mario mori riina provenzano

"LA TRATTATIVA CON LA MAFIA CI FU, MA I CARABINIERI VOLEVANO SOLO FERMARE LE STRAGI". ECCO LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE HA ASSOLTO MORI - "INGENEROSO E FUORVIANTE COINVOLGERE L’ALLORA CAPO DELLO STATO SCALFARO E IL MINISTRO CONSO". E SULL'ACCELERAZIONE DELLA STRAGE DI VIA D'AMELIO VOLUTA DA RIINA: "FU DETERMINATA DALL'INTERESSAMENTO DI BORSELLINO PER IL RAPPORTO MAFIA E APPALTI". SU DELL'UTRI: "AVEVA CONTATTI CON I BOSS MA NON C'È PROVA CHE ABBIA TRASMESSO LE MINACCE A BERLUSCONI". LA MANCATA PERQUISIZIONE DEL COVO DI RIINA: "UN SEGNALE DI DIALOGO"

Salvo Palazzolo per palermo.repubblica.it

 

 

MARIO MORI

“Vito Ciancimino fu contattato, prima da De Donno poi anche da Mori personalmente, sì, certamente per acquisire da lui notizie di interesse investigativo, ma, nel contempo, anche con il dichiarato intendimento di tentare di instaurare, attraverso lo stesso Ciancimino, un dialogo con i vertici mafiosi finalizzato a superare la contrapposizione frontale con lo Stato che i detti vertici mafiosi avevano deciso dopo l’esito del maxi processo e che era culminata già, in quel momento, con la gravissima strage di Capaci”.

 

 

La corte d'assise d'appello di Palermo presieduta da Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania, spiega le ragioni che il 23 settembre scorso hanno portato all'assoluzione degli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno nel processo per la "Trattattiva Stato-mafia", in primo grado la corte d'assise presieduta da Alfredo Montalto aveva invece condannato gli imputati. E, intanto, la procuratrice generale di Palermo, Lia Sava, dice: "Leggeremo con attenzione le tremila pagine della sentenza e valuteremo gli spazi per il ricorso in Cassazione". Il termine per adire la Cassazione scade il 15 ottobre.

SCALFARO

 

I giudici d'appello confermano che una "trattativa accettata da Riina" ci fu, definiscono "un'improvvida iniziativa" quella di contattare l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, ma scrivono che l'unica finalità dei carabinieri era quella di fermare le stragi: "Scartata in partenza l’ipotesi di una collusione dei carabinieri con ambienti della criminalità mafiosa; e confutata l’ipotesi che essi abbiano agito per preservare l’incolumità di questo o quell’esponente politico, deve ribadirsi che, nel prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa Nostra che creasse le premesse per avviare un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi, e nel sollecitare tale dialogo, furono mossi, piuttosto, da tini solidaristici (la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato". Assoluzione, dunque, per i carabinieri.

 

mario mori

E parole accorate per due esponenti politici che erano finiti nella maglie dell'inchiesta: "Avere ipotizzato anche nei confronti di eminenti personalità istituzionali, come il ministro Conso o il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un concorso oggettivo alla realizzazione del reato o un cedimento alla minaccia mafiosa, con il risultato di dover compiere poi acrobazie dialettiche per affrancarli da un giudizio postumo di responsabilità penale (facendosi leva sulla genuinità delle intenzioni o sull'aver ignorato i retroscena più inquietanti) a parere di questa corte, oltre che ingeneroso e fuorviante, è frutto di un errore di sintassi giuridica".

strage via d'amelio 2

Il rapporto mafia e appalti

I giudici d'appello ribaltano anche in un altro punto la sentenza di primo grado: non ritengono che sia stata la "trattativa fra Stato e mafia" ad accelerare la strage Borsellino: "La Corte ritiene quindi di poter concludere nel senso che quell’input dato da Salvatore Riina al suo interlocutore affinché si uccidesse il dottor Borsellino con urgenza nel giro di pochi giornimettendo da parte altri progetti omicidiari già in più avanzata fase di esecuzione (tra i quali quello concernente l’onorevole Mannino di cui ha riferito Giovanni Brusca), possa avere trovato origine nell’interessamento del medesimo dottore Borsellino al rapporto mafia e appalti".

 

nino di matteo processo sulla trattativa stato mafiatoto' riina

La sentenza esclude soprattutto che i carabinieri possano aver fatto promesse di benefici ai mafiosi delle stragi. Scrivono i giudici (gli estensori della sentenza sono il presidente e il giudice a latere): "Eventuali concessioni a favore dei mafiosi, dovevano accompagnarsi alla decapitazione dell’ala stragista, premessa indispensabile per poter giungere ad un accordo con l’ala moderata dell’organizzazione mafiosa, giustamente ritenuta soccombente fino a quando al comando di Cosa Nostra fosse rimasto Salvatore Riina e i capi corleonesi a lui più vicini e fedeli.

 

Una volta decapitata l’ala stragista, con la cattura di Riina e degli altri capi mafia fautori della linea dura di contrapposizione frontale allo Stato – prosegue la sentenza – sarebbe stato pensabile e praticabile un dialogo volto al ripristino di un costume di rapporti effettivamente fondato su una reciproca coabitazione, o almeno sull’abbandono di uno stato di guerra permanente; e un’eventuale proposta di dialogo in tal senso non avrebbe potuto essere interpretata come un segno di debolezza dello Stato – che con la cattura dei capi corleonesi più pericolosi a cominciare ovviamente dal capo di Cosa Nostra avrebbe dato al contrario una grande dimostrazione di forza e della propria capacità di colpire al cuore l’organizzazione mafiosa – e quindi non avrebbe mai potuto corroborare la strategia stragista, rafforzando lo schieramento mafioso che la perseguiva".

 

Insomma, fu un'azione al confine quella messa in atto fra le stragi del 1992. "Il disegno insomma era quello di insinuarsi in una spaccatura che si sapeva già esistente, almeno in nuce all’interno di Cosa Nostra e fare leva sulle tensioni e i contrasti che covavano dietro l’apparente monolitismo dell’egemonia corleonese, per sovvertire gli assetti di potere interni all’organizzazione criminale, assicurando alle patrie galere i boss più pericolosi e favorendo indirettamente lo schieramento che, per quanto sempre criminale, appariva tuttavia, ed era, meno pericoloso per la sicurezza dello Stato e l’incolumità della collettività rispetto a quello artefice della linea stragista". I giudici lo definiscono "un disegno certamente ambizioso e che si collocava in posizione intermedia tra la vera e propria “trattativa politica” e una mera “trattativa di polizia”, perché richiedeva, almeno in prospettiva, qualcosa di più che non ciò che oggi, ma non solo oggi, potrebbe definirsi favoreggiamento".

 

La mancata perquisizione del covo di Riina

Le "sconcertanti omissioni" che seguirono la cattura del boss Riina, e in particolare la mancata perquisizione del suo covo, si inquadrano "nel contesto delle condotte di Mori dirette a preservare da possibili interferenze la propria interlocuzione con i vertici dell'associazione mafiosa già intrapresa nei mesi precedenti". Scrive anche questo la corte d'assise d'appello nelle motivazioni della sentenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

 

"In tale contesto, e pur in assenza di un previo accordo con Bernardo Provenzano o con soggetti a lui vicini, e quindi di una specifica volontà di favoreggiamento, con la mancata perquisizione del covo di Riina si intese lanciare un segnale di buona volontà, un segnale cioè della disponibilità a mantenere o riprendere il filo del dialogo che era stato avviato, attraverso i contatti intrapresi con Ciancimino per giungere al superamento di quella contrapposizione di Cosa Nostra con lo Stato che era già culminata nelle stragi di Capaci e di Via D'Amelio", dicono i giudici.

 

"Non v'è prova che fosse intervenuto un previo accordo con Provenzano o con altri esponenti mafiosi che contemplasse da un lato la consegna di Riina dall'altro la rinuncia a perquisire l'immobile, dando tempo ai mafiosi di ripulirlo d'ogni traccia - prosegue la corte - Né Mori e i suoi potevano essere certi dell'esistenza all'interno dell'abitazione di tracce utili alle indagini o addirittura di documento compromettenti. Ma anche se fossero stati certi che non vi fosse nulla di compromettente, si sarebbero ugualmente determinati ad astenersi da una perquisizione immediata perché il significato di quel gesto era soprattutto simbolico, dovendo esso servire a lanciare il segnale di buona volontà e di disponibilità a proseguire sulla via del dialogo".

La trattativa con Dell'Utri, assolto

Su un altro imputato eccellente di questo processo, l’ex senatore Marcello Dell’Utri (già condannato per concorso in associazione mafiosa in un altro processo) la corte scrive invece: "Non si ha prova, in altri termini nonostante le sue ramificate implicazioni nell'antefatto" che "abbia portato a termine quel progetto ricattatorio/minaccioso di cui pure egli aveva piena conoscenza per volere degli esponenti di Cosa Nostra ed a seguito delle sue reiterate interlocuzioni, intercorse fino a dicembre del 1994, in particolare con Vittorio Mangano". In primo grado Dell'Utri era stato condannato a dodici anni, in appello i giudici lo hanno assolto dall'accusa di minaccia a corpo politico dello Stato.

 

"Muovendo dalla posizione di Marcello Dell'Utri – scrive ancora la corte – si è avuto modo di osservare che difetta la prova certa che lo stesso abbia fatto da tramite per comunicare la rinnovata minaccia mafiosa/stragista sino a Berlusconi quando questi era presidente del consiglio dei ministri così percorrendo quello che, per opera di semplificazione, può essere individuato – prosegue la Corte di assise di appello – come l'ultimo miglio percorso il quale il reato sarebbe stato portato a consumazione”. Per questa ipotesi di reati sono stati condannati solo Brusca e Bagarella.

 

Argomentano i giudici: "Pur in assenza della prova della veicolazione della minaccia in danno del presidente Berlusconi è altrettanto evidente che il reato si sia arrestato al livello del tentativo con una condotta che va in questi termini attribuita agli imputati Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca... E' indubbio, infatti, che il progetto ricattatorio ripreso nel marzo del 1994 da questi soggetti, dopo gli arresti prima di Riina ed a seguire dei fratelli Graviano (che avevano un loro canale di comunicazione con Dell'Utri), non sia stato portato a compimento, contrariamente alla volontà degli stessi Bagarella e Brusca, soltanto perche Dell'Utri non ha veicolato (rectius: non vi è la prova che lo abbia fatto) la minaccia fino al Governo, in specie fino a Belusconi quale Presidente del Consiglio dei Ministri".

 

"Nei confronti di questi imputati", cioè Bagarella e Brusca "pertanto, è configurabile un delitto tentato poiché gli stessi hanno posto in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco, ad esercitare la citata pressione mafiosa stragista in danno di quel governo, non riuscendo nel loro intento criminale per una causa indipendente dalla loro volontà concretamente rappresentata, su un piano strettamente processuale, dalla mancanza di una prova certa riferita 'all'ultimo passaggio' della condotta affidata a Marcello Dell'Utri in previsione delle sue comunicazioni con il presidente Berlusconi".

 

marcello dell'utri dopo la scarcerazione 2toto' riina 2toto' riinaberlusconi dell'utrisigfrido ranucci report e la trattativa stato mafia

Ultimi Dagoreport

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....