
TRENTATRÉ ANNI SENZA UNA VERITÀ - PER LA STRAGE DI VIA D’AMELIO, A PALERMO, IN CUI VENNE UCCISO PAOLO BORSELLINO CON LA SCORTA, SI TORNA AD ACCENDERE UN FARO SUL DOSSIER MAFIA-APPALTI - UNO DEI NODI PRINCIPALI RIGUARDA L’ACCELERAZIONE CHE PORTÒ ALL’ATTENTATO AD APPENA 57 GIORNI DALLA STRAGE DI CAPACI: PER GLI INQUIRENTI CI FU LA CONVINZIONE DI COSA NOSTRA CHE BORSELLINO POTESSE INDAGARE SU UN SISTEMA DI POTERE CHE UNIVA BOSS, POLITICI SICILIANI DI PESO NAZIONALE E COLOSSI DELL'IMPRENDITORIA DEL NORD - E SPUNTA ANCHE LA PISTA DELLA MASSONERIA COME AVEVA INDICATO SALVATORE RIINA…
1 - CHI VOLEVA DAVVERO FERMARE BORSELLINO LA VERITÀ OLTRE LA MAFIA
Estratto dell'articolo di Lirio Abbate per “la Repubblica”
Per via D'Amelio e la morte di Paolo Borsellino c'è una pista investigativa che torna prepotentemente sotto i riflettori: quella che vorrebbe il rapporto mafia e appalti come possibile concausa della strage.
Accade infatti che, a 33 anni di distanza, la procura di Caltanissetta, dopo mesi di analisi, ascolti, rilettura di vecchi atti e testimonianze, oggi non la escluda più a priori. Non come unico movente, ma come tassello del contesto in cui maturò la strage. Uno dei fattori che avrebbero contribuito, insieme ad altre ipotesi investigative, come gli interessi della massoneria su cui pure si indaga.
STRAGE DI VIA D'AMELIO - IL CAPITANO ARCANGIOLI PORTA VIA LA BORSA DI BORSELLINO
Concausa, si diceva. Dunque, non sufficiente a spiegare e riassumere da solo il movente, ma necessario a determinarlo. È una pista che spaventa quella su mafia-appalti, perché scardina anni di narrazione giudiziaria e politica. Si guarda al mondo imprenditoriale e politico che negli anni Novanta gestiva miliardi di lire in commesse pubbliche. Un mondo che era già allora in gran parte penetrato da Cosa nostra. E che non poteva tollerare le attenzioni di un magistrato come Borsellino.
[…] Fonti giudiziarie fanno presente che questa rivalutazione del movente da cercare anche in mafia-appalti non vuole essere un'operazione "revisionista" per riabilitare gli allora ufficiali del Ros Mori e De Donno che per primi su quell'ipotesi scommisero. E questo perché se è vero che l'informativa dei carabinieri del febbraio 1991 fu una buona intuizione, è altrettanto vero che fu un'occasione abbandonata a sé stessa.
All'epoca, infatti, la procura non lavorò a fondo su quel materiale. Ora, a distanza di tanti anni, l'obiettivo è ricostruire il contesto, seguire il denaro, scandagliare i legami tra mafia, politica, imprenditoria, massoneria e apparati deviati. Il che era per altro un'intuizione che Falcone aveva colto con chiarezza poco prima di trasferirsi al ministero di via Arenula.
Uno dei nodi principali su cui si sta concentrando l'inchiesta riguarda l'accelerazione della strage. È stato Francesco Marino Mannoia, tra gli altri, a ricordare che Borsellino non era un obiettivo "ex ante". Ma che lo era diventato dopo la morte di Falcone. E in fretta. Con modalità mai del tutto spiegate. Perché dunque questa fretta?
Per gli inquirenti, tra le concause plausibili, ci fu la convinzione di Cosa nostra che Borsellino potesse indagare un sistema di potere che univa boss, politici siciliani di peso nazionale e colossi dell'imprenditoria del nord. Del resto, il nome del gruppo Ferruzzi-Gardini è nelle carte, nelle archiviazioni, nelle dichiarazioni dei collaboratori. Ed è lì da anni.
[…] Il filo che lega Capaci a via d'Amelio è evidente. Ma ciò non significa, come spiegano a Repubblica, che i due attentati abbiano avuto un medesimo movente. Per chi indaga «non è corretto accomunare le bombe del ‘93 e ‘94 a Roma, Milano e Firenze, alle stragi siciliane».
E aggiungono: «Ogni attentato ha la sua logica, i suoi mandanti, le sue concause». Così si rischia di parcellizzare le inchieste, il contrario dell'idea di contrasto di Falcone che insisteva sull'unitarietà dell'azione di Cosa nostra. Però via d'Amelio, come svelano adesso le indagini, con probabilità fu una strage fuori da ogni schema. Non era nei piani iniziali, ma divenne un'urgenza. E quindi, perché Riina prosegue le stragi?
La procura diretta da Salvo De Luca e gli investigatori del Ros, che hanno sostituito la Dia nelle indagini, sta esaminando oltre 400 faldoni, mai digitalizzati. È un'indagine sul movente, non sui reati, molti dei quali prescritti.
Non tutti gli inquirenti che si sono occupati di mafia condividono questa rilettura. […]
2 - "LE LOGGE MASSONICHE DIETRO BOMBE E DEPISTAGGI"
Estratto dell’articolo di Salvo Palazzolo per “la Repubblica”
Qualche tempo dopo la strage di via D'Amelio, Salvatore Riina, il capo dei capi di Cosa nostra, bisbigliò una frase che è sempre rimasta misteriosa: «I massoni vosiru ca si fici chistu». Il pentito Giovan Battista Ferrante ha spiegato: «Quel giorno, alla presenza di Matteo Messina Denaro e di Salvatore Biondo "il corto", che me ne parlò in carcere, Riina intendeva dire: "I massoni vollero le stragi"».
Da questa frase sono ripartiti i magistrati della procura di Caltanissetta che nella loro ultima indagine si stanno spingendo lì dove mai nessun pubblico ministero è arrivato: nei giorni scorsi, hanno mandato i carabinieri del Ros a perquisire le abitazioni dei familiari di Giovanni Tinebra, l'ex procuratore di Caltanissetta morto nel 2017 avrebbe dovuto indagare sulle bombe del 1992 e invece — sostiene l'accusa — avrebbe clamorosamente insabbiato le indagini.
[…] Fra gli imprenditori e i mafiosi coinvolti, alcuni «erano inseriti in contesti massonici». Come Antonino Buscemi e Franco Bonura.
Eccolo il filo rosso che adesso nelle indagini dei pm di Caltanissetta lega stragi e depistaggi: la massoneria coperta, che potrebbe avere agito come «stanza di compensazione» la definiscono i magistrati «tra Cosa nostra e ambienti imprenditoriali aventi il comune interesse a bloccare le attività di indagine che il dottore Borsellino avrebbe potuto e voluto approfondire su questo specifico filone». Dopo 33 anni, non è certo facile ricostruire cosa accadde. […]
giovanni falcone paolo borsellino
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via d'amelio
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