masturbazione seghe cellulare

UOMINI CHE NON SCOPANO E QUINDI ODIANO LE DONNE – VIAGGIO NEL MONDO DEGLI “INCEL”, I “CELIBI INVOLONTARI” CHE SI RIUNISCONO ONLINE PER SFOGARE LA LORO FRUSTRAZIONE VERSO LE DONNE CHE LI RIFIUTANO, CHE HANNO ISPIRATO LA SERIE “ADOLESCENCE” – DAI TERMINI “REDPILL”, “BLUEPILL”, “LOOKSMAXXING” E L’OSSESSIONE PER LA BELLEZZA (C’È CHI ARRIVA A PRENDERSI A MARTELLATE PER FARSI RICOSTRUIRE LA MASCELLA) ALLA “TEORIA DELL’80%” – IL LORO CREDO FONDAMENTALE: TUTTO RUOTA INTORNO ALL'ESTETICA E AL POTERE…

Estratto dell’articolo di Antonio Mancinelli per “Specchio – la Stampa”

 

incel

Chiamatemi Unhappy Monster. Un "mostro infelice". O almeno, è stato questo il mio soprannome, quando anni fa, per un'inchiesta, ho trascorso tre settimane sul Forum dei brutti, la più grande comunità di incel italiana. Il termine significa letteralmente "celibe involontario" (dall'inglese involuntary celibate): si riferisce a uomini eterosessuali che dichiarano di non riuscire ad avere relazioni sentimentali o sessuali, non per scelta, ma perché esclusi, a causa delle donne che li rifiutano, da ciò che chiamano «il mercato affettivo».

 

adolescence

Volevo conoscere il loro linguaggio, la logica che reggeva il loro mondo. In quel tempo non c'era ancora una serie come Adolescence. Quattro anni dopo, quando l'ho vista, mi è sembrata una lente perfetta su ciò che ho vissuto. […] La serie racconta di un ragazzo che uccide una compagna di scuola rea di prenderlo in giro per l'aspetto. Nel Forum, i pensieri che ho letto erano gli stessi. Solo che erano veri. E mentre leggevo, non potevo ignorare quello che già allora era sotto gli occhi di tutti: la carneficina. Nel 2024, le donne uccise in Italia sono state 113. Di queste, 61 per mano del compagno, del marito, o dell'ex. Tutti che dicevano di amarle.

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[…] Ogni post era un manifesto di frustrazione e rancore. Nel gergo incel c'è spazio anche per riferimenti pop: Redpill e Bluepill tratte dal film Matrix, per esempio. Prendere la pillola rossa significa "svegliarsi", capire la verità cruda che secondo loro regge il mondo: tutto ruota intorno all'estetica e al potere. Chi non lo capisce è ancora addormentato nella menzogna – blupillato, lo definiscono con disprezzo. Ma per molti di loro nemmeno la Redpill basta: si spingono oltre, giù nel baratro della Blackpill, la pillola nera del fatalismo assoluto, la resa definitiva.

 

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Ovvero la teoria che il destino di un uomo è segnato dal volto e dallo scheletro, dal conto in banca o dalla mascella volitiva (la mandibola prominente è un tormento degli incel che, in alcuni casi, arrivano a prendersi a martellate per farsela ricostruire più scultorea, secondo le regole del looksmaxxing).

 

Chi è blackpillato ha perso ogni speranza: sa – o crede di sapere – che non troverà mai l'amore, che non farà mai sesso se non pagando prostitute. Un nichilismo vischioso trasudava da ogni riga. Scambio dopo scambio, la misantropia cresceva. Bersaglio le donne: colpevoli di scegliere, di desiderare altri e non "loro", in definitiva di non amarli. Accusate di avere tutto il potere in questo gioco crudele del mercato sessuale, pretendendo solo maschi attrattivi per aspetto o status: i Normies, o peggio i Chad, belli, ricchi e vincenti, i come nemici traditori. […]

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La concezione era chiara: l'80% delle donne desidera il 20% degli uomini. Chi sta fuori da quel 20% o era condannato alla solitudine. Non solo una questione estetica, secondo loro. Ma genetica, biologica, ineluttabile. Scorrevo le conversazioni, pagine e pagine di un rosario malato. Un utente spicca tra gli altri, per la ferocia dei toni e l'intransigenza delle idee. Si faceva chiamare CuoreNero.

 

Ogni suo messaggio trasudava livore: «Le donne di oggi? Feccia ipergamica. «Vorrei vederle soffrire come noi soffriamo». Un giorno mi ha scritto in privato. All'inizio era stato diffidente. Poi aveva cominciato a raccontarmi di sé: del liceo, degli anni passati a fissare da lontano ragazze che non l'avevano mai visto.

 

Dell'università, dove – diceva – era stato solo un'ombra. Gli ho risposto se davvero credesse che tutto si riducesse a misure, voti estetici, gerarchie. Ha scritto: «Quando vivi abbastanza tempo da invisibile, smetti di credere alle favole». Una notte ha chiesto: «Secondo te, come sono?» Non ho saputo cosa rispondere, se non «Non importa». Ha insistito. «Ti mando una foto. Così capisci». È arrivata. Ho cliccato. Per un istante avevo trattenuto il fiato, aspettandomi chissà cosa.

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Mostri. Deformità. Quelle che loro stessi raccontavano. Aveva un volto che avrei potuto incrociare per strada senza notarlo. Un ragazzo normale dall'espressione triste, sì. Ma niente che giustificasse l'inferno in cui viveva. Quella notte ho capito che il vero abisso non era il loro aspetto. Ma lo sguardo con cui si vedevano e quello con cui guardavano il mondo. […]

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