
“ISRAELE HA VINTO TUTTE LE GUERRE SENZA MAI VINCERE LA PACE. IDEM, DAL 1991, PER GLI STATI UNITI. SARÀ DIVERSO QUESTA VOLTA?” – STEFANO STEFANINI: “IL SUCCESSO MILITARE CONTRO L’IRAN NON SCIOGLIE IL NODO CRUCIALE DI METTERE FINE ALLE AMBIZIONI ATOMICHE DI TEHERAN. ALI KHAMENEI DEVE DECIDERE COSA FARE DEL PROGRAMMA NUCLEARE. È LA SCELTA CHE IL REGIME DEGLI AYATOLLAH AGGIRA DA UNA VENTINA D’ANNI” – “C’È UNA TRAPPOLA DA EVITARE. IN MEDIO ORIENTE CHI VINCE LE GUERRE SI ACCONTENTA DELLA SUPERIORITÀ MILITARE SENZA SOLUZIONE POLITICA, CHI LE PERDE…”
Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per “La Stampa”
benjamin netanyahu e donald trump nello studio ovale
La “Guerra dei dodici giorni”, trentasei ore per gli Usa, ha lasciato tre incognite: sulle intenzioni di Teheran circa le trattative con l’amministrazione Trump; sulle sorti della non proliferazione nucleare; su quanto ottenuto da Gerusalemme e Washington con l’intervento militare.
L’ultima è una costante del Medio Oriente. Dal 1948 ai nostri giorni, Israele ha vinto tutte le guerre senza mai vincere la pace. Idem, dal 1991, per gli Stati Uniti. Sarà diverso questa volta?
video dell attacco americano al sito nucleare di fordow 12
Le incognite evaporano se il programma nucleare iraniano è stato annientato. Non lo è stato. Lasciamo dire al Presidente americano che è stato «obliterato».
Donald Trump ha un rapporto dialettico con i fatti non di suo gradimento. I fatti – quali risultano a chi ne sa qualcosa, la sua stessa intelligence Usa, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) che ha ispettori in Iran, comunicazioni interne iraniane intercettate – sono che gli impianti colpiti dai bombardamenti israeliani e da una dozzina di bombe GBU-57 anti-bunker Usa hanno subito un serio danno, ma il programma è stato solo «ritardato di mesi».
KHAMENEI ACCANTO AL RITRATTO DI KHOMEINI
[…] Anche escludendolo, dai fatti conosciuti si conclude che il programma nucleare non è morto. Riprenderlo o meno, dipende dall’Iran. In posizione fortemente indebolita. In meno di due anni, dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, Israele e Ahmed Al-Sharaa in Siria, l’hanno ridimensionato regionalmente, distruggendo l’arco pro-iraniano che andava dal Golfo al Mediterraneo.
IRAN - ATTACCO AL SITO NUCLEARE DI FORDOW
Isolato internazionalmente salvo buone parole sparse, è militarmente vulnerabile: non controlla i propri cieli. Rimasto finora in sella, pur facendo la voce grossa per nascondere la sconfitta e aggrapparsi al potere, Ali Khamenei deve decidere cosa fare del programma nucleare.
È la scelta che il regime degli ayatollah aggira da una ventina d’anni, tenendolo appena sotto la soglia della bomba atomica e navigando fra negoziati, minacce, sabotaggi, sanzioni, controlli Aiea. Ora le acrobazie non bastano più.
ALI KHAMENEI AI FUNERALI DI ISMAIL HANIYEH
Netanyahu e Trump hanno rotto il tabù dell’intervento militare. A questo punto l’alternativa è secca: o rinuncia al programma nucleare negoziandola, con in contropartita la rimozione di sanzione e altri potenziali benefici; o esporsi a un altro intervento militare. Senza spazio per temporeggiamenti. Se tanto tanto Gerusalemme ha sentore che le centrifughe riprendono a girare a pieno ritmo, Netanyahu non ci pensa su due volte a riprendere i bombardamenti. E Trump lo segue. Ormai non possono fare diversamente.
La “Guerra dei dodici giorni” può aver rafforzato la determinazione iraniana di dotarsi dell’arma nucleare. L’esempio della Corea del Nord dimostra che una volta che se ne entra in possesso, si possono dormire sonni tranquilli. Non si attacca a cuor leggero chi ha la bomba. […] Tanti, in Medio Oriente ma anche in Europa e in Asia, si domandano già adesso se il possesso dell’arma nucleare non sia l’unica vera garanzia di sicurezza da aggressioni. O di pareggio dei rapporti di forza.
Il successo militare di Israele e degli Stati Uniti contro l’Iran non scioglie il nodo cruciale di mettere fine alle ambizioni atomiche di Teheran. Il regime iraniano ha sempre smentito di voler diventare potenza nucleare.
Che lo dimostri – smettendola di arricchire l’uranio al di sopra del 3,67% e in modo controllabile. Se la scelta sta a Teheran, si negozia in due: sta agli Usa portare a compimento sul piano diplomatico lo smantellamento del programma nucleare iraniano.
BENJAMIN NETANYAHU AL MURO DEL PIANTO PREGA PER TRUMP DOPO L ATTACCO AMERICANO ALL IRAN
Iniziato, ma non completato, su quello militare. C’è una trappola da evitare. In Medio Oriente chi vince le guerre si accontenta della superiorità militare senza soluzione politica, chi le perde insegue irrealistici pareggi diplomatici senza accettare quanto perso con le armi.
Classico errore arabo del 1948 e del 1967, che il regime iraniano sembra voler perversamente ripetere affermando di aver «imposto il cessate il fuoco» a Israele. Su questa strada non andrà molto lontano.
Gli Ayatollah e i Pasdaran di Teheran dovrebbero guardare ai postumi della guerra arabo-israeliana del 1973, che invece condusse a un realistico riassetto dei rapporti con Israele da parte di Egitto e Giordania – e a una pace che pur fra tensioni regionali dura da mezzo secolo.
Menachem Begin, Jimmy Carter e Anwar al-Sadat.
Nel dubbio che Ali Khamenei abbia la saggezza, e il coraggio, di Anwar Sadat, tocca a Donald Trump spingere per la rapida riapertura del negoziato con Teheran, mettere sotto forte pressione l’Iran ventilando carote oltre ad agitare il pesante bastone militare e tener buono Netanyahu affinché la diplomazia abbia una chance. Il presidente americano ha in mano le carte necessarie; avrà la pazienza e l’attenzione? Altrimenti, anche lui, dopo aver incassato una vittoria perderà la pace.
ismail haniyeh con ali khamenei
video dell attacco americano al sito nucleare di fordow 2
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