AZZURRI DI GHIACCIO – SEI MEDAGLIE IN SEI OLIMPIADI DIVERSE: IL MONTANARO ZOEGGELER CONQUISTA IL BRONZO NELLO SLITTINO ED ENTRA NELLA LEGGENDA – IL PLAYBOY INNERHOFER D’ARGENTO NELLA LIBERA

Emanuela Audisio per ‘La Repubblica'

La grande bellezza azzurra in due facce. Innerhofer e Zöggeler. Argento e bronzo. Il playboy dello sci e il montanaro dello slittino. Lo scalmanato e il ruvido. Lo sbarbato e quello che deve stare attento a non sfregare la sua pelle. Il fidanzato d'Italia e il marito con moglie e due figli. Quello con l'erre moscia e l'altro più gutturale. Quello che arriva adesso e l'Highlander che resiste dal '94. Sei medaglie in sei Olimpiadi, nessuno mai come lui, un fenomeno unico al mondo. L'appuntato della Guardia di finanza e il maresciallo dei Carabinieri. Due che si tuffano nel brivido. Uno che posa in mutande e l'altro che sul casco ha le mele. Fatti nell'Italia del nord. Fratelli di neve, di ghiaccio e di velocità. Uomini jet da 150 km orari. Lo spaccone: «So quello che devo fare». Il militante del podio: «Comunque io attacco ».

Dieci anni di differenza, sei gradi di separazione, modi diversi di stare sul podio. Segno del destino: nati entrambi in inverno. Zodiaco a seguire: Sagittario e Capricorno. Quello con gli occhi azzurri (Winnerhofer) che ammicca, in cerca di una discoteca. E quello con gli occhi scuri che già pensa al fieno da ammucchiare. Non proprio vicini di casa, più di cento chilometri tra Gais in Valle Aurina e Foiana (Merano).

Christof, 30 anni, un Tomba altoatesino, senso per la neve, ma anche per i piaceri della vita, molto ammirato dalle ragazze. «A Vancouver nel 2010 mi sono fermato tre giorni in più e non vi posso dire quello che ho combinato ». Allora non aveva la fidanzata, che ora c'è e si chiama Martina. Il padre, Gottfried, è carrozziere, mamma fornaia (ora cameriera) che gli portava il pane caldo in pista.

Armin, 40 anni, un Eastwood del nord, con due espressioni: una con lo slittino e una senza, parafrasando Clint che ne aveva una col cappello e una senza. Il papà di Armin fa il contadino, va nel bosco e ha una pensione (la mamma è morta), lui vi dice: «Sto bene con gli animali, mi piacciono i cavalli, ne ho tre nella mia fattoria, mi danno pace». Due Giochi per Inner (soprannome corto), a Torino 2006 era apripista, e ora un argento importante nelle libera, l'Italia c'era riuscita solo con Colò (oro) che nel '52 a Oslo aveva 31 anni e con Plank (bronzo) a Innsbruck nel '76.

Stessa Italia, stessa regione, Trentino Alto Adige, ma valli parallele. Inner più aperto, solare, curioso, ragazzo d'oggi, molto fashion- victim, ha posato anche per l'intimo. «Compro, compro e tengo tutto nell'armadio, sono indossatore Armani». Predestinato alla velocità da quando è nato: due mesi in anticipo, lo hanno messo nell'incubatrice per trenta giorni. «Avevo fretta. Sugli sci ci sono salito a tre anni nell'aia di casa, al pronto soccorso hanno cominciato a conoscermi presto. Ho lavorato anche in cantiere, ho fatto il piastrellista, mi è servito per fare confronti e apprezzare la vita che faccio da sportivo».

Anche Armin ha iniziato presto a scivolare. «Da noi lo slittino più che uno sport è un mezzo, un triciclo della neve con cui scendere a scuola. Io ci andavo per seguire
mio fratello Alex e i miei cugini, nelle prime gare avevo i capelli lunghi che restavano fuori del casco ». Per il resto maso e mucche, una moglie Monika e due figli, Nina e Thomas, 12 e 8 anni. La bimba va sullo slittino. Sei Olimpiadi, sempre con una medaglia al collo.

Zöggeler è un lupo che non si sazia mai, quando chiude gli occhi, anzi quando abbassa le fessure, avete l'impressione che vi abbia inquadrato e che sia pronto a centrarvi. Come stare davanti a un mirino. Lui è come un cieco. Viaggia come un missile, ma sdraiato. Memorizza tutto, non ha bisogno del navigator: segni, luci, forza centripeta.

E' il grande vecchio di un piccolo mondo antico che ha dovuto diventare moderno, perché se non hai i pattini giusti non voli e l'acciaio delle sue lame è lavorato in Giappone.
Tutti e due hanno corpi che hanno sentito troppo. Christof: «Vado a farmi curare a Monaco. Il mal di schiena mi perseguita, ernia inguinale, sono amico degli antidolorifici. Mi sono anche operato per un difetto alla vista che mi impediva di vedere bene le rughe in pista».

Armin: «Il mio corpo è cambiato, sento gli acciacchi, collo e schiena ora ululano, cinque ore di allenamento al giorno non me le toglie nessuno. Tre sedute di pesi a settimana, passeggiate sulla trave per trovare l'equilibrio, palestra di roccia, esercizi agli anelli, atletica per incrementare scatto e velocità». E poi c'è chi dice che lo sport non è un paese per vecchi.

Massaie tutti e due. Attenti ai particolari. Capacità di concentrarsi sui dettagli. Christof: «Sono le piccole cose che fanno le grandi. Ho guardato e riguardato molti video ». Una stessa qualità in comune, quella che marchia i campioni: la meticolosità, la pignoleria, lo studio. Innerhofer, faccia da schiaffi fuori, ma studente disciplinato di questa pista: «L'ho studiata, visionata, costruita dentro di me».

Zöggeler, che una volta si è buttato dal ponte con l'elastico, ma che dalla paura non lo rifarebbe più, va quasi a letto con i suoi pattini e si comporta come uno sciamano. Chiude gli occhi, muove la testa a destra e sinistra, segua una sua via del ghiaccio. Il segreto? «Non ti fa vincere quello che si vede, ma quello che non si vede».

La pista disegnata in testa dal primo centimetro, da bravo appuntato promosso maresciallo sul luogo del delitto. E l'invisibile come traguardo. Però stavolta urla, agita i pugni, alza le braccia. Dai, falso vecio. Sei Olimpiadi, sempre con una medaglia al collo, in ogni continente, su ogni ghiaccio. Nessuno che riesca mai a staccarlo dal successo, una presa d'artiglio su sogni e realtà.

E' il suo addio ai Cinque Cerchi. Non da reduce, ma da comandante che ha sempre guidato se stesso all'assalto. Un'adrenalina matura la sua: Armin sale in montagna con gli amici, va al mare in Turchia, ama gli spaghetti allo scoglio, beve soprattutto camomilla e tisane. Cerca l'armonia. Va anche a caccia, ma ha problemi nello sparare a camosci, caprioli, cervi. Non vuole lo si chiami il cannibale. «Per favore, è un brutto termine ».

Il made in Italy by sport. Due diversi modi di spaccare il mondo. Ma alla fine lo stesso. Senza bisogno di leggere Kipling. I due ragazzi lo sanno che bisogna trattare successo e sconfitta come facce della stessa medaglia. Per questo si prendono la faccia buona. Aveva ragione Armin a dire: «Sarebbe più bellissimo vincere a Sochi». Non era un superlativo sbagliato, ma il suo modo per raccontare una carriera e uno strepitoso infinito.

 

 

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