CAFONAL KILLER - LA JAGUAR DEL FORCONE, LE SCARPE E LO YACHT DI DALEMIX, IL BALLO KENIOTA DELLA MELANDRINA: HAI VOGLIA A PRECISARE, UN’IMMAGINE È PER SEMPRE

Paolo Bracalini per "Il Giornale"

Hai voglia poi a spiegare, giustificare, chiarire, non è come sembra... Quando arriva il clic, la foto che ti frega, sei finito. Può essere anche un frase nata storta («se dovessi acclarare che la mia casa è stata pagata da altri senza saperne io il motivo... »), una paparazzata clandestina (il portavoce di Prodi affacciato sul viale dei trans), un dettaglio sottovalutato, apparentemente innocuo, ma che ti si appiccica addosso, per sempre, come un flagello.

Che errore infilarsi in una Jaguar, dopo aver ringhiato nelle piazze inferocite dei forconi. Quella foto costerà cara a Danilo Calvani, leader del Coordinamento 9 Dicembre in marcia verso i Palazzi della politca. La Jaguar non è sua? Modello vecchio che varrà 2mila euro? E poi lui, imprenditore agricolo in bancarotta, non ha neppure un'utilitaria? Tutto vero, ma non importa, ormai è marchiato, schiacciato dal fotogramma fatale. Può accampare, come scusa per l'errore a porta vuota, l'inesperienza della ribalta e delle sue trappole.

Già molti, più scafati di lui, leader politici o presunti tali, erano già scivolati sulla buccia di un particolare, rompendosi le ossa. «I giornali dovrebbero occuparsi di questioni più serie» sbottò alla fine D'Alema, dopo l'ennesimo articolo sulle sue scarpe chic, fatte a mano da un artigiano calabrese, valore presunto (ma smentito dall'interessato) 1 milione e mezzo di lire, il famoso stipendio del metalmeccanico Cipputi.

Quel dettaglio, insieme alla barca a vela, passioni post-comuniste del D'Alema ripulito (e rivestito) dagli spin doctor reucci di Capri, lo ha perseguitato per anni, sempre in agguato in ogni polemica, sempre rinfacciabile. «Non capisco il perché, non lo capirò mai» dirà D'Alema, irritato. Ma quando poi, beccato da Chi a passeggio nell'esclusiva St.Moritz, si difenderà tornando ancora alle scarpe: «Le ho comprate da Decathlon, costano 29 euro, se non ci credete chiedete pure a quelli che erano in fila con me...». Un'ossessione.

Colpita e affondata dal fotogramma anche l'allora ministra Melandri. «Non ho mai soggiornato nella villa di Flavio Briatore a Malindi» precisò all' Espresso , aggiungendo di essere stata sì in Kenya, ma da «turista consapevole », non cafonal. Non abbastanza consapevole, però, perché non si era accorta, la Melandri, che qualcuno aveva fatto clic.

La foto, con lei scatenata in un ballo in kaffetano, uscì su Chi , con sbertucciamento incluso, nientemeno che della Ventura ( «Non capisco perché non dica di essere stata ospite di Flavio a Malindi. Io c'ero e ricordo di aver trascorso il Capodanno con lei e un paio di amiche») e asfaltamento finale dall'ospite schifato, Briatore: «È stata da me in Kenya, ha bevuto champagne al tavolo con noi, poi ha negato». Una maxxi figuraccia.

«Il richiamo eversivo che arriva dai cannoli» titolò invece la Repubblica nelle pagine di Palermo, a commento di un altro fotogramma cult: il presidente siciliano Cuffaro che, il giorno dopo essersi beccato una condanna a cinque anni «solo» per favoreggiamento semplice, festeggia con un vassoio di cannoli strabordanti ricotta e pistacchi. Il suo declino, finito con la galera (dal 2011 è a Rebibbia), è iniziato con quei cannoli.

E chissà quanto ha lavorato,nel subconscio dell'elettorato, quella risata offensiva, per Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi finito in soffitta. Nel 2006 un fotografo zoomma su di lui, in chiesa, insieme al governatore emiliano Errani, mentre ride di gusto, con la lingua di fuori, nel momento più sbagliato: in chiesa, mentre il sacerdote celebra il funerale dei soldati italiani morti a Nassiriya. «Una grave strumentalizzazione, una indegna campagna» proveranno a difenderlo i Verdi. Con poco successo.

Ne è uscito illeso, alla fine, il sindaco Emiliano, gran consumatore di mitili, donatigli in gran quantità dai costruttori baresi poi indagati per corruzione. Ma la storia delle cozze pelose ha rischiato di travolgerlo. «Sindaco, come va?», gli chiese un cronista, in pieno scandalo: «Di merda». Mi processo davanti a tutti per quattro spigole e cinquanta cozze pelose e mi condanno. Per leggerezza. Ho sba­liato, sono stato un fesso, non certo un corrotto». Salvo per un pelo, di cozza. Forse perché non c'era una foto ad inchiodarlo.

Guai al paparazzo che ha beccato l'udiccino Michele Vietti, vicepresidente del Csm, con in braccio un'affascinante signora con decolté ad altezza ombelico. In costume variopinto, impegnato in una danza con tre ragazze su uno yacht è invece la foto che aggiorna e rivede l'immagine di ciellino «memores domini » (povertà, castità e obbedienza) di Roberto Formigoni.

Volontario, invece, il book fotografico stile secondo impero scelto dall'allora presidente della Camera Gianfranco Fini, per presentare, sulle pagine del settimanale Oggi , tutta la sua nuova famiglia Fini-Tulliani. Al suo fianco il cognato, quello della casa di Montecarlo. La sventura politica di Fini immortalata in un clic.

 

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