DA VOLPE A POLLO - IL “FURBETTO DELLA PENSIONE”, DOPO AVER CONFESSATO DI NON AVER MAI LAVORATO SIMULANDO MALATTIE E DOLORI, ORA RISCHIA L’ASSEGNO INPS
Nicola Pinna per “la Stampa”
Sandro Mereu risale in quota a mezzogiorno e mezzo: caschetto in testa, fronte grondante di sudore, guance annerite dalla polvere. «Questo è il mio lavoro: sì, è faticoso, ma sono orgoglioso di farlo. E avrei voluto che l’attività di questa miniera continuasse anche dopo il 2018. Invece, hanno deciso: sarà chiusa».
Il giornale, ieri mattina, i minatori di Nuraxi Figus, l’hanno letto molto presto e la confessione-choc dell’ex collega Carlo Cani ha riportato alla mente le battaglie fatte per difendere la galleria. «Penso alle 423 famiglie che vivono con l’incubo che arrivi il 2018. La serietà dei minatori sardi non può essere messa in dubbio per colpa di uno che davvero non ha mai fatto nulla».
Carlo Cani, sessantenne con la passione del jazz, ha detto la verità senza giri di parole: «I miei colleghi si facevano un mazzo così, ma questo lavoro non faceva per me. Ho sfruttato i certificati medici e la cassa integrazione per star laggiù il meno possibile. Non ho lavorato quasi mai e poi ho preso la pensione». Dal 2006 è a casa, a Santadi. Ma il suo racconto ha fatto sobbalzare anche i dirigenti dell’Inps. «Apriremo un’indagine - dice il direttore regionale della Sardegna, Domenico Emanuele Pizzicaroli - Dobbiamo verificare se l’erogazione dell’indennità di pensione è regolare. Qualcosa che non torna c’è. Ma il riconoscimento delle malattie di certo non è una competenza dell’Inps».
Il caso dell’ex dipendente della Carbosulcis ha attirato anche l’attenzione della Regione, azionista unica della società mineraria. Sorpresa, scandalo, e soprattutto una domanda: come è stato possibile un caso del genere? La giunta invoca l’intervento della magistratura.
Il racconto di Carlo Cani, comunque, i militari se lo sono riletto con attenzione: «Mi inventavo di tutto - dice lui - amnesie, dolori, emorroidi, camminavo sbandando come fossi ubriaco. Mi capitava di urtare la parete con un pollice e lavorare con un dito gonfio ovviamente era impossibile.
Altre volte mi finiva la polvere in un occhio. E poi il collo, mesi passati con il collare per tenere a bada una maledettissima cervicale. Ma la verità è che non ce la facevo, la miniera non era roba per me». Tra malattie, riabilitazioni, riposi e ammortizzatori sociali Carlo Cani ha maturato 35 anni di servizio, 26 dei quali negli organici della Carbosulcis. «Ho maturato l’anzianità necessaria ma praticamente non ho lavorato mai. Là sotto stavo troppo male. Sin dall’inizio, io e il carbone non abbiamo legato».
Ieri mattina il turno in miniera è iniziato alle sette. A 473 metri di profondità si è lavorato per 5 ore e mezzo. In condizioni durissime: poca luce, caldo insopportabile e umidità. «Questa è la nostra casa: la vita per noi è nelle viscere della terra – sbotta Sandro Mereu – In questo lavoro ci crediamo e per questo abbiamo fatto grandi battaglie. Asserragliati in galleria abbiamo passato diverse settimane, figuriamoci se può farci piacere sapere che un collega ha studiato una strategia per lavorare il meno possibile. Comunque chi lo conosce sa che non ha raccontato bugie».