
"LA MAFIA CINESE È UN PERICOLO CONCRETO, E NON DA OGGI" - LUCA TESCAROLI, IL PROCURATORE DI PRATO (DOVE VIVE LA PIÙ GRANDE COMUNITÀ DI CITTADINI DEL "DRAGONE"), FA CADERE IL TABÙ SULL'ORGANIZZAZIONE CRIMINALE: "LE GANG CINESI STRINGONO ALLEANZE CON ’NDRANGHETA, SACRA CORONA UNITA E GRUPPI ALBANESI, FORNENDO LORO SERVIZI BANCARI ILLEGALI DI PAGAMENTI INTERNAZIONALI PER IL NARCOTRAFFICO, ASSICURANDO L’ANONIMATO DEI PAGAMENTI E SENZA TRACCIABILITÀ" - "STIAMO ASSISTENDO A UN’ESCALATION CRIMINALE CRUENTA CULMINATA, LO SCORSO APRILE A ROMA, CON L’ESECUZIONE DI UN DUPLICE OMICIDIO"
Lettera di Luca Tescaroli* al "Corriere della Sera"
(*Procuratore Capo di Prato).
La mafia cinese è un pericolo concreto e non da oggi. Già nelle carte del maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino era emerso un consistente traffico di stupefacenti che attraversava Bangkok, Roma e Palermo, il cui terminale in Thailandia era rappresentato dal cittadino cinese, conosciuto dai suoi sodali italiani come «il cinese», Koh Bak Kin.
Il «capo dei capi» di quella organizzazione era Chang Chi Fu, altro cittadino cinese. Un’organizzazione che, a cavallo degli Anni ‘70 e ‘80, fruttò enormi guadagni al clan mafioso di Rosario Riccobono.
Negli Anni 90 iniziarono le prime indagini che portarono al riconoscimento di cinesi dello Zhejiang come mafiosi. La Cassazione il 30 maggio 2001 confermò le condanne per associazione mafiosa a Khe Zhi Hsiang e sei sodali, attivi tra Toscana e Francia, responsabili di traffico di esseri umani, sfruttamento lavorativo, estorsioni, sequestri, gioco d’azzardo e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Fondamentali furono le dichiarazioni di Raymond Tannous, «accompagnatore» di clandestini, e la collaborazione di Zen Zhang, trafficante di armi e immigrati, trovato poi ucciso nel suo appartamento a Parigi il 3 novembre 2001. Una seconda sentenza della Corte d’Appello di Roma, il 30 gennaio 2003, riconobbe un’associazione mafiosa cinese operante a Roma dal 1991 al 1993, dedita a estorsioni, sequestri e traffico di clandestini, collegata ad analoghe organizzazioni in Francia.
La decisione del Tribunale di Roma del 31 gennaio 1995, confermata dalla Corte d’Appello di Roma, fu la prima sentenza che riconobbe la mafia cinese come tale per la giustizia italiana. Negli anni seguenti la criminalità cinese si è espansa. Secondo il Rapporto sulla Contraffazione in Italia 2023 dell’Osservatorio nazionale sulla contraffazione, il mercato del falso vale circa 15 miliardi di euro, causando la perdita di oltre 120 mila posti di lavoro.
Secondo un report dell’Interpol, le gang Green Dragon, Black Society e Red Sun, da Milano hanno potuto espandere i propri confini anche in Austria, Francia e Svizzera, integrandosi con le mafie italiane grazie all’accesso ai mercati criminali cinesi. Oggi i gruppi criminali cinesi (operanti non come un monolite, ma come distinti gruppi criminali in grado di interagire tra loro) stringono alleanze con ’ndrangheta, Sacra Corona Unita e gruppi albanesi, fornendo loro servizi bancari illegali di pagamenti internazionali per il narcotraffico, assicurando l’anonimato dei pagamenti e senza tracciabilità.
Correlativamente gestiscono un sistema economico-criminale parallelo che coinvolge tutta la filiera manifatturiera, sfruttando manodopera clandestina e drenando profitti verso la Cina. Si assiste a un’escalation criminale cruenta, a partire dal mese di giugno del 2024, sino ai giorni nostri, con molteplici condotte a base violenta (omicidi, pestaggi, incendi, induzione alla prostituzione), che vedono il coinvolgimento di appartenenti alla criminalità cinese, con delitti che si sono verificati non solo nel Pratese (dove esiste la più grande comunità cinese in Italia, con circa 50 mila presenze di cui 35.205 ufficialmente censite), ma anche in Paesi europei, che ha visto l’esecuzione il 14 aprile di quest’anno di un duplice omicidio a Roma.
Una transnazionalità criminale che ha interessato sia la Francia, con due incendi a Parigi, sia la Spagna, dove anche in questo caso un colossale incendio a ridosso di Madrid ha distrutto una significativa struttura imprenditoriale. Una cornice criminale in cui si inserisce una contrapposizione di gruppi imprenditoriali per il controllo del mercato di grucce per abiti, logistica e trasporti.
La grave emergenza che stiamo vivendo suggerisce la necessità di estendere anche nei confronti degli stranieri l’applicazione delle misure straordinarie di protezione e di assistenza previste per i collaboratori e i testimoni di giustizia. È fondamentale disporre dell’apporto di collaboratori nelle investigazioni come insegna l’esperienza dell’ultimo quarantennio, con riferimento al contrasto dei gruppi criminali permeati dall’omertà.
Oggi sussiste la possibilità di ricorrere per lo straniero che collabora solo alle misure di protezione ordinarie, che vengono applicate dal Comitato per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, e alle previsioni del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, con le quali è prevista la possibilità di rilasciare permessi di soggiorno per motivi di giustizia. Un numero significativo di cittadini di origine cinese e pachistana ha iniziato una proficua collaborazione con la giustizia.
Va incoraggiata e premiata con l’estensione delle misure straordinarie di protezione e di assistenza previste per i collaboratori e i testimoni di giustizia, con gli opportuni adattamenti. E potrebbe essere affiancata anche dalla creazione in Prato di una sezione della Direzione distrettuale antimafia.
Solo con strumenti specifici, pensati dal legislatore e dal ministero, la giustizia italiana potrà affrontare un fenomeno che lede pesantemente il tessuto imprenditoriale italiano creando i presupposti per l’espansione di nuove e pericolose mafie.
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