IRENE BRIN, LA SOTTILE LINEA ROSA - IL 1952 VISTO DALLA REGINA DEL GIORNALISMO DI COSTUME, OVVERO L’UNICA STORIA D’ITALIA CHE RESISTE NEL TEMPO - LA GELOSIA DI DALÌ PER I SOLDI DI DE CHIRICO, CARTIER-BRESSON, LA POVERA INGRID BERGMAN, L’AMORE DI JEAN GENET (QUESTA ERA LA VERA “DOLCE VITA”)

1. BRIN, LA SOTTILE LINEA ROSA DEL GIORNALISMO

Simonetta Fiori per "La Repubblica"

 

picasso dali giorgio de chiricopicasso dali giorgio de chirico

«Io sono una storica del costume, non una cronista. I miei libri devono incuriosire, certo: ma resistere». Irene Brin l’aveva capito prima degli altri. E forse bisognerà riscriverla, la storia del giornalismo di costume, un genere tradizionalmente considerato frivolo forse perché femminile, in realtà capace di indagare lo Zeitgeist contemporaneo molto più di tanto giornalismo sapientone.

 

È il caso di questo bellissimo saggio “storico” che esce a sorpresa dagli archivi della Galleria d’arte contemporanea. Il diario di un anno considerato dalla Brin come periodo di svolta della vicenda italiana: il 1952, data della rinascita internazionale di un paese affamato, ferito dalla guerra e immiserito dall’autarchia culturale del passato ventennio. Quando sul finire del 1967 l’editore Immordino le chiede di scegliere il “suo” anno per la collana diretta da Milena Milani ( Un anno di...) — la stessa in cui era uscito Le Pervestite di Camilla Cederna — la scrittrice indica la «festa intelligente e stracciona » che aveva visto l’Italia “esplodere” fuori dai suoi confini.

irene brin by richard avedonirene brin by richard avedon

 

L’Italia esplode. Diario dell’anno 1-952 è il titolo di questo testo rimasto finora inedito e che ora vede la luce grazie a Viella e per la cura di Claudia Palma nella collana “La memoria restituita” diretta da Marina Caffiero e Manola Ida Venzo (pagg. 240, euro 22, in libreria il 9 luglio). Una cronistoria divisa in dodici capitoli — uno per ogni mese dell’anno — che restituisce la seduzione intellettuale e creativa di una Roma ridivenuta caput mundi, come ai tempi di Goethe e Stendhal. Artisti e viscontesse, fotografi à la page e incantevoli modelle in cerca di principe o inutilmente innamorate di Luchino Visconti.

 

Ecco l’incontentabile Cartier-Bresson e il riservato Jean Genet, un’insolita Ingrid Bergman e il maestro di stravaganze Salvador Dalí, Igor Stravinsky e Graham Greene, Nancy Mitford e Tennessee Williams. È l’anno del made in Italy, lanciato nel mondo dal Grand Hotel di Firenze. L’arte di Visconti e De Sica richiama nella capitale le star internazionali. I “sacchi” di Burri incantano e scandalizzano. E al centro della scena c’è lei, maestra di generazioni di giornaliste, affascinante, cosmopolita, elegantissima.

 

irene brinirene brin

La zarina di Harper’s Bazaar, Diana Vreeland, l’aveva scelta come Rome editor dopo averla ammirata a New York con un tailleur griffato Fabiani. Le scarpe sempre aperte sul davanti, a mostrare l’alluce esemplarmente smaltato. Colta e curiosa, scrittrice raffinata e traduttrice di quattro lingue, fondatrice insieme al marito della prima importante galleria d’arte nel dopoguerra. Sapeva intessere reportage di moda con citazioni dell’eresia catara o di Rasputin, inventrice di un genere letterario che avrebbe annoverato diversi emuli, non solo tra le donne (domani, a Sasso di Bordighera, le sarà dedicato un Museo, che raccoglie opere, abiti e fotografie).

 

L’Italia esplode fu il suo ultimo libro, scritto nel 1968, a malattia già avanzata. Un’altra rivoluzione stava per esplodere, ma Irene Brin non fece a tempo ad assistervi. La sua vita s’era mescolata con quella del 1952, diventando improvvisamente “calda” e “umana”. «Valeva la pena di viverla», sono le sue ultime parole. E non si fa fatica a crederle.

 

2. QUELLA FOLLE SERATA ROMANA IN CUI DALÍ CHIESE A DE CHIRICO: “HAI PIÙ MILIONI DI ME?”

Estratto del libro di Irene Brin “L'Italia esplode. Diario dell'anno 1952” (Viella editore)

 

Cominciai prestissimo, a Genova, dove mio padre faceva parte di una società marittima. Scrissi un pezzettino, lo spedii al capo-ufficio pubblicità che in quel giorno festeggiava la nascita del dodicesimo maschio. Sarà di buon umore, pensavo, e lui magari si strappava i capelli. Però l’articolo non lo strappò. Allora non si diceva un “pezzo di costume”, come si dice ora, ma “un cane schiacciato”. Nessun redattore vero voleva occuparsi di cani schiacciati, metaforicamente o no (tranne questa ragazzina miope, con le gambe lunghe, una curiosità inesauribile).

irene brinirene brin

 

LE BRINATE

Il Bertoldo nel suo editoriale adottò la formula “Irenebrinentrano”, “Irenebrindano”, “Irenebrinescono”. Longanesi ed io ne fummo profondamente lusingati (Irene Brin era uno pseudonimo inventato da Longanesi ndr). E citerò, vanitosamente, la sola tra le mie emule che brinuscì quasi subito. Era Elsa Morante.

 

IL CENTRO DEL MONDO

Nell’autunno del 1951 ebbi un collasso, a Chartres. Mio marito mi ricondusse a Roma e rimasi a letto lunghe settimane. Per divertirmi, mi posava sulle lenzuola le varie lettere in arrivo: volevo organizzare un Festival di Moda? Una mostra di pittura moderna, a Bâton Rouge? Intervistare Graham Greene o Aldous Huxley, che progettavano un libro su Roma? Così, lentamente, attraverso la doppia nebbia delle mie delusioni e della mia solitudine, capii che Roma era diventata il centro del mondo. E valeva la pena di partecipare a quella esplosione.

 

irene brin fotografata per harpers bazaarirene brin fotografata per harpers bazaar

IL DIFFICILE NATALE DI CARTIER-BRESSON

Marie-Louise Bousquet, capo della redazione parigina di Harper’s Bazaar, aveva cominciato a inviarmi quei telegrammi lunghi, romantici, opulenti. «Irène, mon amour, tu verras bientôt arriver Henri Cartier-Bresson, mon autre amour...». Marie-Louise è sempre stata una donna che parlò, scrisse, sognò e rise quasi unicamente d’amore: mi auguro lo abbia anche fatto, con altrettanta felicità e frequenza.

 

Sviluppò comunque al massimo il fascino di una gamba difettosa, acquistandone un modo di camminare particolare a lei sola, un saltellío con soste, un’ hésitation con giravolta, un cakewalk con aggiunta di zapateado. Mi dicono fosse ottima nel charleston. (...)Feci del mio meglio per accontentare Marie-Louise trovando un petit amour de petit Noël italien.

 

irene brin e gaspero del corso nella galleria dell obeliscoirene brin e gaspero del corso nella galleria dell obelisco

(...) Mi parve una giusta soluzione chiedere a donna Margherita Caetani il permesso di introdurre grossi cavi elettrici nella sua tenuta di Ninfa, per fotografare le sue sette chiese semi-distrutte. La principessa rispose di sì, Cartier di no: troppo dannunziano. Trovai un Monsignore che ci avrebbe consentito di ritrarre la Messa in un convento di clausura, attraverso le grate.

 

Cartier giudicò l’idea barocca, seicentesca. (...) Inseguendo l’immagine di un paese che forse aveva cessato di esistere, Eli ed Henri trascorsero il dicembre del 1951 tra Scanno e Matera. «Anche se mia moglie soffre molto il freddo, siamo felici, la gente ci offre ospitalità con meravigliosa gentilezza che bisogna far risalire ad epoche arcaiche... ».

 

JEAN GENET INNAMORATO

irene brin irene brin

La visita di Jean Genet, a Roma, avrebbe dovuto essere misteriosa. O, almeno, così sperava l’amico che lo ospitava in casa propria. Ma no, il vecchio forzato, che accentuava per timidezza il passo pesante e il cranio nudo, fu adottato da Roma con entusiasmo, lo riconobbero tutti e lo lasciarono tranquillo, con poche eccezioni. (...) «Madame » mi dichiarò quando gli trasmisi l’invito della duchessa, «je regrette, no. Non amo ricordare il passato. E in questi giorni non posso assolutamente perdere un solo minuto. Sono innamorato quanto il Giovane Werther. Come Goethe, scopro la grandezza

di Roma e la gioia di vivere».

 

POVERA INGRID

I miei rapporti con Ingrid Bergman cominciarono male. Aveva accettato dopo qualche difficoltà ad accogliermi con un fotografo di sua fiducia, tuttavia ebbi una risposta gelida dalla mia direttrice (...). Mi diede un’impressione di una estrema incertezza, anche se fisicamente si era maturata, ingrassando e probabilmente piangendo.

GIORGIO DE CHIRICO FOTO ARCHIVIO RIZZAGIORGIO DE CHIRICO FOTO ARCHIVIO RIZZA

 

«Studio l’italiano, credo che presto lo parlerò bene. Ma studio anche gli italiani e temo che li capirò sempre male. Ognuno di voi dà l’impressione di un’assoluta esperienza. Non solo gli adulti, non solo gli intellettuali. Tutti. La mia cuoca. I bambini. Gli sconosciuti. Avete l’aria di vivere da mille anni. Io non ho vissuto affatto».

 

IL DUBBIO DI DALÍ

Andammo per pranzo al ristorante “Passetto” e Salvador sfoggiò le infinite risorse della sua cultura e del suo spirito. Aveva completamente dimenticato il suo bastoncino («Lo porto sempre, a Roma, e faccio finta di zoppicare, ai Romani piacciono gli zoppi») e anche i suoi baffi non davano fastidio. Di fronte a lui Gala era serena, con quella nobile faccia larga, magra, senz’ombre.

 

GIORGIO DE CHIRICOGIORGIO DE CHIRICO

«Credete», chiese Dalì posando improvvisamente il cucchiaio, «che Giorgio de Chirico abbia più milioni, o meno, di me?». Grave, insolubile dubbio. Decise di risolverlo telefonando subito a de Chirico e lo accompagnai al telefono. «Allô? Sono Salvador Dalì. Posso parlare col maestro?». Dall’altra estremità del filo rispose, inconfondibile e baritonale, la voce del maestro: «Oh, non, je suis à la campagne».

MOSTRA SALVATOR DALI MOSTRA SALVATOR DALI Salvator Dali al Morning Show sulla CBS Salvator Dali al Morning Show sulla CBS

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