1. IL CASO DI YARA NON È AFFATTO CHIUSO: BOSSETTI SI DICE “TOTALMENTE ESTRANEO”. E SUL DNA L’ACCUSA POTREBBE VACILLARE: NON È SPERMA, NON È SALIVA, NON È SUDORE, PERCIÒ I TECNICI HANNO DEDOTTO FOSSE SANGUE. MA ORA NON SI PUÒ PIÙ ANALIZZARE 2. C’È UN NUOVO MISTERO: IL PADRE DI YARA LAVORAVA COL PRESUNTO KILLER NELLO STESSO CANTIERE NEI GIORNI DELLA SCOMPARSA. MA AVEVA DETTO DI NON AVERLO MAI VISTO 3. BOSSETTI: “NON SO COME IL MIO DNA SIA FINITO SUL SUO VESTITO. IO ERO A CASA QUELLA SERA, E IL MIO CELLULARE ERA SCARICO”. IL SUO TELEFONO VENNE AGGANCIATO UN’ORA PRIMA DELLA SCOMPARSA DI YARA A UNA CELLA DI BREMBATE, DOVE FU RAPITA 4. QUELLA CELLA, PERÒ, ARRIVA 8 CHILOMETRI PIÙ GIÙ, SINO ALLA CASA DI BOSSETTI. E FINO AL GIORNO DOPO IL SUO TELEFONO NON SI È MAI AGGANCIATO A UNA CELLA DIVERSA, NEMMENO QUELLA DI CHIGNOLO D’ISOLA DOVE IL CORPO DI YARA VENNE ABBANDONATO 5. IL PENALISTA GROSSO: “LA TRACCIA DI DNA È MOLTO DEBOLE. LA PROVA DEVE SUPERARE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO. E LA DIFESA PUÒ FORNIRE UNA RICOSTRUZIONE DIVERSA”

1. YARA, BOSSETTI AL GIP: “SONO ESTRANEO - ERO A CASA LA SERA IN CUI SCOMPARVE”

Da www.lastampa.it

 

massimo giuseppe bossettimassimo giuseppe bossetti

«Sono totalmente estraneo». Lo ha detto Massimo Giuseppe Bossetti al termine del suo interrogatorio davanti al gip. A riferirlo è stato il suo legale, Silvia Gazzetti, uscendo dal carcere di Bergamo dove questa mattina c’è stata l’udienza per la convalida del fermo del presunto assassino di Yara Gambirasio. Massimo Giuseppe Bossetti ha detto al gip che nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010, quando scomparve Yara Gambirasio, si trovava a casa.

 

L’avvocato ha spiegato che Bossetti avrebbe appreso solo stamani di essere figlio illegittimo e questo lo ha «sconvolto». «Il mio assistito - ha spiegato il legale - ha risposto a tutte le domande del gip e del pm, ha rotto il silenzio». L’avvocato ha poi aggiunto che Bossetti ha dichiarato la sua «innocenza e non si spiega il perché il suo dna sia stato trovato sugli indumenti di Yara. Vedremo di dimostrarlo durante il processo». L’avvocato, infine, ha detto che il suo assistito non conosceva Yara. Il muratore ha detto di aver visto il padre della ragazza una volta sola dopo la sua morte.

giovanni bossetti marito di ester arzuffi madre del presunto killer di yara gambirasiogiovanni bossetti marito di ester arzuffi madre del presunto killer di yara gambirasio

 

Infine ha spiegato che il suo telefono cellulare era inattivo dal tardo pomeriggio del 26 novembre 2010 alla mattina successiva perché scarico. La Procura gli contesta, infatti, che il suo cellulare aveva agganciato la cella di Mapello, a cui si era agganciato anche il telefono di Yara Gambirasio, ed era poi rimasto inattivo, senza ricevere o fare comunicazioni, fino alla mattina dopo alle 7:30.

 

Il gip di Bergamo Ezia Maccora si è riservata di decidere sulla convalida del fermo di Massimo Giuseppe Bossetti al termine dell’interrotatorio di stamani in carcere. Il gip scioglierà la riserva nelle prossime ore.

 

 

2. IL PADRE DI YARA LAVORAVA COL PRESUNTO ASSASSINO

Da “Panorama”

 

la casa di massimo giuseppe bossettila casa di massimo giuseppe bossetti

Fulvio Gambirasio, il padre di Yara, e Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino, lavoravano nello stesso cantiere nei giorni in cui la ragazzina è scomparsa all’uscita dalla palestra di Brembate Sopra: il primo con la sua ditta che realizza coperture per costruzioni, il secondo come muratore. Ne dà notizia il sito di Panorama (www.panorama.it) registrando le dichiarazioni che avrebbero fornito i colleghi che lavoravano insieme a loro.

Questo particolare, potrebbe rivelarsi importante per ricostruire l’esatta dinamica del rapimento della ginnasta tredicenne, anche se nelle dichiarazioni finora fornite alla stampa e agli inquirenti, Fulvio Gambirasio ha sempre negato di aver mai conosciuto Bossetti.

 

 

massimo giuseppe bossetti il presunto killer di yara gambirasiomassimo giuseppe bossetti il presunto killer di yara gambirasio

3. «SE L’ACCUSA VACILLA SUL DNA LA DIFESA PUÒ AVERE GIOCO FACILE»

Sara Menafra per “Il Messaggero

 

«La prova del Dna è una delle più inattaccabili. Certo, però, se è su questo punto che vacilla l’accusa, la difesa può avere gioco facile nel tentare di smontare l’intero impianto accusatorio».

 

Carlo Federico Grosso, professore di Diritto Penale all’università di Torino, è stato il primo difensore di Annamaria Franzoni, nel processo di Cogne. E sebbene in quel caso il Dna non sia mai stato utile a risolvere il delitto, fu sempre una prova tecnica - il luminol, quella volta - a determinare la condanna definitiva della madre di Samuele Lorenzi, anche se l’avvocato era ormai cambiato.

 

il procuratore capo di busto arsizio francesco dettoriil procuratore capo di busto arsizio francesco dettori

Professore, la prova del Dna di per sé può bastare a condannare un indagato accusato di omicidio come Massimo Giuseppe Bossetti?

«Il Dna è sempre stato considerato una prova decisiva. Se veramente sarà stabilito, come appare leggendo i giornali, che sulle mutandine di Yara è stato trovato del sangue e che quel sangue appartiene a Bossetti, almeno in astratto potrebbe bastare questo anche ad arrivare a una condanna in cui la prova sia stata considerata dimostrata “oltre ogni ragionevole dubbio”, come vuole la Cassazione».

 

bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasiobossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio

Il problema è che, a quel che risulta, proprio sull’origine di questo Dna ci sono alcune incertezze. In particolare pare che non sia certa la natura delle tracce trovate addosso alla vittima. È sicuramente una traccia, ma non si è certi se sia saliva, sudore, sangue o altro. Cambia qualcosa in questo caso?

«È chiaramente un problema per l’impianto accusatorio che può diventare anche molto grave. La Cassazione ha fissato con molta nettezza il principio che la prova deve essere data “oltre ogni ragionevole dubbio”. Se non è più così, se la difesa sarà in grado di avanzare una ricostruzione alternativa dei fatti, questo potrebbe mettere in discussione l’intera costruzione. Credo che dal punto di vista dell’accusa a questo punto sia importante ripetere il test per chiarire bene la situazione».

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L’accertamento sembra essere stato fatto con un buon margine di certezza...

«In ogni caso, ora che Bossetti è sotto custodia può essere decisivo fare ulteriori analisi. Se il Dna è l’unico indizio concreto non ci può essere nessun dubbio».

 

Bossetti al momento si rifiuta di rispondere alle domande del pm. Non ha confessato, ma non ha neppure dato spiegazioni. Le pare una scelta oculata?

«Dal punto di vista difensivo mi pare assolutamente comprensibile. Non so se è consigliato da un avvocato o se è stata una sua idea, ma se il quadro probatorio ha elementi di fragilità, la sua scelta è difensivamente corretta».

 

giuseppe guerinoni padre biologico di massimo bossettigiuseppe guerinoni padre biologico di massimo bossetti

 

4. TUTTI I NODI ANCORA DA SCIOGLIERE

Renato Pezzini per “Il Messaggero

 

(…)

 

Il dna è la prova regina che accusa Bossetti, così almeno dicono carabinieri e polizia. Le minuscole tracce organiche trovate sul bordo dello slip e sui leggins della ragazzina corrispondono al codice genetico del muratore che da due giorni in carcere non risponde ai magistrati. Tuttavia se c’è qualcuno che da mesi suggerisce prudenza a chi attribuisce agli esami genetici il potere di indicare con incrollabile sicurezza il nome dell’assassino è proprio il consulente tecnico della famiglia Gambirasio, Giorgio Portera, ex ufficiale dei Ris e genetista forense.

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Prima ancora che il nome di Bossetti irrompesse nell’inchiesta, Portera aveva evidenziato che le tracce di dna che costituiscono il cuore dell’accusa sono tracce molto piccole e non possono essere analizzate all’infinito. Infatti quelle tracce si sono nel frattempo esaurite, non ci sono più. Si deve fare affidamento a quella che gli esperti chiamano «la stringa», e cioè la catena genetica registrata e memorizzata nel corso delle analisi che però, inevitabilmente, ha una valenza scientifica inferiore. Soprattutto quando si tratta di condannare qualcuno.

 

fulvio e maura gambirasiofulvio e maura gambirasio

Certo, un una crepa da poco se confrontata con la potenza probabatoria offerta all’accusa dagli sviluppi degli ultimi giorni. Una confessione, però, renderebbe tutto più semplice, tutto meno precario. Anche perché - e questo è un altro tassello mancante - non si sa e non si potrà mai sapere di che tipo sono le tracce organiche da cui è stato ricavato il dna del (presunto) assassino. Non è sperma, non è saliva, non è sudore, per cui i tecnici hanno dedotto che possa essere sangue. Plausibile ma, ancora una volta, non al cento per cento.

massimo giuseppe bossettimassimo giuseppe bossetti

 

I genitori di Yara, marito e moglie, davanti alla foto di Bossetti hanno scosso il capo: «Mai visto prima». Il problema non è che non l’abbiano visto loro. Ciò che viene ritenuto anomalo, o per lo meno insolito rispetto alla casistica, è che di Bossetti non esista traccia negli archivi delle forze dell’ordine. Mai una denuncia, mai una segnalazione, mai neppure una confidenza anonima sul suo conto, come se il presunto maniaco fosse riuscito a superare la soglia dei 40 anni senza tradire in alcun modo le proprie tendenze, la propria passione morbosa per le ragazzine. Possibile?

BossettiBossetti

 

Infine la questione del telefono. Il cellulare di Bossetti venne agganciato un’ora prima della scomparsa di Yara a una cella che copre la zona sud di Brembate, quella dove la ragazza è stata rapita. Quella cella, però, arriva sino alla zona di Piana di Mapello, otto chilometri più giù, dove c’è la casa di Bossetti. E fino al giorno dopo il suo telefono non si è mai agganciato a una cella diversa, nemmeno quella di Chignolo d’Isola dove il corpo di Yara venne abbandonato.

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