NON CIE DATO SPERARE - LA PROTESTA DEGLI IMMIGRATI NEL CENTRO DI PONTE GALERIA: SI CUCIONO LA BOCCA CON AGO E FILO - SOLO SEI DEI TREDICI CIE ITALIANI SONO EFFETTIVAMENTE FUNZIONANTI

1 - PROTESTA SHOCK TRA GLI IMMIGRATI DEL CIE IN OTTO SI CUCIONO LA BOCCA CON AGO E FILO
Federica Angeli e Mauro Favale per "la Repubblica"

Il primo è stato un imam tunisino di 32 anni: verso mezzogiorno ha smontato un accendino, è riuscito a ricavare dalle parti metalliche una sorta di ago e con un filo strappato da una coperta si è cucito un lato della bocca. Dopo di lui lo hanno fatto altri tre. Un quinto si è aggiunto nel pomeriggio. Ieri sera erano diventati otto, tutti originari del Maghreb, tutti tra i 20 e i 30 anni e tutti rinchiusi nel più grande centro di permanenza ed identificazione d'Italia, quello di Ponte Galeria a Roma.

Hanno iniziato a urlare per richiamare l'attenzione degli addetti della cooperativa Auxilium che nel 2010 ha sostituito la Croce Rossa nella gestione del centro. Li hanno trovati con la bocca insanguinata e hanno chiamato i medici. Qualcuno ha accettato le cure, qualcun altro ha preferito restare con uno o due punti a serrare le labbra.

Nel giorno in cui il ministro dell'Interno Angelino Alfano riferisce alla Camera su quanto accaduto giorni fa a Lampedusa («Sull'isola sono stati usati metodi inaccettabili ma quel Cie non è una zona franca in cui calpestare i diritti»), un altro caso coinvolge le strutture che secondo la legge Bossi-Fini possono trattenere, fino a18 mesi, gli immigrati senza permesso di soggiorno in attesa di espulsione.

Non un inedito, visto che una protesta così, con le bocche cucite da ago e filo, era già andata in scena tre anni fa nei Cie di Torino e Bologna. «È un atto terribile che indica la disperazione di queste persone per le condizioni in cui si trovano a vivere», commenta Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati.

Degli 8 che ieri si sono feriti solo uno era ospitato lì da più di 50 giorni, qualcuno era arrivato all'inizio di dicembre. Tutti, però, lamentano lo stato di reclusione e nessuno vuole restare ancora nel Cie nemmeno un giorno in più (uno di loro doveva essere rimpatriato domani). Il centro di Ponte Galeria (che a febbraio era stato teatro di una protesta eclatante con gli ospiti saliti sul tetto e materassi e suppellettili incendiate) non soffre una situazione di sovraffollamento: su una capienza che secondo il Viminale può raggiungere le 360 persone, ieri ce n'erano 90, 61 uomini e 29 donne.

Alcuni sono irregolari, altri arrivano dal carcere. Come l'imam che ha animato la protesta, passato dal penitenziario di Civitavecchia a quello di Viterbo con un'accusa per reati legati al terrorismo e arrivato un mese e mezzo fa al Cie di Roma. Tra gli altri 7, solo un paio sono pregiudicati.

Lamentano, tra le altre cose, la situazione all'interno del centro. Pesante il giudizio di una delegazione di parlamentari di Sel che ieri sera è entrata a Ponte Galeria per visitare gli otto: «È vergognoso: qui è peggio del carcere e le condizioni igieniche sono preoccupanti - racconta il deputato Filiberto Zaratti - gli ospiti chiedono di essere liberati, non capiscono i motivi della loro reclusione. Anche chi è stato in carcere ha ormai scontato la pena e vorrebbe tornare libero. E non ci sono solo pregiudicati. C'è anche chi vive da anni in Italia, ha cinque figli fuori di qui e si trova al Cie solo perché non aveva il permesso di soggiorno».

L'episodio di ieri ha rinfocolato la polemica politica contro la Bossi-Fini: «Questi fatti ci impongono di riaprire il dibattito su dei luoghi disumani e su una legge che equipara a criminali chi fugge da guerre, violenze e povertà», ha scritto su Facebook il sindaco di Roma Ignazio Marino.

2 - LA GABBIA PER FARSI LA BARBA E ALTRI ORRORI "IN QUEI LAGER OGNI DIRITTO È SOSPESO"
Vladimiro Polchi per "la Repubblica"

«I Cie sono delle polveriere pronte a esplodere». A parlare è un funzionario di polizia che lavora come «guardiano in un lager per migranti ». È il buco nero dei centri d'espulsione: rivolte, atti di autolesionismo, pestaggi, fughe. «Indipendentemente dagli enti gestori - sostiene Alberto Barbieri, coordinatore di Medici per i diritti umani - i Cie sono incapaci di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e inutili nel contrasto all'immigrazione irregolare».

LA GABBIA DI LAMEZIA TERME
Nel maggio di quest'anno un team di Medici per i diritti umani (Medu) ha pubblicato un rapporto sui centri in Italia. «Nel Cie di Lamezia Terme - raccontano - l'ente gestore ha messo una gabbia nel cortile dove i trattenuti vengono costretti a entrare per potersi radere, alla vista delle forze dell'ordine, e questo per evitare atti di autolesionismo». E ancora: nel Cie di via Corelli a Milano «la situazione di costante tensione ha portato a numerosi episodi di rivolta che hanno reso inutilizzabili quattro dei cinque settori della struttura. Critica è l'assenza, da circa un anno, di ogni servizio di assistenza psicologica e sociale».

GLI IMPICCATI DI TORINO
Dal recente rapporto della commissione diritti umani del Senato a quello del commissario europeo Thomas Hammarberg, i Cie sono da anni al centro delle polemiche. «Ho appena parlato con un ragazzo che minaccia di impiccarsi, ho cercato di tranquillizzarlo. Due giorni fa si è impiccato un altro, adesso mi hanno detto che si è salvato». A parlare è suor Anna (il nome è di fantasia), volontaria al Cie di Torino. «C'è una ragazza da venti giorni in isolamento - prosegue - ha dei problemi psichiatrici e quindi la tengono lì. E gli scioperi della fame sono continui».

LE RIVOLTE IN FRIULI
«Il Cie di Gradisca - racconta Gabriella Guido, portavoce della campagna nazionale "Lasciatecientare", che chiede la chiusura dei centri e la revisione della Bossi-Fini - è stato a lungo un territorio di nessuno, privo di controlli esterni. Ricordo che c'è ancora un ragazzo in coma, dopo essere caduto ad agosto dal tetto della struttura durante una protesta. Stando alle testimonianze dei suoi compagni, era imbottito di psicofarmaci».

I SETTE CIE FANTASMA
Stando all'analisi dei Medici per i diritti umani, «attualmente solo sei dei tredici Cie italiani sono effettivamente funzionanti». I Cie di Trapani (Serraino Vulpitta) e quello di Brindisi non funzionano da oltre un anno. Il centro di Lamezia Terme è stato chiuso nel novembre 2012. I Cie dell'Emilia Romagna sono stati chiusi a febbraio (Bologna) e ad agosto
(Modena) per lavori di ristrutturazione, dopo che le prefetture avevano revocato gli appalti al ribasso. Il Cie di Crotone è stato chiuso al principio di agosto dopo la morte di un giovane migrante e la successiva rivolta dei trattenuti. Il centro di Gradisca d'Isonzo è stato svuotato a inizio novembre dopo mesi di proteste.

AGENTI IN PRIMA LINEA
Durante l'indagine svolta da Medu, le condizioni di lavoro degli operatori degli enti gestori (per lo più privati) e degli agenti sono apparse critiche, per la difficoltà a gestire quelle che un funzionario di polizia ha definito «polveriere pronte a esplodere». L'introduzione dei bandi di gara al ribasso (fino al 30% in meno) sembra aver avuto l'effetto di un detonatore: dal 2012 il governo ha infatti adottato come unico criterio per la gestione dei centri, quello dell'offerta economica minima.

IL FLOP DELLE ESPULSIONI
Lo scopo dichiarato dei Cie è quello di rimpatriare gli irregolari. Ebbene, nel corso del 2012 solo la metà dei circa 8mila trattenuti nei centri è stata espulsa: in sostanza l'1% dei 326mila irregolari stimati dall'Ismu al primo gennaio 2012. Scarsi risultati a fronte di alti costi, se si pensa che per tutti i centri per immigrati, l'Italia spende oltre un milione 800mila euro al giorno. «Il prolungamento dei tempi massimi di trattenimento da 60 a 180 giorni (che risale al 2009) e successivamente a diciotto mesi (dal 2011) denunciano i medici che hanno visitato i centri - non ha avuto alcun effetto in termini di efficacia nei rimpatri».

 

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