
ROMA, KAPUTT MUNDI - UN LETTORE RACCONTA L’ODISSEA NELLA BUROCRAZIA DELLA CAPITALE, ANCHE SOLO PER FARSI AUTENTICARE UNA FOTO AL XIII MUNICIPIO - PRIMA LO SCAZZO TRA ADDETTI ALLA SICUREZZA E CITTADINI ESASPERATI. DOPO QUASI QUATTRO ORE DI ATTESA, LO SVENTURATO È STATO PARCHEGGIATO IN UN LIMBO - E' ANDATA PEGGIO A UN RAGAZZO DEL BANGLADESH A CUI SERVIVANO I DOCUMENTI PER LA DIALISI: "SONO STATI CHIAMATI PERSINO I VIGILI MA…”
Un lettore ci scrive:
Caro Dago,
che i municipi di Roma siano una giungla è cosa nota, ma quando ti accorgi di non poter avere accesso ai tuoi diritti minimi di cittadino, ti incazzi. Tutto inizia con la necessità di avere le foto autenticate per la patente internazionale. Io e la mia ragazza ci presentiamo mercoledì 7 maggio allo sportello del XIII Municipio di Roma, in via Aurelia. Sono le 8.45. All’ingresso ci comunicano di “non avere più numeri a disposizione”. Vogliono spedirci a Ladispoli o “in qualche comune dei castelli per fare subito”. Facciamo presente di avere un lavoro e che avremmo riprovato dopo due giorni. E così è stato.
Tutto ha inizio alle 7.30 di questa mattina davanti al Municipio. I cittadini se vogliono entrare si devono organizzare e c’è un foglio sul quale annotare i nomi: siamo il 22 e il 23 della lista. Alle 8 e qualche minuto chi è in attesa inizia ad agitarsi, (solo dopo capiamo il perché), bussa alla porta a vetri, chiede di entrare. Fa capolino un addetto alla sicurezza che sbraita, urlando contro la signora che si era inalberata per l’attesa: “Ma lei si sente a casa sua? Ma stia indietro”. Gli animi si scaldano, deve intervenire un altro addetto a rimandare il collega nelle retrovie per evitare di scatenare la rissa.
Alle 8.15 si inizia a entrare e ci vengono dati due biglietti con una scritta a mano “Riserva 2” e “Riserva 3”. Ci insospettiamo, ma ci dicono di ritornare dopo le 10. Noi rimaniamo lì. Passano le ore e SOLO alle 12.30 ci viene comunicato che rientravamo in un “extra lavoro degli uffici che può essere fatto solo per i residenti del Municipio”. Dove è scritta questa norma? Da nessuna parte visto che l’autentica di una foto può essere richiesto in qualsiasi comune d’Italia.
L’addetta si agita, l’ora della pausa pranzo è vicina e comunica alle tre persone rimaste che “c’è un regolamento interno”. Chiama la dirigente Francesca Romana Nicastro che non ammette alcuna “eccezione” a una regola che a nessuno dei presenti è mai stata comunicata. Viene chiamato l’addetto all’ingresso che balbetta, farnetica e sostiene di averlo detto. Forse sì, forse no, “forse a qualcuno me lo sono dimenticato”. Qualcuno chiama i vigili urbani, ci vengono presi i documenti. Un modo per invitarci alla porta. Insieme a noi c’è un ragazzo del Bangladesh. Ci spiega che ha bisogno dei documenti per fare la dialisi. Ma nulla.
Alle 13 gli uffici chiudono. C’è la pausa pranzo. E poco importa se in quattro ore sono state mandate avanti le pratiche di soltanto 21 persone. E poco importa se quel ragazzo dovrà posticipare le cure. Poco importa della sua e della mia mezza giornata di lavoro mandata a ramengo. Quel che è accaduto oggi non è un caso isolato. È l’Odissea quotidiana di chi si rivolge al XIII Municipio.