LA CANNES DEI GIUSTI - SEMBRA CHE PROPRIO L’ATTACCO AD ANNE SINCLAIR E ALLA COMUNITÀ EBRAICA FRANCESE SIA LA VERA CAUSA DEL RIFIUTO DEL FESTIVAL AL FILM SU STRAUSS KAHN

Marco Giusti per Dagospia

Notizie da Cannes. "Per nessuna ragione verrò a Cannes". Ecco. Jean-Luc Godard ci fa sapere, e lo fa sapere a chi, Gilles Jacob, aveva assicurato il contrario, che non verrà affatto sulla Croisette a presentare il suo film, "Adieu au langage".

Non solo. Dovesse per caso vincere, la cosa non si può escludere, manderà a ritirare il premio il suo consigliere fiscale. Benissimo. Quanto a consiglieri legali, invece, Anne Sinclair, l'ex moglie di Strauss Kahn, fa sapere a Abel Ferrara e al potente produttore di Wild Bunch, Vincent Merival, che "non farà loro il piacere di un'azione legale contro il film".

Sembra che proprio l'attacco a Anne Sinclair e alla comunità ebraica francese sia la vera causa del rifiuto di Thierry Fremaux a mettere il film in rassegna. Anche se Merival, che aveva fatto il colpaccio l'anno scorso con "La vie d'Adéle" è riuscito lo stesso a costruire un gran numero di teatro con la proiezione al mercato e Gerard Dépardieu scatenato al Nikki Beach.

Quanto a veri scandali politici, il governo iraniano non ha gradito il bacio che ha dato sul red carpet la loro attrice Laila Hatami a Gilles Jacob, 83 anni. Maschio. Per fortuna oggi è arrivata Daniela Santanché per presentare la nuova versione di "Ciak", sempre diretto da Piera De Tassis.

Intanto, la stampa francese, con poche eccezioni, direi solo "Libération", che ne scrive oggi non male e Serge Kaganski di "LesInrock" che gli dà due stelline, non ha amato più che tanto le api di "Le meraviglie" di Alice Rohrwacher. Ma tutti gli altri critici si limitano a una stella, a cominciare dal decano di "Positif" Michel Ciment. Pochino.

Piace abbastanza, invece, agli inglesi, Robbie Collins del "Daily Telegraph", ad esempio, arriva a quattro stelle. Ma in generale non è particolarmente piaciuto, a parte il gruppo di entusiasti italiani. Gli stessi che non hanno affatto amato il grande film di David Cronenberg, "Maps To The Star", vera grande sorpresa del festival.

E' molto piaciuto stamane alla critica internazionale l'ottimo film americano "Foxcathcher", diretto da Bennett Miller, il regista di "Truman Capote" e "Moneyball", e scritto da E. Max Frye e Dan Futterman, che hanno raccolto un caso per i più ignoto di follia da american dream assolutamente straordinario.

Siamo alla fine degli anni '80, dopo le Olimpiadi di Los Angeles. Mark e Dave Schultz, cioè Channing Tatum e Mark Ruffalo, sono due fratelli uniti da un'infanzia di stenti da orfani che hanno superato grazie alla lotta libera. Se Mark, il fratello minore, è il più forte tecnicamente, Dave, il maggiore, è la testa dei due, e il suo vero coach.

Mark non esiste staccato da Dave, anche se ha dovuto digerire il fatto che il fratello si sia fatto una famiglia, una moglie, Sienna Miller, dei figli. E' una specie di gigante buono e fragile, fresco di medaglia olimpionica e di successi ovunque, ma incapace di costruirsi una sua identità fuori dal wrestling e lontano dall'amore del fratello.

Lo chiama un miliardario bislacco, John Du Pont, interpretato genialmente da Steve Carell come se fosse un Vittorio Cecchi Gori in pessima forma, ma con la candidatura per l'Oscar già in tasca, rampollo di una delle più potenti famiglie d'America, i Du Pont, fabbricanti di armi e munizioni, totalmente reazionari e guerrafondai.

John, che ama farsi chiamare l'Aquila, tipo Gigi Reder in "Il tifoso, l'arbitro e il calciatore", è un fan del wrestling e vuole per la sua squadra, la Foxcatcher i due fratelli campioni. Mark ci casca, Dave no, deve seguire la famiglia, e precipita nella follia del miliardario, che vive single con la vecchia potente madre, Vanessa Redgrave, che odia il wresling considerandolo uno sport minore rispetto all'equitazione e alla caccia alla volpe.

John sogna di fare il coach di una squadra, di essere un mentore, un padre per Mark Schultz, di fargli vincere il campionato del mondo e poi le Olimpiadi di Seoul nel 1988. Ma è pazzo, ossessivo e pippato di cocaina, che fa prendere anche a Mark, che non sa neanche cosa sia.

Non si capisce quanto ci sia di tensione sessuale fra i due, anche se un po' tutto il mondo del wresling sia costruito come un universo maschile di grande contatto carnale. Certo è che quando anche Dave entra nel team le cose si complicano. Mark rifiuta totalmente prima Dave e poi John come figure paterne, anche se poi torna docilmente fra le braccia del fratello.

Ma nel complicato intrigo fra i tre personaggi, dove l'unico sano di mente è Dave, dopo la fuga di Mark dalla tenuta dove John DuPont ha chiuso i suoi lottatori, ci scapperà un morto, frutto della follia e della solitudine del miliardario. Più che un film sul wrestling e su un celebre fatto di cronaca, sembra un film sulle contraddizioni americane, sulla difficoltà di costruirsi una identità in un paese dominato dal potere dei soldi e delle armi.

DuPont è schiavo del proprio ruolo e cerca di uscirne con una parodia del miliardario mecenate. E' ossessionata dai media, dal documentario che cerca di fare che lo mostra come il coach e il mentore del campione, vuole un ruolo costruirsi un ruolo che non potrà mai avere.

Mark è schiavo del suo ruolo di fratello minore a causa della povertà della sua infanzia e dal sentirsi schiacciato dalla figura fraterna. Film di grande livello, che lascia varie letture possibili, completamente aperte. Mark Ruffalo e Channing Tatum bravissimi, ma Steve Carell, finora solo un popolare comico americano, è la vera scoperta.

 

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