BENTORNATI NEGLI ANNI ’70: GLI EREDI DEI KRAFTWERK SBANCANO CON LA ELECTRONIC DANCE MUSIC

Ernesto Assante per La Repubblica

La chiamano Edm, acronimo di electronic dance music, musica da ballo elettronica. È quella che invade le notti di ogni città, in club, locali, discoteche, spiagge, piazze, stadi. Quella che domina le classifiche e, soprattutto d'estate, fa ballare il mondo intero. Le star sono i dj e i musicisti elettronici dell'ultima leva, da Deadmau5 a Avicii, da Tiesto ad Apparat, artisti che declinano il genere ognuno a suo modo, passando dal pop all'avanguardia, da ritmi ossessivi e pulsanti ad atmosfere eteree e inafferrabili.

È il suono di oggi, la musica che gira intorno: un battito elettronico che sta cambiando in profondità il modo di creare, eseguire, vivere e ascoltare la musica. Musica fatta con macchine che non solo riproducono i suoni di qualsiasi strumento, ma ne creano di nuovi, costantemente, in un'infinita combinazione di bit che potenzialmente non ha mai fine.

Quarant'anni fa, a dettare le regole di base della materia, regole che, sostanzialmente, non sono cambiate di molto, furono i Kraftwerk, da Düsseldorf: quatto musicisti, capitanati da Ralf Hütter (l'unico dei fondatori rimasto) e Florian Schneider (oggi sostituito da Stefan Pfaffe) che prima di ogni altro pensarono che la visione di inizio secolo di Luigi Russolo e della sua musica delle macchine aveva finalmente trovato la sua possibilità d'esistere attraverso i sintetizzatori, le macchine elettroniche.

I Kraftwerk furono tra i primi a portare in scena solo strumenti elettronici, niente più chitarre, tastiere o batterie, suonati con meccanica precisione, eliminando scientificamente ogni riferimento umano nelle esecuzioni, fino ad arrivare a proporre la loro musica attraverso dei robot in scena al loro posto. «Ma la tecnologia è liberatoria, divertente, tutt'altro che fredda», sottolinea Schneider, «le macchine ci consentono di suonare cose che tutti possono comprendere: la nostra musica è una specie di folk dell'era elettronica».

Man Machine, We Are The Robots, Pocket Calculatoro Kling Klang sono esperimenti sonori e al tempo stesso rappresentazioni popolari, che anticipano i "tempi moderni", l'alienazione, il futuro computerizzato e digitale in cui oggi viviamo. «In realtà siamo stati fortunati che la tecnologia si sia sviluppata nella nostra direzione», dice Hütter con un pizzico d'ironia: «Abbiamo visto questo cambiamento negli anni Settanta, quando lavoravamo ancora con apparati principalmente analogici, e abbiamo realizzato Computer World nel 1981 quando nessuno aveva un computer».

Oggi i Kraftwerk sono una delle band più importanti della musica contemporanea, e hanno celebrato il loro quarantennale con esibizioni nei principali musei del mondo, dal MoMa di New York alla Tate Gallery di Londra, fino agli otto concerti tenuti nella loro città natale, Düsseldorf, nello scorso gennaio. Quella dei Kraftwerk era musica visionaria e un'intera generazione di musicisti è stata influenzata da quel lavoro: quella visione è arrivata, attraverso mille variazioni, fino a noi. C'è un lungo filo rosso che arriva nel nuovo millennio.

Prendete per esempio il nuovo album dei Daft Punk, la band del momento che sta facendo ballare tutti con la loro Get Lucky. Il titolo è Random Access Memory, ovvero la Ram, una parte essenziale delle macchine elettroniche odierne, dei computer ma anche dei nostri smartphone. Nelle mani dei Daft Punk il "mondo dei computer" dei Kraftwerk si è trasformato in una musica fantasiosa, ballabile, elettronica, ma animata da sentimenti e passioni, tutt'altro che fredda e meccanica.

Anzi, addirittura "analogica", come se i robot definitivi, i due Daft Punk con i loro caschi che li rendono invisibili, irriconoscibili, inumani, avessero voluto riportare la vita al centro del pop. Il cerchio si chiude, il percorso è completo: «Abbiamo cercato di far suonare le voci robotiche più umane di quanto siano mai state», dice Thomas Bangalter, uno dei due Daft Punk, «in termini di espressività ed emozione».

La musica è diventata figlia delle macchine, in ogni studio di registrazione, in ogni piccola cameretta dove un ragazzo con un computer ha iniziato a mescolare le cose usando il
cut and paste, I sequencer, gli elaboratori di suono, i campionatori, le beatbox.

«Tutta la musica di oggi è elettronica, tutto è digitale», dice ancora Bangalter, «ma sembra che non ci sia più la voglia di sperimentare, di rischiare, di uscire dall'ovvio e dal seminato».

Riconnettersi con la storia. Al centro dell'album, accanto a tanti altri eccellenti musicisti, c'è Giorgio Moroder. Italiano, geniale e fondamentale creatore della disco music elettronica degli anni Settanta, è il punto di incontro esatto tra l'avanguardia meccanica dei Kraftwerk e la odierna EDM.

«Andai agli Hansa Studio a Berlino», ricorda Brian Eno: «Ascoltai la sua I Feel Love interpretata da Donna Summer e capii che era il suono del futuro». Moroder aveva visto lontano, aveva visto giusto, capiva che la musica stava cambiando natura, che dalle corde e dalle pelli, dai tasti e dai fiati degli strumenti tradizionali, stava andando verso una nuova frontiera, un nuovo territorio sconosciuto e affascinante. Dove mettere insieme corpo, anima e mente.

Poi, dopo di lui sono arrivati gli electropoppers della new wave, dagli Human League ai Devo, dai Depeche Mode agli Erasure, la prima ondata di quella scena che in breve avrebbe portato milioni di ragazzi non a imbracciare una chitarra, com'era stato alla nascita del rock, ma a comprare una tastiera elettronica.

«La rivoluzione degli anni Ottanta è stata enorme», ricorda Brian Eno: «nulla era più uguale a prima e niente è tornato a essere come prima». Sono arrivati i dj, i nuovi musicisti elettronici, la "club culture" si è andata allargando, di strada in strada, di locale in locale per arrivare all'odierna ondata di "uber dj" che richiamano decine di migliaia di persone a ogni concerto.

«Negli anni Novanta i media parlavano soltanto di rap e hip hop, ma eravamo noi, i dj, a radunare milioni di persone alla Love Parade di Berlino», racconta David Guetta, uno dei dj di maggior successo al mondo. «E lo facevamo con la musica che suonavamo già dagli anni Ottanta. Solo adesso i media si accorgono che le cose sono cambiate, ma da un pezzo». Sì, la rivoluzione è avvenuta, è dovunque, è passata persino in Italia, dai suoni leggerissimi degli 883 fino all'enorme successo di Jovanotti di queste settimane, in perfetta sintonia con la EDM.
Le cose, però, forse, stanno per cambiare di nuovo.

Oggi i Daft Punk tornano a Moroder, a Nile Rodgers degli Chic, ai suoni di Thriller di Michael Jackson (altro capolavoro elettronico anni Ottanta) per re-inventare il futuro della dance music. E per fare in modo che l'uomo macchina vagheggiato dai Kraftwerk sia vivo non per merito di qualche circuito elettronico, ma per il battito del suo cuore.

 

 

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