
COSA È SUCCESSO VERAMENTE IN SPAGNA? IL PREMIER SPAGNOLO PEDRO SANCHEZ SA BENISSIMO CHE I MOTIVI DEL BLACKOUT CHE HANNO MESSO IN GINOCCHIO IL PAESE SONO DA RICONDURRE AL MODELLO ELETTRICO SPAGNOLO, COSTRUITO SU UNA ABBONDANZA DI FONTI RINNOVABILI, MA CON DUE GRANDI LIMITI: UN SISTEMA INADEGUATO CHE NON DISPONE DEI SISTEMI PER GESTIRE IL PARACADUTE E UNA RETE OBSOLETA. VISTO CHE FOTOVOLTAICO ED EOLICO DIPENDONO DALLE CONDIZIONI METEO C’È…
1. QUELLO CHE NON È STATO DETTO SUL BLACKOUT IN SPAGNA
Estratto dell’articolo di Walter Galbiati da www.repubblica.it
Molto probabilmente non lo ammetterà mai, ma il premier spagnolo Pedro Sanchez sa benissimo che i motivi del blackout che hanno messo in ginocchio il Paese sono da ricondurre al modello elettrico spagnolo, costruito su una abbondanza di fonti rinnovabili (e questo è un bene), ma con due grandi limiti.
1) Un sistema inadeguato che non dispone dei sistemi per gestire il paracadute offerto da centrali a gas, idroelettriche e tutte quelle fonti programmabili necessarie a intervenire in caso di crisi; 2) una rete che necessita di grandi investimenti che la rendano più moderna ed adeguata alle fonti intermittenti.
La necessaria corsa alle rinnovabili. In Europa la Spagna ha sviluppato più di tutti la produzione da fonti rinnovabili, con una conseguente diminuzione della generazione da fonti termiche.
Vantaggioso, ma imprevedibile. Si tratta di un passaggio ambientalmente ed economicamente vantaggioso per tutti, ma che per essere gestito ha bisogno di un sistema che sappia attutire gli sbalzi delle fonti rinnovabili non programmabili.
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La duttilità del gas. A differenza delle centrali a gas che possono essere accese e spente come un fornello, l’energia che arriva dal fotovoltaico e dall’eolico non è regolabile e dipende dalle condizioni atmosferiche.
L’eccezione. L’unica fonte rinnovabile gestibile è l’idroelettrico perché il flusso di acqua può essere fermato o liberato a seconda della necessità.
Come funziona la rete. La variabilità delle fonti rinnovabili deve essere gestita bene. Se nella rete entra troppa energia, la rete scoppia. Se ne entra poca, cede. E’ un po’ come la pressione nel corpo umano o l’acqua nelle tubature.
Per essere in equilibrio la rete deve quindi avere una frequenza stabile compresa tra 47,5 e 51 Hz. Diversamente avviene un blackout.
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La situazione della rete spagnola al 28 aprile. Nei giorni precedenti il 28 aprile si stavano già verificano forti oscillazioni di frequenza e quel giorno la situazione in entrata della rete spagnola era la seguente: 18.000 megawatt provenivano da impianti fotovoltaici, 3.500 dall’eolico, 3.000 dall’idroelettrico, 3.000 dal nucleare, 2.000 da autoproduzione, 1.500 dal termico e 1.000 dal gas per un totale di 32mila megawatt.
I consumi, invece, erano concentrati per 25.000 megawatt in Spagna, mentre venivano esportati 3.000 in Portogallo, 2.000 in Francia, 1.000 tra Baleari e Marocco e il restante per il pompaggio dell’idroelettrico.
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Il peso delle rinnovabili. Da questi numeri si capisce bene come il 28 aprile le fonti rinnovabili pesassero per il 79,6% della produzione di energia, molto, ma non qualcosa di insostenibile se il sistema avesse avuto a disposizioni dei freni sufficienti per gestire le oscillazioni di frequenza.
[…] Il risultato è che senza le centrali di regolazione (a gas, idroelettriche, ecc.) che garantiscono un apporto costante - e di emergenza - e senza una rete adeguata per gestire le oscillazioni per esempio attraverso i compensatori capaci di regolare la frequenza, può succedere quello che è accaduto il 28 aprile.
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Il gestore non sapeva cosa stava accadendo. La rete non è stata all’altezza della situazione. Di certo, sarebbe servita una maggiore digitalizzazione: chi l’ha gestita nei giorni dell’emergenza non riusciva a rintracciare ben il 40% della produzione da rinnovabile. Non sapeva quindi cosa stava accadendo in rete.
Il blackout. Nel momento in cui l’oscillazione non è stata più gestita, è arrivato il blackout, perché gli impianti si sono staccati autonomamente dalla rete per evitare danni. Si sono scollegati 15mila MW prodotti da impianti fotovoltaici e le stesse centrali nucleari hanno attivato le procedure di emergenza, lasciando il Paese senza elettricità.
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Parte piano. La ripartenza poi è stata più lenta, perché riavviare le centrali nucleari o le rinnovabili che non ripartono a comando è più laborioso rispetto a riaccendere le centrali a gas, che possono essere riattivate in tempi brevi se sono ‘calde’ (quindi accese anche se non a pieno regime). In questo caso erano addirittura ‘fredde’ e quindi con tempi di reazione lunghi.
La sicurezza. Non c’è dubbio che la transizione verso le fonti rinnovabili debba procedere spedita, ma va gestita in sicurezza. E forse non si può ancora lasciare spenta – guardando solo ai prezzi e non alla tenuta generale del sistema - la duttile produzione a gas, rimanendo senza un paracadute in caso di criticità.
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2. IL BLACKOUT DI SPAGNA E PORTOGALLO PUÒ VERIFICARSI ANCHE IN ITALIA? ECCO PERCHÉ IL VERO PUNTO DELLA QUESTIONE È LA RETE ELETTRICA (E NON SOLO LE RINNOVABILI)
Estratto dell’articolo di Gianluca Brambilla per www.open.online
[…] i precedenti blackout – in Europa e non solo – suggeriscono che ciò che è accaduto in Spagna e in Portogallo nei giorni scorsi potrebbe avvenire anche in Paesi che si affidano meno all’eolico e al solare.
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Secondo Michael Hogan, esperto di energia del think tank Regulatory Assistance Project, blackout così vasti come quello che si è verificato nella penisola iberica «sono stati praticamente sempre innescati da guasti alla rete di trasmissione, non dalla generazione, a prescindere che fosse rinnovabile o meno».
Nel 2003, quando un blackout lasciò al buio l’intera città di Londra, la rete era alimentata principalmente da combustibili fossili e l’interruzione della fornitura di energia era stata causata da un trasformatore guasto. Quello stesso anno, un altro blackout lasciò al buio tutta l’Italia. Il problema, in quel caso, era un guasto a una linea idroelettrica.
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Spagna e Portogallo sono due dei Paesi che più stanno trainando la transizione europea verso le energie rinnovabili. Il 16 aprile 2025, l’intera domanda di elettricità spagnola è stata soddisfatta esclusivamente da fonti rinnovabili, mentre il 28 aprile, pochi minuti prima del blackout, eolico e solare coprivano circa l’80% del fabbisogno. Il gestore della rete ha individuato due possibili guasti proprio nella rete di produzione da fotovoltaico. Eppure, per rintracciare la vera origine del problema – ed evitare che si ripeta anche in futuro – sarebbe bene non fermarsi a questa semplice affermazione. «Non è corretto mettere in relazione l’incidente così grave di lunedì con la penetrazione delle rinnovabili» nel sistema elettrico spagnolo», ha ribadito Beatriz Corredor, la presidente della Rete Elettrica Spagnola.
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La colpa del blackout, insomma, non va cercata nella transizione verso fonti di energia pulite. «Incolpare le rinnovabili non restituisce la complessità della questione. Con un importante afflusso di energia intermittente la resilienza delle reti è fondamentale», spiega Chiara di Mambro del think tank Ecco. Una posizione simile l’ha espressa anche Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, in un’intervista al QN: «Il sistema elettrico spagnolo – ha spiegato – è invidiato da tutto il mondo per i prezzi bassissimi e le fonti pulite. Ma proprio per questo è assolutamente più complesso da gestire, sia per l’eccesso di produzione delle rinnovabili sia perché all’ora del blackout la richiesta era elevatissima».
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[…] Il blackout che ha colpito Spagna e Portogallo serve anche a ricordare quanto sia importante investire sulle reti. Ed è proprio questo, secondo molti esperti, il vero nocciolo della questione. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, negli ultimi quindici anni gli investimenti in rinnovabili sono praticamente raddoppiati, mentre gli investimenti nelle reti sono rimasti tutto sommato piatti. Per quanto riguarda i Paesi Ue, la Commissione europea ha stimato che in questo decennio saranno necessari circa 584 miliardi di euro per ammodernare le infrastrutture di rete. Gli obiettivi sono essenzialmente due: reggere il peso della crescente domanda di energia elettrica (non solo per lo sviluppo dell’IA, ma anche per l’elettrificazione di trasporti e consumi) e rendere il sistema più flessibile, proprio per gestire il crescente peso delle rinnovabili – più instabili delle fonti fossili – nei mix energetici dei Paesi Ue.
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Un blackout simile può verificarsi anche in Italia?
Dopo il blackout del 2003, l’Italia si è dotata di sistemi di gestione del rischio, come lo stoccaggio centralizzato dell’energia e la regolazione delle rinnovabili, e oggi può vantare un’infrastruttura tra le più avanzate e digitalizzate di tutta Europa. Terna, la società italiana operatrice delle reti di trasmissione dell’energia elettrica, progetta inoltre di investire 23 miliardi di euro sulla rete nei prossimi dieci anni. Le possibilità che si verifichi un blackout sono impossibili da azzerare, ma gli investimenti per ammodernare le infrastrutture di rete contribuiscono senz’altro a ridurre il rischio.
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Secondo l’associazione Gis (Gruppo Impianti Solari), un blackout come quello dei giorni scorsi «non sarebbe possibile in Italia, poiché gli impianti da fonte rinnovabile sono connessi alla rete secondo regole e criteri ben precisi che impediscono criticità in caso di guasto».
La Spagna, a differenza dell’Italia, ha un parco rinnovabili più datato e le regole di connessione, fino a pochi anni fa, non erano così restrittive come lo sono oggi. In Italia, spiega ancora l’associazione di produttori di fotovoltaico, «Terna ha più volte aggiornato il codice di rete implementandolo con l’obbligo di funzioni e dispositivi di controllo a carico del produttore, che sono stati pensati proprio per evitare situazioni potenzialmente critiche ed impatti sulla stabilità della rete elettrica nazionale». In più, rispetto alla Spagna, l’Italia può contare su una produzione ben più ampia di energia da fonti programmabili.
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