GLI AMERICANI VOGLIONO “LA TRATTATIVA” - DOPO LA NOTIZIA CHE OBAMA HA RIFIUTATO DI PAGARE UN RISCATTO DI 100 MILIONI DI DOLLARI PER JAMES FOLEY, IN RETE SERPEGGIA SCETTICISMO PER LA LINEA DURA - NEGLI ULTIMI TRE ANNI I PAESI EUROPEI HANNO PAGATO AI QAEDISTI 125 MILIONI DI DOLLARI DI RISCATTI

Viviana Mazza per il “Corriere dela Sera”

Obama Obama

 

«Facile dire che l’America non paga riscatti ai terroristi per ottenere il rilascio dei prigionieri. Ma se in ostaggio ci fosse tuo figlio, che cosa diresti?». È una considerazione espressa su Twitter ieri dal noto presentatore Larry King, una delle tante che rimbalzavano in Rete e sulle tv americane dopo la rivelazione che l’Isis aveva chiesto un riscatto di 100 milioni di euro in cambio della vita di James Foley.

 

«Gli europei pagano; l’America dovrebbe?», chiedeva nel pomeriggio la Cnn ai suoi ospiti. E ora Obama si trova sotto pressione da parte della famiglia di Steven Sotloff, l’altro giornalista che appare — ancora vivo — alla fine del video dell’Isis: i suoi cari hanno lanciato una petizione che ha raccolto già 6.000 firme in cui chiedono di «salvarlo con ogni mezzo».

LARRY KINGLARRY KING

 

«Privatamente i Foley e altre famiglie sono frustrate dal fallimento dei funzionari americani nel negoziare con i rapitori», scriveva ieri il giornalista David Rohde, ex ostaggio dei talebani che riuscì a scappare dopo sette mesi di prigionia nel 2008. Rohde non dice se si debba o meno pagare, ma sostiene che una cosa è assolutamente necessaria: un approccio comune tra Stati Uniti ed Europa. «Il pagamento dei riscatti è una questione che deve uscire dall’ombra. Deve essere dibattuta pubblicamente. I politici americani ed europei devono essere costretti a rispondere delle proprie azioni».

James Wright FoleyJames Wright Foley


Di approcci al momento ce ne sono almeno quattro. Quello americano è il più duro: il governo non paga, e se a farlo sono i privati, il dipartimento della Giustizia può avviare un procedimento contro di loro per finanziamento del terrorismo; l’unica opzione è una missione di salvataggio, come quella — fallita — per Foley. La seconda politica, quella inglese, in teoria è uguale a quella americana, ma in passato il governo ha chiuso un occhio quando sono state le famiglie degli ostaggi a pagare.

 

Il terzo caso è quello degli europei — francesi, spagnoli, italiani, tedeschi, austriaci, svizzeri — che (pur negandolo) secondo un’inchiesta del New York Times hanno versato negli ultimi tre anni buona parte dei 125 milioni di dollari di riscatti incassati da gruppi qaedisti. Infine, c’è Israele disposto a fare concessioni pur di salvare gli ostaggi o di recuperarne i cadaveri — per liberare il soldato Shalit ha rilasciato 1.027 prigionieri — e poi dà la caccia ai sequestratori per eliminarli.

James Wright Foley James Wright Foley


In passato ci sono già stati appelli ad una politica comune sui riscatti: a gennaio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una risoluzione presentata da Londra che chiede ai governi di smettere di pagare i riscatti che non fanno che alimentare il business dei rapimenti.

 

Si tratta ormai di una delle principali fonti di finanziamento dei jihadisti, con un aumento del numero degli stranieri rapiti, dei costi per liberarli (milioni per ogni ostaggio) e dei gruppi che usano queste tecniche dallo Yemen alla Nigeria (anche Boko Haram ha pensato di chiedere del denaro in cambio delle studentesse) e soprattutto alla Siria.


Gli Stati Uniti sostengono che la politica delle «concessioni zero» abbia avuto l’effetto positivo di ridurre il numero di americani sequestrati, e in effetti sui 53 ostaggi documentati nell’inchiesta del Times negli ultimi 5 anni, la metà sono francesi mentre sarebbero attualmente tre gli americani. Obama è stato criticato dai repubblicani quando a giugno ha consegnato 5 prigionieri talebani in cambio del rilascio del sergente Bowe Barghdal: «Incoraggerà i nostri nemici a rapire più americani».

James Wright Foley James Wright Foley

 

Ma la realtà è diversa agli occhi dei familiari americani, che assistono al rilascio degli europei mentre sanno che i loro figli hanno poche opzioni: scappare da soli, essere salvati dalle forze speciali, restare in mano ai sequestratori a tempo indeterminato oppure essere uccisi.


Nel caso di Foley, la domanda è se la Casa Bianca abbia fatto abbastanza ed è forse anche per questo che è stato reso noto il blitz per liberarlo. Ma c’è anche un altro particolare: i sequestratori avevano chiesto via email alla famiglia una cifra molto superiore a quella di molti ostaggi europei, il che ha portato a dubitare che la richiesta fosse seria, ha notato Philip Balboni del Global Post , il datore di lavoro di Foley. Poi, dopo l’inizio dei raid Usa in Iraq, è arrivato ai parenti un messaggio dell’Isis che annunciava l’imminente esecuzione senza lasciar spazio a negoziati. L’avrebbero ucciso in ogni caso? Non lo sapremo mai. Un dilemma in più per Obama.
 

IRAQ - JIHADISTI DELL' ISISIRAQ - JIHADISTI DELL' ISIS

 

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