alessandro sallusti giorgia meloni, marina berlusconi e augusto minzolini

DAGOREPORT - SE ALLA MELONA È PARTITO L’EMBOLO PER LA RICHIESTA DEI MINISTRI NORDIO E CROSETTO, REI DI ESSERE FAVOREVOLI A UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SULLO SCANDALO STRIANO, COSA POTREBBE SUCCEDERE A MINZOLINI, CHE OGGI SUL “GIORNALE” HA AVUTO L’IMPUDENZA DI SCRIVERE A FAVORE DELLA COMMISSIONE? - CHI NON CI PENSA PROPRIO DI “SOTTOSTARE ALLA DISCIPLINA DI GOVERNO” È MARINA BERLUSCONI CHE HA FATTO SAPERE ALL’AEDO MELONIANO ALESSANDRO SALLUSTI CHE "MINZO" NON SI TOCCA…

DAGOREPORT

CARLO NORDIO GIORGIA MELONI

Se alla Melona è partito l’embolo per la richiesta del ministro della Giustizia Carlo Nordio, reo di aver proposto una commissione parlamentare d'inchiesta sulla vicenda degli accessi abusivi alle banche dati, cosa potrebbe succedere a Minzolini che oggi sul “Giornale” ha avuto l’impudenza di scrivere:

 

“l’Antimafia il suo lavoro lo sta facendo, ha deciso addirittura di convocare l’editore Carlo De Benedetti, ma è chiaro che una commissione «ad hoc» sarebbe stato ben altro segnale. Uno che la vorrebbe è il ministro della Difesa, Guido Crosetto, solo che deve sottostare alla disciplina di governo”.

 

L EDITORIALE DI AUGUSTO MINZOLINI A FAVORE DELLA COMMISSIONE DI INCHIESTA SUL DOSSIERAGGIO

Chi non ci pensa proprio di “sottostare alla disciplina di governo” è Marina Berlusconi che ha fatto sapere al direttore del “Giornale” e aedo meloniano dopo anni di fedele servizio ai piedi di Silvio Berlusconi, Alessandro Sallusti, che Minzolini non si tocca. Anche se Minzo non ci pensa proprio di fare la guardia al bidone e di ricopiare il Mattinale di Fazzolari, resta al suo posto al “Giornale” che, fino a prova contraria è di proprietà di Angelucci al 70%, il resto è della famiglia di Arcore.

 

QUEL FILO ROSSO CHE UNISCE SCAFARTO E STRIANO PERCHÉ ORA SERVE LA COMMISSIONE D’INCHIESTA

Augusto Minzolini per “il Giornale”

 

GUIDO CROSETTO - ILLUSTRAZIONE DEL FATTO QUOTIDIANO

Matteo Renzi la mette così: «La notizia sulla vicenda Consip non sono le assoluzioni, ma le condanne di quelli che sulla carta dovevano servire lo Stato, ma che in realtà hanno lavorato contro le istituzioni.

 

Questa storia non è apparsa chiara sui giornali, si è parlato poco dei due carabinieri condannati Scafarto e Sessa, come sui giornali, per parlare dello scandalo dossier, non si conosce nulla del luogotenente della finanza Striano e dei giornalisti che sono stati indagati perché avevano rapporti con lui». Uno può metterla come gli pare ma c’è un filo rosso che lega il caso «dossier dell’antimafia» con la vicenda Consip.

 

Anzi, quest’ultima è un po’ la messa in pratica di quel costume perverso che accomuna funzionari dello Stato, settori della magistratura e pezzi del mondo dell’informazione. La filosofia è la stessa, cioè colpire, minacciare e condizionare un soggetto istituzionale, il tutto in una logica politica.

 

MATTEO RENZI GUIDO CROSETTO

Cambiano solo i nomi: non ci sono i finanzieri ma i carabinieri; non c’è l’ufficio SOS dell’antimafia ma il NOE (Nucleo operativo ecologico); sono diversi i nomi dei magistrati come pure le testate che hanno tenuto in piedi le campagne stampa in questione. Come molto simili sono le modalità: si costruiscono prove per colpire qualcuno; inchieste che si abbeverano alla fonte del verosimile per puntellare le tesi accusatorie.

 

Con Renzi l’operazione è stata più profonda. «A me hanno fatto un “pacchetto”», l’interessato con l’amaro in bocca ci scherza su. Perché dopo Consip, c’è stato Open, l’attacco alla famiglia, l’accusa di fatture false. «Debbo aver rotto le scatole a qualcuno davvero potente- dice - ma non ho ancora capito chi e perché». Di sicuro, invece, si può calcolare l’«effetto» del «pacchetto»: «La vicenda Consip ha indebolito il mio governo prima della botta del referendum e per delle accuse false ho perso 10 punti percentuali di consenso».

GIANPAOLO SCAFARTO

 

La stessa «ratio» la ritrovi nello scandalo dei dossier o nel verminaio messo allo scoperto dall’ex pm Palamara. Colpisce, però, che la politica «aggredita» finora non abbia dato una risposta corale ad un «costume» che negli ultimi decenni ne ha minato la credibilità. Sul «caso» Palamara si era parlato di una commissione sull’uso politico della giustizia, ma non se ne è fatto niente.

 

E sullo stesso binario morto sta finendo l’ipotesi di una commissione sullo scandalo dei dossier. «Ora che si potrebbero vedere le carte - sospira Renzi - la Meloni non vuole. Dice che c’è l’Antimafia ma è una commissione che non c’entra un cavolo».

 

In realtà l’Antimafia il suo lavoro lo sta facendo, ha deciso addirittura di convocare l’editore Carlo De Benedetti, ma è chiaro che una commissione «ad hoc» sarebbe stato ben altro segnale. Uno che la vorrebbe è il ministro della Difesa, Guido Crosetto, solo che deve sottostare alla disciplina di governo.

 

augusto minzolini - stasera italia

Risponde a mezza bocca. Gli chiedi se chi non vuole scoperchiare il vaso di Pandora non comprenda i rischi che corrono le istituzioni e lui ti risponde: «Già». Gli domandi se c’è chi immagina di arrivare a patti con quegli ambienti, ma non capisce che sono patti scritti sull’acqua e la sua risposta è un laconico: «È così».

 

Insomma, anche per lui non c’è consapevolezza della gravità di ciò che è emerso. È come se si preferisse attutire, diluire.

 

PASQUALE STRIANO

«Eppure - si inalbera il forzista Piergiorgio Cortellazzo - qui si fanno commissioni anche su chi piscia controvento. E poi esce fuori che la vicenda Consip è stata costruita per far fuori Renzi, storia inaudita». Il leghista Stefano Candiani spiega così la cautela: «È la paura - esordisce - di tirare il filo sbagliato. È un sistema che è servito a molti... anche in Vaticano... il caso Becciu». O, magari, chi va a Palazzo Chigi per abitudine è attento a toccare quei mondi.

 

«Chi arriva lì - osserva il piddino Nicola Stumpo - vuole restarci e trova subito “un modus vivendi”, ad esempio, con i servizi».

Ma è una filosofia che funziona? L’elenco di governi che negli ultimi 40 anni sono stati vittime di questo costume è lungo: dal primo governo Berlusconi all’ultimo; e, ancora, il governo Renzi con il caso Consip.

 

«Il punto è che nella prima Repubblica - è la tesi di Matteo Perego, sottosegretario alla Difesa i politici erano i pupari e questi mondi i pupazzi al loro servizio. Pensate a Cossiga o ad Andreotti. Ora, invece, quei mondi sono diventati i pupari e i politici i pupazzi». Un compendio efficace alla Storia del Paese, a cui Matteo Renzi aggiunge un corollario: «Il punto è che non sappiamo più neppure chi tiene i fili, se magistrati o qualche editore».

AUGUSTO MINZOLINI ANTONIO ANGELUCCI DENIS VERDINI carlo de benedettiSCAFARTOLA VERSIONE DI GIORGIA - ALESSANDRO SALLUSTI INTERVISTA GIORGIA MELONI - ED RIZZOLI

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