aldo busi vacche amiche

“SENZA ETICA NON C’È ESTETICA” - BUSI, UN GRANDE MORALISTA LOMBARDO: “LA MIA EDUCAZIONE CIVICA È QUASI 'LUTERANA'” - "QUANDO ERO BAMBINO SPUTAI L'OSTIA. I PRETI VOLEVANO IMPORMI DI PERSARE COME VOGLIONO LORO" - ''IL PORNO? MI DÀ UN SENSO DI CLAUSTROFOBIA”

Filippo La Porta per “Il Messaggero”

 

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In un libro di Aldo Busi colpisce subito lo stile, la qualità percussiva dello stile, la voce inconfondibile dell’autore, perentoria e solo apparentemente frivola, il tono giocoso e malinconico.

 

Questo Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata) - Marsilio - , che mescola felicemente l’affabulazione con il diario morale e il memoir (l’autore dichiara la sua insofferenza verso le trame romanzesche, tutte uguali) si ribalta definitivamente l’immagine pubblica di Busi, consegnata a talk show e reality TV.

 

Per niente trasgressivo e amorale. Anzi, come nel precedente ''E io, che ho le rose fiorite anche d’inverno?'', rientra a buon diritto in una tradizione alta, illuminista, di moralisti lombardi: unico progresso promotore dello sviluppo intellettuale, morale, sessuale, materiale, etc. è infatti quello dell’ “etica civile”.

 

Nel libro se la prende - anche molto divertendoci - con parecchie cose: con i ricchi dalla nascita, con i poveri dalla nascita (quando diventano rancorosi), con il potere della Religione e con la religione del Potere, con gli evasori fiscali, con quelli che raccontano barzellette, con Oriana Fallaci che scriveva (e pensava) “all’ingrosso”, con i critici (che non distinguono uno scrittore da uno scribacchino),

 

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con chi non ci parla mai della propria sessualità (e dunque parla solo per parlare), con la “morta subcultura dell’immagine… tutto si guarda e niente si legge”, perfino (in parte) con Proust (perché quando si discorre di borghesia Thomas Mann è più moderno e interessante) con i genitori che non vivono per i propri figli e che non li educano al rispetto di sé e degli altri… 
 

Partiamo proprio dall’etica. Senta, Busi, perché bisogna agire bene? per un imperativo categorico? Perché così si è più dentro la realtà, che è relazione con gli altri?
«Per cercare un principio di realtà che non sia solo il mio, ma comune e comunitario. E poi senza etica non c’è estetica. È importante trovare le “parole per dirlo” attraverso i fatti che sono stati esperiti: la comunicazione nasce da qui, ed è invenzione della lingua, grido e onomatopea. La spontaneità poi è un punto di arrivo, una immensa preparazione. In ciò consiste la “moralità” della letteratura». 
 

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Nella vita lei si considera virtuoso?
«Sì, come dico nel libro non accetto pagamenti in nero, non potrei viaggiare in bus senza biglietto, etc. Pensi a Sade: l’opera impudica, la vita virtuosa. La mia educazione civica è quasi “luterana”, compiuta in Germania e in Francia, poi quando scrivo mi vendico della mia stessa onestà, che è un peso, e mi spingo oltre tutti i confini».
 

Chi legge è meglio di chi non legge?
«Assolutamente no! Dipende da cosa e come si legge. Mia madre, semianalfabeta, nominava ogni singola cosa con la parola esatta…, e la sua lingua aveva un ritmo straordinario. Ha presente Franca Valeri? E poi se penso all’amicizia, beh, è fondata su un’unica cosa, la lealtà. Il sapere libresco non conta nulla».
 

In “Vacche amiche” lei parla dei rapporti con le donne, in particolare tre donne fondamentali nella sua esistenza. Ma si tratta di relazioni “caste”?
«Beh, le donne non mi eccitano sessualmente, però solo le donne mi permettono di essere protettivo, di accarezzarle, di accompagnarle, di tirare fuori tutta la mia gentilezza».
 

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Dedica molte pagine allo svuotamento attuale della sessualità e al conformismo omologante della pornografia. Quando è che una sessualità può dirsi piena?
«Quando due persone possono farne a meno per sentirsi insieme. Mica deve diventare un vincolo o un obbligo! Comunque la sessualità resta un mistero, è imperscrutabile…Quanto al porno mi colpisce la sua granitica staticità, non sa rinnovarsi, ha una iconografia fissata per sempre…mi dà un senso di claustrofobia».
 

A proposito del suo stile noto una predilezione per gli elenchi, le enumerazioni: è un modo per esorcizzare il vuoto e la morte, come nel barocco?
«Direi che mi riportano alla mia infanzia nel mondo contadino, scandita da elenchi di cose da fare e da non fare per la sopravvivenza, come ad es. salutare sconosciuti ma non fermarsi, e poi non scottarmi, non bruciarmi, non tagliarmi, non annegare nei fossi, non succhiare gli aghi, dare al mendicante l’elemosina ma farlo restare al di là del recinto, non dire no se vuoi dire sì e non dire sì se vuoi dire no…»
 

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Costante del suo discorso civile è un ruvido anticlericalismo. Qui fa una battuta sul papa Bergoglio, che non distingue dal suo imitatore…
«Sì, quando ero bambino sputai l’ostia addosso al prete. Volevano impormi di pensare come vogliono loro. I preti sanno prepararci delle belle bistecche ma restano venditori di fumo. Alla fine però invito fraternamente Bergoglio a mangiare l’agnello con me… Il punto è che i preti buoni sono peggio, perché non ti aiutano a liberarti dalla religione».
 

La sua aggressività mi fa paura.
«Vero, ma c’è una cosa che mi esaspera: l’ipocrisia».
 

Cosa pensa della querelle tra Dolce & Gabbana e Elton John?
«Mi sento abissalmente distante da tutti e tre, però voglio ribadire che Dolce & Gabbana sbagliano clamorosamente a parlare di “figli artificiali” e “figli della chimica”: l’origine dei figli è sempre la stessa, ed è imponderabile». 
 

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Ritiene che la letteratura oggi sia ridotta a un consumo tra gli altri?
«No, non è nemmeno questo! La letteratura non è mai arrivata in Italia, io non sono mai davvero arrivato… Ma del resto oggi la letteratura ovunque conta sempre meno. Io faccio “oggetti di letteratura” che sono ormai fuori della Storia». 
Anacronistico?
«Forse, ma almeno non sono noioso come tutta l’autofiction attuale».
 

 

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