indonesia - ronde femminili per la sharia

TIRA UNA BRUTTA SHARIA - IN INDONESIA SI DIFFONDONO LE “DONNE DELLA VIRTÙ”, RONDE FEMMINILI CHE CONTROLLANO IL RISPETTO DELLA LEGGE ISLAMICA - MENANO LE DONNE IN ABITI ATTILLATI, VANNO A PIZZICARE CHI FA LE CORNA AL CONIUGE, FRUSTANO CHI HA IN CASA DEGLI ALCOLICI

Francesco Battistini per “Sette”

 

Riconosci d’avere violato il qanun 13 della Legge di Dio? «Lo riconosco». Ti vergogni? «Mi vergogno molto». Dirai ai tuoi vicini che ti sei vergognato? «Lo dirò». Dirai a tuo padre che sei la sua vergogna? «Glielo dirò»… Le Guardiane della Virtù hanno divise verde Islam, staffili di malacca e cuori di pietra. Vengono dalle campagne e sanno bene come si tratta la gente di città.

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Di solito a Banda Aceh si fanno vedere il venerdì, prima della preghiera. Girano con un megafono e un pick-up, verdognolo pure quello, con la scritta Wilayatul Hisbah: squadra della sharia. Non sono tante, una dozzina, ma spuntano un po’ dappertutto e quando non te l’aspetti. Nei caffè, a richiamare chi non è a pregare. Ai giardinetti, per sorprendere i ragazzi mano nella mano.

 

Sulla strada, ad acciuffare le donne in pantaloni. Nelle alcove, a cercare chi fa le corna al coniuge. Sono bravissime a pescare i cinesi che distillano l’oplosan, i camionisti col doppiofondo di birra Bintang, i malesi che taroccano le cartelle esattoriali. E se devono far rispettare le fondamentali regole (qanun) del buon musulmano – vietato scommettere, vendere alcol, disertare la moschea, vestirsi sconcio, evadere le tasse islamiche, chiacchierare con uomini o donne che non siano mariti o mogli –, s’applicano con zelo.

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Si narrano storielle su di loro: famosa quella dei sei uomini che l’estate scorsa aspettavano da ore l’autobus che non passava mai, vedevano sfilare sempre pullman diretti altrove, e allora organizzarono una piccola riffa per ingannare il tempo e per prenderla un po’ sul ridere. Cinquemila rupie a testa, 35 centesimi d’euro, e ognuno doveva indovinare la destinazione della prossima corriera in arrivo.

 

Invece del bus, a un certo punto passò il pickup delle Guardiane. E nessuno dei sei fece in tempo a nascondere: che cosa sono quei soldi che vi scambiate? E che c’è scritto su quei bigliettini? Si sa che la Squadra della Sharia trova sempre qualche pio musulmano disposto a fare lo spione. E così la lotteria fu subito smascherata, i sei rei identificati per violazione del qanun 13 del 2003 sul gioco d’azzardo.

 

Arresto immediato, processo per direttissima. E punizione esemplare: «Cambuk», frustate sulla pubblica piazza. In ordine d’età – per primo Nasril bin Bahrum di 44 anni, già nonno, per ultimo il giovane elettricista Rafiqi bin Nurdin di 25 anni –, gl’incalliti giocatori finirono in ginocchio sull’ingresso della moschea Al Maktur e davanti a una piccola folla ammutolita si presero quaranta scudisciate ciascuno.

 

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Raccontano che durante l’esecuzione si sentissero solo i lamenti dei sei poveretti. E una Guardiana della Virtù, mentre il rattan s’abbatteva sulle schiene, che al megafono gridava la morale di quella storia: «Bermain air basah, bermain api hangus!», se scherzi con l’acqua ti bagni, se scherzi col fuoco ti bruci… La veranda della Mecca. Le pubbliche frustate sono sì e no una breve di cronaca, sulle pagine del Serambi News. È da più di dieci anni che si fustiga in piazza e nessuno ci fa più caso. Di che stupirsi, del resto?

 

Il Nord di Sumatra l’hanno sempre chiamato “la veranda della Mecca” – sette secoli fa gli arabi entrarono da qui, per portare la parola del Profeta nel Sud-Est asiatico – e oggi Banda Aceh (parola persiana: il porto sul fiume Aceh) non è mica l’Iran delle impiccagioni o l’Arabia delle mutilazioni: «Noi evitiamo troppa violenza nei pubblici castighi», dice il capo della polizia religiosa, il colonnello Evendi Latif, «e in genere diamo prima un avvertimento o una multa. Se poi frustiamo, lasciamo indosso i vestiti. E non facciamo mai sanguinare. Si va a una media d’una cinquantina d’esecuzioni l’anno: in una provincia di cinque milio- ni di persone, è poco. Per noi, quel che conta è la rieducazione… ».

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Bontà sua. Le dodici poliziotte le ha assoldate, assieme a sessanta colleghi maschi, proprio perché si suppone che in mano a loro la cinghia faccia meno male: 40 colpi a chi non prega; un’ottantina alle ragazze in abiti attillati che mostrano le forme (si discute se estendere la punizione a quelle che stanno in moto a cavalcioni) o a chi s’intrattiene a conversare con persone dell’altro sesso che non siano di famiglia; tra i cento e i duecento agli adulteri; un’infinità ai gay... A stupire non è il danno, è la donna: farsi punire da lei, per un musulmano, è comunque una faccenda complicata. Un’umiliazione doppia e con pochi eguali.

 

«In effetti abbiamo qualche problema ad affrontare i maschi», riconosce Yusra, poliziotta anziana. E siccome la sharia vieta alla femmina di rimproverare l’uomo, men che meno d’arrestarlo o di menarlo, «il più della volte risolviamo chiamando sul posto i nostri colleghi maschi».

 

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Se non c’è parità di genere fra i carnefici, immaginarsi tra le vittime: anche le punite stanno peggio dei puniti. E quando in mezzo alla piazza c’è una fedifraga, tutt’intorno si raduna una folla urlante e insultante che solitamente per l’uomo traditore, chissà come mai, sta zitta e guarda. Non si fa differenza fra musulmani o non musulmani: tre anni fa il governatore locale Zaini Abdullah ha accolto le critiche del parlamento di Giacarta, che raccomandava agli acehnesi di evitare pene estreme come la lapidazione, ma in cambio ha ottenuto di poter picchiare chiunque, indipendentemente dalla fede professata.

 

Ad aprile, le Ronde della Virtù hanno frustato una sessantenne cristiana che aveva in casa degli alcolici. E in una data che tutti ricordano, il 18 settembre, c’è stato il record di 34 presi a nerbate in un solo giorno, quasi tutti “infedeli”. La situazione si sta aggravando, dice l’ong Human Rights Watch: «La tradizionale tolleranza dell’Islam indonesiano trasmette un’immagine di sé molto preoccupante».

 

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Unità e diversità. Una volta non era così. Il Corano, sbarcato a Sumatra coi mercanti e non con le armi, generava presidenti moderati come Abdurrahman Wahid, il musulmano gandhiano, e favoriva comunità religiose governate addirittura dalle donne.

 

L’Indonesia è il quarto Paese più popoloso della Terra, il primo del mondo islamico: l’88 per cento dei 255 milioni d’abitanti va regolarmente alla moschea. Una nazione complicata che una delicata Costituzione, costruita settantuno anni fa da Sukarno sui cinque grandi pilastri dell’indipendenza (la “Pancasila”), ha tenuto insieme col principio dell’unità nella diversità: «Siamo diventati più vecchi dell’Unione Sovietica», dice lo scrittore giavanese Eka Kurniawan, «e se non ci siamo dissolti come l’Urss è anche perché s’è evitato lo stesso errore: cancellare le fedi».

 

Lo Stato è laico, ma le religioni ufficiali sono sei: musulmani e indù, protestanti e cattolici, buddisti e confuciani, senza contare le centinaia di culti animisti (nessuno li ha mai censiti) sparpagliati per le circa 17 mila isole (nessuno le ha mai contate) di un immenso arcipelago che ha 360 etnie, 700 lingue, tre fusi orari, una superficie di due milioni di km quadrati e una lunghezza quattro volte l’Italia. In una simile babele tenuta in piedi dalla tolleranza reciproca, com’è che ad Aceh si è arrivati alle Ronde della Virtù?

 

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Basta una goccia d’alcol a guastare una tazza di latte, dicevano i vecchi di Sumatra, e altro che goccia: il 26 dicembre 2004, a guastare tutto è stata l’onda assassina dello tsunami, il muro d’acqua di trenta metri che uccise 170 mila persone, spazzò via il 60 per cento delle case, travolse equilibri secolari. Non fu solo una catastrofe naturale: fu lo sconvolgimento d’una società.

 

Nel centro di Banda Aceh rimase in piedi solo una moschea, e già questo bastò ai predicatori fanatici per convincere che si dovesse fare i conti con una “punizione divina”. Si firmò di fretta una pace tra il governo di Giacarta e i guerriglieri che da decenni avevano combattuto per il separatismo, e pure questo mischiò molte carte: in cambio dell’integrità della nazione, garantita dalla mediazione internazionale dell’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari, il premio Nobel che aveva già portato la pace in Kosovo, agl’indipendentisti di Aceh furono concesse le più larghe autonomie.

 

la donna durante la fustigazionela donna durante la fustigazione

Compresa quella, specialissima, d’essere l’unica regione d’Indonesia dove applicare la sharia. L’onda conservatrice. Il resto è venuto da sé. Agl’islamisti dell’isola è risultato facile riscaldare gli animi separatisti, più forti di qualsiasi tsunami. Ecco finalmente il momento di comandare a casa propria: la legge nazionale dava pari opportunità alle donne nel pubblico impiego? Avanti con le poliziotte a guardia della virtù, che facessero rispettare la legge islamica di Aceh. E poi: perché non approfittarne per risvegliare nell’opinione pubblica un po’ di quel populismo wahabita che qui non è mai morto?

 

Di quello che negli anni 50 spingeva Giava a fondare un prototipo di Repubblica islamica. O che a fine anni 90 faceva passare i qaedisti indonesiani per eroi nazional-popolari. O che ha scatenato dodici anni d’attentati, portando perfino un vicepresidente un po’ demagogo a spiegare come gli americani, tutto sommato, l’11 Settembre se lo siano meritato…

 

Qualche chiesa bruciata, piccoli segni d’un Islam radicale collegato ai tagliagole filippini, malesi, thailandesi. E sullo sfondo una società che, sotto la patina biancorossa dello Stato unico e laico e indivisibile, nonostante le bellissime leggi a difesa della donna, ancora divide il record mondiale delle mutilazioni genitali con Etiopia ed Egitto (una bambina su due, dice l’Unicef).

 

la donna cade piegata dal dolorela donna cade piegata dal dolore

«Lo sapete», ha scioccato in un dibattito tv l’ex ministra per gli Affari femminili, Grata Werdaningtyas, «che ogni anno ci sono centinaia di ragazzine uccise da infezioni ed emorragie? E che ancora oggi in alcune parti di Sumatra gl’imam spiegano come una bimba, se non viene sottoposta all’infibulazione, non sarà mai capace di sposarsi, né di cuocere una pentola di riso?».

 

Meno diritti. L’Hiroshima che ci toccò vedere dodici anni fa a Banda Aceh – un elicottero scaricò noi giornalisti una settimana dopo lo tsunami, su una spianata di nulla, fra anime perdute che vagavano senza saper bene dove andare, in mano il sacchettino d’aiuti della Mezzaluna rossa –, su quel deserto d’acqua oggi è cresciuto un mondo nuovo e non per questo più moderno. Rifatto con cura il porto, dedicato doverosamente un museo al disastro 2004, lasciata a futura memoria e in mezzo alla città la gigantesca nave generatore “Pltd Apung”, che l’onda trascinò per cinque chilometri e fino a qui, alla fine s’è cominciato a costruire una società diversa.

 

il fustigatore con il volto copertoil fustigatore con il volto coperto

Con qualche diritto in meno e qualche dovere in più. Chi osa negare il diritto di pregare, e intanto di frustare, a una città tanto flagellata dalla natura e dov’è morto un abitante su due? Ci ha provato un pochino Joko “Jokowi” Widodo, il settimo presidente dell’Indonesia, più idealista che musulmano, uno capace di scegliersi ministri cattolici e di predicare una “rivoluzione mentale” che preservi la libertà religiosa in tutte le 17 mila isole.

 

I grandi movimenti dell’islamismo indonesiano – c’è Nahdlatul Ulama che ha 60 milioni di aderenti ed è la più grande organizzazione coranica del mondo – gli han fatto capire che troppa apertura non va bene. Due anni fa, in campagna elettorale, il giovane Jokowi ha detto che lui ama l’heavy metal e il rock alternativo? Ad Aceh la settimana dopo suonava una banda punk: il governatore islamico ha messo un nuovo qanun e mandato le sue amazzoni velate. A tagliare tutte le creste rosa e viola.

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