
DAZI AMARI PER L’ITALIA – CON LE TARIFFE USA AL 10 PER CENTO PER L’ITALIA SONO IN BILICO 27 MILA POSTI DI LAVORO – NEL SETTORE DELLA MECCANICA, CHE È APPENA USCITO DA 25 MESI ININTERROTTI DI CALO DI PRODUZIONE, I NUOVI DAZI RISCHIANO DI INTERROMPERE LE PROSPETTIVE DI RIPRESA. NESSUN BRINDISI AL POSSIBILE ACCORDO ANCHE DA PARTE DELLE IMPRESE DEL VINO, CHE DESTINANO VERSO GLI STATI UNITI IL 24% DEL PROPRIO EXPORT: LE PICCOLE IMPRESE RISCHIANO DI RIMANERE IN GINOCCHIO - LA PREMIER MELONI SENTE IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA ORSINI...
Paolo Baroni per “La Stampa” - Estratti
giorgia meloni - meme by vukic
Nel braccio di ferro tra Usa ed Europa sui dazi, dunque, si torna alla casella di partenza, a quel 10% di sovrattassa ipotizzata a inizio anno. Uno scenario certamente meno impattante per la nostra economia tra i tanti elaborati in questi mesi dai vari centri studi, tant'è che Giorgia Meloni ha avuto buon gioco nell'affermare che quella del 10% è «una soglia gestibile» per l'Italia.
A scanso di equivoci, comunque, la premier nei giorni scorsi si è anche preoccupata di chiamare il presidente di Confindustria Emanuele Orsini per rassicuralo sul fatto che il governo manterrà la promessa di mettere in campo nuovi sostegni per le nostre imprese.
Stando alle stime della Svimez, a fronte di un totale di circa 67 miliardi di euro di esportazioni, un ricarico del 10% sui prezzi ridurrebbe del 4,3% le nostre vendite verso gli Usa per un valore complessivo di 2,9 miliardi di euro. In questo modo perderemmo «solo» lo 0,1% di Pil (1,9 miliardi di euro e 27 mila posti di lavoro. Sempre tanti, ma molti meno dei 70 mila ipotizzati coi dazi al 25%.
Se dai dati macro si passa ad analizzare i singoli settori però la situazione cambia. Se ad esempio si guarda al comparto della meccanica, che è appena uscito da 25 mesi ininterrotti di calo di produzione, si vede che i nuovi dazi per quanto «attenuati» rischiano comunque di interrompere le prospettive di ripresa. Secondo Prometeia l'applicazione generalizzata su tutte le esportazioni italiane di dazi del 10% comporterebbe infatti per le nostre merci un costo aggiuntivo di circa 7 miliardi di euro. Un ricarico che andrebbe a colpire proprio la meccanica, i cui prodotti verrebbero gravati da quasi 2 miliardi di euro di sovrattasse. A ruota ci sarebbero poi il comparto della moda (1,4 miliardi) e l'alimentare (poco più di un miliardo), quindi a seguire farmaceutica, automotive, elettronica, mobili, e chimica di consumo.
DAZIAMI MA DI BACI SAZIAMI - MEME BY EMILIANO CARLI
Il Sud, il cui export verso gli Usa è essenzialmente concentrato in due settori (agroalimentare e automotive) secondo la Svimez subirebbe un calo maggiore dell'export (-4,7% contro il - 4,2% del Centro Nord). Stando a Prometeia le regioni più esposte all'impatto dei dazi Usa sarebbero Liguria, Molise, Basilicata e Sardegna ed in parte anche Emilia Romagna.
Secondo il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino nuovi dazi andrebbero sempre evitati, ma attestarsi sul 10% sarebbe comunque «un compromesso sostenibile, in quanto potrebbe essere assorbito in tutto o in parte da produttori e importatori limitando i rischi di riduzione della domanda». Non la pensa così l'Unione italiana vini. «Nessun brindisi al possibile accordo sui dazi al 10% per le imprese del vino italiano, che destinano verso gli Stati Uniti il 24% del proprio export per un valore, nel 2024, di 1,94 miliardi», sostiene l'Uiv che associa le principali aziende del paese che operano in questo settore. Secondo un sondaggio del suo Osservatorio, per questo comparto il danno stimato sul fatturato d'Oltreoceano si attesterebbe in una forchetta compresa tra il 10 e il 12%.
Per il 90% delle imprese intervistate (il cui giro d'affari aggregato supera i 3,2 miliardi di euro), infatti, i consumatori non sarebbero in grado di assorbire l'extra-costo allo scaffale determinato dal dazio al 10%.
«Il settore del vino – ricorda il presidente di Uiv, Lamberto Frescobaldi – è tra i più esposti all'aumento delle barriere, in primo luogo perché la quota export Usa arriva al 24%, contro una media del Made in Italy poco sopra il 10% e poi perché il vino è un bene voluttuario e quindi soggetto ad una maggior propensione alla rinuncia all'acquisto. E ad essere penalizzate saranno in particolare le piccole imprese, visto che molte di esse destinano oltreoceano fino al 50% del proprio fatturato, o le denominazioni bandiera negli Usa, come il Moscato d'Asti, il Pinot grigio, il Chianti, il Prosecco e il Lambrusco».
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