casa di anna federici e roberto d agostino - foto di serena eller - interni casa dago

CE L'HAI ‘NA CASA? E VATTENE A CASA!" - IN CITTÀ E SUL LAVORO SI È PRIGIONIERI. L'ULTIMA LIBERTÀ SI GIOCA SUL PALCOSCENICO DOMESTICO. IN CASA SI RITORNA LIBERI – DAGO INTERVISTATO DALLA RIVISTA “INTERNI”: "IO E MIA MOGLIE ANNA ABBIAMO CONCEPITO LA NOSTRA ABITAZIONE COME DIARIO VISIVO DELLA NOSTRA VITA ATTRAVERSO OPERE ARTE E DESIGN CHE INTRECCIANO I DUE MISTERI DELL’ESISTENZA, LA FEDE E L’EROS - OPERE, MA ANCHE GADGET, IN GRADO DI PARLARCI DEI NOSTRE EMOZIONI, PASSIONI, SOGNI” – STASERA APPUNTAMENTO ALLO GNAM…   

roberto d agostino e anna federici foto di massimo sestini

Gilda Bojardi per “Interni”

 

La tua vita pubblica è molto esposta e rumorosa. Qual è invece l’angolo di casa – un’opera, una luce, un oggetto – che resta nascosto agli altri ma per te è essenziale per sentirti a casa? 

Io e mia moglie Anna Federici abbiamo concepito la nostra abitazione come una sorta di diario visivo della nostra vita, rappresentato dalle opere che abbiamo acquistato in varie occasioni e vari luoghi del mondo. 

 

Noi non facciamo collezionismo, che vuole dire comperare in base alle firme, ma siamo soliti frequentare gallerie e fiere dell’arte dove ci lasciamo trasportare dall’amore a prima vista che certe opere riescono a suscitare in noi. 

È la cosiddetta sindrome di Stendhal descritta nel libro ‘’Passeggiate Romane’’ del 1829, dove lo scrittore francese racconta del suo incontro con un professore tedesco di filosofia a cui fa da Cicerone in giro per Roma. 

 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller 7

A un certo punto il professore gli chiede: secondo lei, a cosa serve oggi il Colosseo? La risposta di Stendhal esprime quello che per me e Anna sono l’arte e il design: il Colosseo serve solo a una cosa, a far battere il cuore. E questa è la più bella definizione che possiamo attribuire alle nostre scelte, che non hanno mai a che fare con gli autori delle opere, bensì con quello che un dipinto, una scultura e un oggetto ci raccontano, permettendogli di entrare nella nostra vita. 

 

Questa visione costituisce un importante elemento di unione per me e Anna, la ragione per cui ogni oggetto della nostra casa rappresenta un pezzo di vita comune e un’idea di bellezza associata a esso. 

 

C’è però un altro problema: gran parte delle persone che entrano nella nostra casa non riescono a vedere realmente le opere che sono contenute, come può essere la cappella New Religion di Damien Hirst del 2005, oppure un lavoro di Nam June Paik o di Bill Viola. Sono attratte dalle cose più divertenti: gli oggetti fallici, i neon… 

alessandro mendini

 

Però non capiscono che la casa è costruita su due linee: una è la Fede, la religione cristiana, e l’altra è l’Eros. Questi elementi sono per noi i due motori della vita: da una parte il problema del senso dell’esistenza, dall’altra parte il senso del nostro piacere. Due dimensioni che la nostra casa mescola e rappresenta in uguale misura. 

 

Tu che hai raccontato per decenni l’anima nascosta della capitale, come vedi Roma oggi? Sta ancora producendo cultura estetica e fenomeni creativi come succedeva negli scorsi decenni?

Faccio una premessa. Io credo che con l’arrivo di internet e del web la creatività abbia cessato di esistere in qualsiasi campo: arte, cinema, grafica, design… L’ultima corrente artistica italiana è stata la Transavanguardia. Dopodiché non è successo più nulla, non solo in Italia ma a livello mondiale. 

 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller

La pittura è finita con la Pop Art, che di fatto è stata anticipata dalla scuola romana di Mario Schifano e Tano Festa. Sono stati anni esplosivi per la scena creativa di Roma, andati poi ad appannaggio della Pop Art americana a causa del ruolo subalterno che l’Italia ha sempre avuto nei confronti degli Stati Uniti.

 

Il problema è che noi oggi non abbiamo più nulla. Anche quando vado a Milano o a Torino in cerca di novità, mi rendo conto che se c’è qualcosa di nuovo nel campo dell’arte è sempre di natura derivativa. Non c’è ancora nessuno che sappia esercitare quella forte influenza di massa che hanno rappresentato la Pop Art oppure l’Arte Povera, la Transavanguardia o il design Post Modern milanese.

 

Hai una “stanza pubblica” e una “stanza privata”? E cosa cambia tra ciò che mostri e ciò che custodisci solo per te? 

La stanza privata è chiaramente la camera da letto, così come lo studio, ma poi abbiamo due saloni dedicati alla socialità, che amiamo coltivare. La mia casa è sempre tutta illuminata, da luci, palme accese, scritte luminose. Si dice che i tassisti sappiano come raggiungerla di notte proprio perché è sempre piena di luce. 

 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller 2

A me dispiace infatti che la luce sia stata completamente dimenticata nelle città, così come sono stati col tempo trascurati i pavimenti e i soffitti, che in passato erano affrescati e invece adesso sono diventati elementi anonimi. All’interno di una stanza della nostra casa abbiamo decorato il soffitto a nuvole con tante lucine che riproducono una galassia. Qualcuno potrebbe definirlo kitsch, ma secondo me è un intervento che dà un senso allo spazio, lo proietta oltre. 

 

Quindi per te la casa è un palcoscenico, un ambiente teatrale che ti rappresenta? 

Sì, per me è un palcoscenico. Qui ci sono 3000 oggetti che rappresentano le cose che mi interessano di più. Poi però gli ospiti non hanno la consapevolezza di ciò che vedono e a me tocca per esempio spiegare che quell’opera con il filo spinato è di Kiefer… è stancante. 

 

Cosa hai voluto raccontare con il film ‘’Roma santa e dannata’’? Quali aspetti della vita romana hai voluto mettere in evidenza che ancora non erano stati raccontati e perché hai scelto di rappresentarli di notte? 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller 3

 

Il problema è che Roma è stata raccontata da molti registi che non la conoscevano davvero. Vedi Fellini, forestiero da Rimini. Roma sembra aperta, invece è una città che non ti fa entrare, molto diffidente e restia a concedere cittadinanza. 

 

Questa diffidenza nasce perché personaggi come Fellini e Flaiano non hanno capito che Roma è città del Signore e degli uomini. Rappresenta il cristianesimo e il potere al governo. Questa dualità non l’hanno mai compresa. La dolce vita non è quella raccontata da Fellini. Nasce nel dopoguerra, tra rampolli aristocratici. Poi sono arrivati quelli di Cinecittà. Il vero boom arriva con lo spogliarello di Aiché Nanà al Rugantino, durante una festa di aristocratici, non di gente del cinema. 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller 1

 

I ‘cinematografari’ c’erano, ma come colore. Roma, a differenza di Milano, si annoia a organizzare cene tra soli architetti o medici: mescola tutto. C’è la mignotta, il politico, il prete, l’intellettuale. Perché? Perché è più divertente. 

 

Mettere insieme le cose fa esplodere qualcosa di nuovo. Roma ha sempre fatto convivere libertinaggio e cristianesimo. In un locale a cento metri da San Pietro, il Muccassassina, si facevano le feste più trasgressive d’Europa, con dark room e transgender. Questa è la capacità di includere, ben rappresentata dal colonnato del Bernini: “pecorelle smarrite, venite”. È il cristianesimo dell’accoglienza, diverso da islamismo ed ebraismo, che sono più divisivi. Noi accettiamo tutti.

 

E perché solo la notte? 

Di notte Roma cambiava volto. Non era più la città ministeriale, ma un altro pianeta, adorato da tutti i libertini, di ogni orientamento. Negli anni ’60 già esistevano locali dove succedeva di tutto. La notte romana era impensabile a Londra, New York o Los Angeles. 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller 9

 

Nel 1990 nasce Degrado, un locale creato da un gallerista gay romano. Aveva capito che la gente andava in discoteca per la dark room. E allora ne fece una totale: niente luci, solo buio. Entravi e perdevi identità, volto, giudizi. Restavano solo i corpi. 

 

Una liberazione totale, altro che Berlino. Con Matteo Garrone ci portai anche Pina Bausch. Il proprietario, vedendola, accese le luci per omaggiarla. Scoppiò una rivolta. Queste cose a Parigi o Londra non succedevano. A Roma non c’era classismo: niente club esclusivi, ma locali economici, aperti a tutti. A differenza di Milano o Firenze, dove il divertimento era separato per ceti, a Roma si mescolava tutto. 

 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller 5

Com’è Roma oggi, da un punto di vista culturale? 

Dal punto di vista culturale è morta. Non ci sono più i cenacoli dove una volta gravitavano Alberto Moravia, Suso Cecchi D’Amico, Luchino Visconti. Un tempo il salotto a Roma era considerato un’arena, un ring, dove ogni ospite aveva il ruolo di provocatore. Ti trovavi davanti Ettore Scola, quella belva di Alberto Arbasino, Sergio Corbucci, Dino Risi, Paolo Villaggio: ti massacravano, anche di scherzi. Non andavi lì a mangiare, ma a fare un duello, perché trovavi sempre qualcuno che ti voleva sbertucciare. Era una sorta di guerriglia che aveva fatto scappare i personaggi del Nord Italia.

 

Ora non esiste più quella dimensione. Esistono i salotti ma non sono più quelli di prima. Non ci sono più le personalità della cultura e del cinema dotati di quello sberleffo, quel gioco di parole, quel guizzo capace di farti a pezzi. 

 

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Casa come specchio dell’anima. E per Roberto D’Agostino Dagospia è lo specchio di cosa? 

Dagospia nasce per un motivo preciso, perché mi ero stancato di prendere ordini da gente che ne sapeva un terzo di me. Così quando chiusero la mia rubrica su L’Espresso, che si chiamava Spia, è nato Dagospia su internet. Voleva essere una cronaca, sulla scia delle cronache di D’Annunzio o degli aneddoti di Flaiano, per raccontare le cene, i matrimoni, le corna… volevo realizzare una cronaca di costume. Noi in Italia abbiamo avuto personaggi come Cederna, Aspesi… gente che ti faceva capire la società in cui vivi meglio di tanti analisti della politica, che attraverso un racconto di costume ti forniva il ritratto di un’epoca e di quello che stava avvenendo. Se vuoi capire cos’era a Parigi in un determinato periodo storico, tu leggi Proust, che non era uno storico, o leggi Flaubert o Balzac, scrittori che narravano la società del tempo. 

 

Per te Dagospia è anche uno strumento per provocare… 

casa di anna federici e roberto d agostino foto di serena eller 4

No, in realtà la gente prende per provocazione ciò che ci interessa di più: l’erotismo, la lotta per il potere, il senso della vita, l’esistenza di Dio. Dagospia è come una grande piazza e la piazza – che in Italia esiste grazie al suo clima – è il luogo in cui ci si confronta con gli altri. In questo Roma è unica, perché permette anche a un abitante del Tuscolano o di Centocelle di arrivare in piazza di Spagna e di sentirsi pienamente parte della città. 

 

Qual è il tuo rapporto con gli oggetti di design? 

ALBERTO MORAVIA CON DAGO

Io penso a Castiglioni e ai maestri che, come lui, hanno stravolto ogni oggetto. Questi progettisti hanno inventato una cosa fondamentale: l’oggetto attivo.

Che vuol dire? Che un oggetto ha vita anche al di là della tua presenza. Prendi quel tavolo di Memphis o quel divano di Fabio Novembre. Sono elementi che hanno una loro vita… 

 

Perché noi usiamo l’espressione “Roma Eterna”? Perché quando ti trovi davanti a un Caravaggio, a un Michelangelo o al Pantheon, capisci che quella creazione è eterna, che resterà an- che dopo la tua dipartita. Per questo diciamo che Roma è eterna, perché se n’è sempre fregata di tutti (papi, presi- denti, politici…) e non ha mai confuso la cronaca con la Storia. 

ROMA ETERNAL CHANGE

 

Così come, tornando al design, le creazioni di Urano Palma, di Mendini, di Sottsass, di Castiglioni, fra cento anni saranno ancora vive. Sono oggetti che resteranno, che sono superiori alla nostra presenza misera di esseri umani e saranno sempre contemporanei, perché contemporaneo è ciò che è sempre in grado di parlarci.

Dago by Cristina Ghergo - pic 2010Presepe a casa Dago 1985: de crescenzo, laurito, arbore, nicolini, villari, bracardi, pepe, zaccagnini, rangeri, salvatori....IL PRESEPE DI DAGOSPIA CON IL DAGO-PUTTO

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