
“SE OGGI SI INDAGA SU UN MORTO, È PERCHÉ I VIVI NON HANNO MAI PARLATO DAVVERO” – LIRIO ABBATE COMMENTA L’INDAGINE DELLA PROCURA DI CALTANISSETTA SULL’EX PROCURATORE GIOVANNI TINEBRA, MORTO NEL 2017, CHE AVREBBE RICEVUTO LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO SUBITO DOPO LA STRAGE DI VIA D’AMELIO E CHE SAREBBE STATO AFFILIATO ALLA LOGGIA MASSONICA DI NICOSIA: “SE C’ERA UN TEMPO IN CUI LA MASSONERIA DEVIATA ERA IL RETICOLO IN CUI SI ANNODAVANO POTERI INVISIBILI, È PROPRIO QUELLO DELLE STRAGI. L’INDAGINE SU TINEBRA, OGGI, NON È UN’OPERAZIONE NECROFILA DELLA GIUSTIZIA. È IL TENTATIVO DI CAPIRE SE L’AGENDA ROSSA, SEPOLTA DALLA RETORICA E DALLE OMISSIONI, SIA PASSATA DAVVERO DA LUI. SE ABBIA FATTO PARTE DI UN GIOCO PIÙ GRANDE. SE IN QUELLE CARTE CI FOSSE CIÒ CHE NON SI POTEVA LEGGERE: IL NOME DI CHI TRATTAVA, DI CHI TRADIVA…”
Estratto dell’articolo di Lirio Abbate per “la Repubblica”
La procura di Caltanissetta indaga su un morto: l’ex procuratore Giovanni Tinebra, che Silvio Berlusconi volle nel 2001 al vertice del dipartimento delle carceri dopo che il magistrato aveva chiesto per il cavaliere l’archiviazione come mandante delle stragi.
Oggi Tinebra è al centro di un’inchiesta che squarcia l’ipocrisia di trent’anni e riapre il coperchio su una stagione in cui la verità non era l’obiettivo, ma l’ostacolo. Si cerca l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Si cerca nei luoghi che Tinebra frequentava. […]
È un’indagine che ha il sapore del ritorno del rimosso, perché Tinebra, nominato procuratore di Caltanissetta all’indomani della strage di Capaci, è stato il primo a ricevere la borsa di Borsellino. Lo dice un appunto di Arnaldo La Barbera.
borsellino agenda rossa via d'amelio
Lo dice una nota mai trasmessa, mai firmata per ricevuta, mai menzionata in anni di processi. Eppure, esiste. È lì. E nel vuoto di quella firma, in quel gesto mai certificato, prende forma l’ipotesi di una verità rubata.
Chi era Giovanni Tinebra? Un magistrato grigio, senza slanci pubblici, ma con un cursus honorum lineare. Procuratore della Repubblica a Nicosia, poi promosso a Caltanissetta. Solo che Nicosia, oggi, non è un dettaglio. Era la sede della loggia massonica coperta a cui Tinebra risulta affiliato.
ARNALDO LA BARBERA - GIOVANNI TINEBRA
La sua appartenenza non è un mistero: già nel ’92 se ne scriveva. Ma fu giudicata irrilevante, quasi folcloristica. Oggi no. Oggi ritorna. Perché se c’era un tempo in cui la massoneria deviata era il reticolo in cui si annodavano poteri invisibili, è proprio quello delle stragi.
E allora bisogna avere il coraggio di dirlo: l’indagine su Tinebra, oggi, non è un’operazione necrofila della giustizia. È il tentativo di capire se l’agenda rossa, sepolta dalla retorica e dalle omissioni, sia passata davvero da lui. Se abbia fatto parte di un gioco più grande. Se in quelle carte ci fosse ciò che non si poteva leggere: il nome di chi trattava, di chi sapeva, di chi tradiva.
PAOLO BORSELLINO - LA STRAGE DI VIA D AMELIO
E oggi, se si indaga su un morto, è perché i vivi non hanno mai parlato davvero. Non hanno voluto. Non hanno potuto. Oppure hanno detto quello che serviva per chiudere, per archiviare, per dimenticare.
Tinebra non può più dire nulla. Ma attorno a lui, ancora, si muovono le ombre. E la memoria, se coltivata, può diventare accusa. Anche postuma. Anche tardiva. Anche scomoda. Perché i morti non parlano, ma costringono i vivi a guardarsi allo specchio. E a quel punto, il problema non è più l’agenda rossa. Il problema è chi ha avuto paura che venisse letta.
Pur assistendo in questi giorni in Commissione antimafia ad una rimodulazione dei fatti, occorre ricordare che le stragi del ’92 e del ’93, da Capaci a via dei Georgofili, non furono mai solo mafia. Lo hanno detto diversi collaboratori di giustizia. Lo ha scritto la Cassazione. Lo hanno suggerito mille indizi rimasti senza risposta. […]
la borsa di paolo borsellino 3
Allora, che cos’è questa storia, se non una strategia degli opposti interessi? Dove la mafia agisce, i faccendieri suggeriscono, gli apparati deviati proteggono, i servizi osservano, la politica incassa. Nel 1993 le bombe colpiscono il cuore del patrimonio artistico italiano.
Un messaggio ai poteri più profondi. Una pressione che non viene solo dai corleonesi. Ma anche da altre latitudini della Repubblica. Là dove il confine tra legalità e potere è una linea sfocata.
A Firenze, l’inchiesta sui mandanti esterni va morendo di inerzia. Filippo Spiezia, nominato un anno e mezzo fa, ha già detto che si chiuderà tutto nel 2025. Dell’Utri, ancora indagato. Mori, ancora indagato. Tutto fermo. Come se qualcuno avesse deciso che è meglio non sapere. Cosa succede quindi nell’antimafia? Succede che si vuole tornare a una versione ordinata, rassicurante, addomesticata. Dove tutto è mafia. Dove tutto è appalti. Dove nulla è politica. Nulla è strategia.
La storia dei “due estremi”, mafiosi e politici, criminalità e istituzioni deviate, non è mai stata così evidente. È nei verbali. Nei biglietti bruciati. Nei rapporti distrutti. Nei silenzi. E adesso, anche nelle archiviazioni. Ma una cosa l’abbiamo imparata da Falcone e Borsellino: la verità, prima o poi, trova la sua voce. Anche quando tutti fanno finta di non sentirla. Anche quando si riparte dai morti.
paolo borsellino
PALERMO 19 LUGLIO 1992 - STRAGE IN VIA D'AMELIO
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