNI FINISCE SOTTO SCORTA PER LE MINACCE AL PADRE, PM ANTI-MAFIA - IL BOSS HA GIURATO VENDETTA CONTRO IL MAGISTRATO CHE LO HA SPEDITO IN CELLA: “SI DEVE FARE, CHIUNQUE C’È CON LUI E SE C’È IL FIGLIO MASCHIO MEGLIO”
Alessandra Ziniti per “la Repubblica”
operazione apocalisse contro la mafia 9
A scuola con la scorta. E anche al parco, in palestra, a casa degli amichetti. Non con la blindata del papà (che come spesso accade ai tanti magistrati sotto tutela la mattina accompagnano i figli a scuola per condividere con loro almeno un momento di quotidianità) ma con la macchina che il comitato ordine e sicurezza ha assegnato proprio a lui, un bambino di nove anni, che un boss di una cosca tra le più sanguinarie della Sicilia vorrebbe far saltare in aria insieme al padre, pm di una Direzione distrettuale antimafia siciliana da molti anni in prima linea nella lotta alle cosche.
«Si deve fare, chiunque c’è con lui e se c’è il figlio maschio meglio. Mancu la semenza ave a ristari (neanche il seme deve rimanere, ndr)». È con una inaudita ferocia che il boss avrebbe emesso la sentenza di morte contro il magistrato che ha sventato il suo diabolico piano di accreditarsi come pentito per evitare un nuovo arresto. E così Lucio (nome di fantasia per tutelare la privacy di un bambino la cui storia abbiamo scelto di raccontare senza alcun riferimento che lo possa identificare) si è ritrovato da un giorno all’altro catapultato in una vita blindata senza sapere neanche perché.
Senza i suoi “angeli custodi” lui e la sorellina e la mamma non vanno più da nessuna parte: né a prendere un gelato, né a fare un giro in bici, né a giocare a calcetto, né alle feste dei compagni. Una presenza discreta e garbata, uomini armati con il sorriso sulle labbra e la mano sul calcio della pistola, a vegliare sulla sicurezza di un’intera famiglia.
Un «rischio altissimo», è stata la valutazione del comitato per l’ordine e la sicurezza che (fatto con pochissimi precedenti anche in una terra di trincea come la Sicilia) ha disposto la tutela per i due bambini e per la moglie del magistrato anche quando si muovono autonomamente. Vita blindata e zona rimozione antibomba davanti all’abitazione e nei pressi degli edifici frequentati dalla famiglia del pm. Un severo dispositivo di sicurezza che ha destato grande impressione nella città dove il magistrato presta servizio ormai da cinque anni.
Nel suo rifugio segreto di collaboratore di giustizia, il boss c’è rimasto solo pochi mesi durante i quali avrebbe continuato a gestire i suoi traffici e a organizzare una sanguinosa faida contro il nipote che aveva osato prendere il suo posto. Poi il suo piano è stato sventato proprio dal pm che lo ha rispedito in cella. E lì ha cominciato a ordire la sua vendetta, un attentato ai danni del magistrato che lo aveva riportato in carcere. A qualunque costo, senza curarsi di risparmiare la sua famiglia, la moglie e i due figli, una bambina di dodici anni e un maschietto di nove.
A rivelare il progetto di attentato è stato uno degli ultimi collaboratori di giustizia (questa volta ritenuto attendibile), che con il boss falso pentito ha condiviso un periodo in cella. Ma non si tratta solo delle sue dichiarazioni. A confermare le parole del pentito anche la testimonianza di un altro collaboratore e soprattutto le intercettazioni ambientali subito disposte dai magistrati nella sala colloqui del carcere dove il boss è detenuto.
In alcune conversazioni con il fratello e con la nuova compagna sarebbero stati individuati precisi riferimenti ad un attentato in fase di preparazione. Boss feroce e spregiudicato quest’uomo che, tornato nella sua città natale dopo aver abbandonato il domicilio protetto, per cacciare la ex moglie e le due figlie da casa le aveva minacciate con queste parole: «Andatevene o vi scanno come agnelli».
Nella città dove abita Lucio, la storia di quel bimbo sotto scorta perché coinvolto in una odiosa minaccia di morte era passata inosservata o quasi fino a quando, al processo in cui è imputato il boss, il procuratore è dovuto venire in aula e comunicare che il suo sostituto non avrebbe più potuto seguire il dibattimento perché minacciato da uno degli imputati.
Lui, il boss, saputo del racconto fatto dal suo ex compagno di cella ora pentito, è cascato dalle nuvole e al suo legale ha detto: «Avvocato, quello era in cella con me ma è tossicodipendente e io con certa gente non ci parlo». A fianco del pm minacciato scende l’Anm che ne sottolinea «il quotidiano impegno in prima linea, con generosità ed equilibrio ed esprime ferma condanna per il vile progetto di attentato ed incondizionata solidarietà al collega ed ai suoi familiari».